E’ stata una riunione più movimentata del previsto quella che ieri hanno tenuto a Bruxelles i ministri degli Esteri dei Ventotto paesi aderenti all’Unione Europea: all’ordine del giorno c’era la decisione di una nuova ondata di sanzioni da comminare alla Russia che avrebbero dovuto aggiungersi a quelle già pesantissime imposte finora.
Ma la decisione di indurire lo scontro con Mosca, data per scontata all’inizio della settimana, alla fine non ha prevalso. Uno smacco per la responsabile europea alla politica estera, Federica Mogherini, che aveva annunciato la “decisione unanime” da parte dei membri dell’Ue rispetto al varo di nuove sanzioni provocando la reazione dell’appena insediato governo ellenico scaturito dalla vittoria di Syriza alle elezioni di domenica.
I portavoce del governo Tsipras avevano fatto subito notare che la decisione non era affatto unanime visto che nessuno aveva consultato Atene. Poi, qualche ora dopo, il ministro ellenico delle Finanze, Yanis Varoufakis, aveva affermato che il suo governo non aveva protestato contro la decisione in se stessa, ma contro la procedura di silenzio-assenso usata per adottarla. Così come la Mogherini, anche il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, ha dato per scontata l’approvazione di Atene senza neanche fare una telefonata al nuovo premier in pectore.
Solo un problema di orgoglio nazionale e di metodo, dunque? Non sembra proprio, visto che una delle prime dichiarazioni diffuse dall’esecutivo di Atene recitava: “La Grecia non dà il suo consenso” al comunicato del Consiglio europeo in cui l’organo comunitario chiedeva ai ministri dei singoli stati “di valutare la situazione e di considerare ogni azione appropriata, in particolare riguardo a ulteriori misure restrittive”.
Alla fine alla riunione di ieri la linea di imporre nuove sanzioni nei confronti dell’economia russa comunque non è passata. Nuove sanzioni avrebbero richiesto l’accordo unanime di tutti e 28 i rappresentanti degli stati membri, e piuttosto che rischiare che Atene opponesse il veto evidentemente si è deciso di rinunciare.
I partner hanno comunque convenuto sulla proroga di altri sei mesi delle misure già varate nell’ultimo anno, che hanno avuto non solo un effetto negativo sull’economia russa ma anche un effetto boomerang su alcuni importanti settori produttivi di alcuni dei paesi europei le cui esportazioni verso Mosca sono state bloccate o ridotte.
“Credo sia importante che il Consiglio si sia concluso in modo unitario, e non era scontato visto che c’erano legittime posizioni diversificate” ha affermato il ministro degli Esteri italiano, Paolo Gentiloni, rivendicando in qualche modo la scelta in controtendenza rispetto agli annunci e alle attese della vigilia. “L’Italia – ha spiegato Gentiloni – avrebbe considerato prematuro prendere decisioni circa nuove sanzioni in altri settori economici, e quindi prendiamo atto con soddisfazione delle conclusioni del Consiglio” che ha deciso la proroga fino a settembre delle sanzioni già decise a marzo del 2014. C’è stata poi “la decisione di affidare ai servizi della Commissione europea una proposta di inserire nuovi individui nella lista” delle misure restrittive, proposta che sarà discussa nel prossimo Consiglio esteri il 9 febbraio.
Commentando la situazione nel Donbass l’inquilino della Farnesina ha affermato che “Il senso delle conclusioni unitarie del Consiglio è la condanna molto forte delle iniziativa aggressive dei separatisti, con l’invito fermo a Russia a esercitare la sua influenza sui separatisti, a non sostenerli e a rispettare i Protocolli di Minsk”. C’è poi la “segnalazione del fatto che di fronte a un eventuale ulteriore aggravarsi della situazione l’Ue è pronta ad adottare eventuali altre iniziative”. Sul terreno, ha ricordato Gentiloni, “c’è stato l’aggravarsi della situazione in alcune aree delle regioni orientali dell’Ucraina, con gravissimi episodi come il bombardamento a Mariupol che ha fatto più di 30 vittime civili. La situazione resta molto tesa in alcune aree, e ci sono state anche dichiarazioni molto allarmanti, soprattutto da parte del presidente della cosiddetta ‘Repubblica autonoma di Donetsk’, Aleksandr Zakharcenko, sull’intenzione di conquistare Mariupol e creare un corridoio di terra fra Donetsk e la stessa Mariupol”.
Nessun riferimento, negli interventi di Gentiloni, alle vittime dei bombardamenti ucraini sulle città del Donbass o delle stragi che hanno falciato decine di civili inermi a Donetsk nelle ultime settimane. Solo una riconferma del proprio giudizio unilaterale sulla crisi scoppiata in Ucraina dopo il sostegno Ue e Nato al golpe nazionalista e antirusso andato in scena a Kiev nel febbraio dell’anno scorso. “L’Europa continuerà a stare dalla parte dell’Ucraina, e lo ha confermato in modo chiarissimo anche chiedendo al governo ucraino di andare avanti con programma di riforme”, ha concluso l’esponente del PD.
Al di là delle affermazioni concilianti e rassicuranti di Gentiloni, già prima del cambio di governo ad Atene le differenze di valutazione tra i diversi partner europei sulla guerra commerciale in atto con Mosca non erano unanimi. Ed ora la diversa posizione del governo Tsipras rispetto al prono Samaras potrebbe ulteriormente cambiare gli equilibri interni al fronte europeo facilitando gli ‘aperturisti’.
Il ministro degli Esteri greco, Nikos Kotzias, si è espresso più volte in passato contro le sanzioni alla Russia, definendo l’Unione Europea “un impero idiosincratico sotto il dominio della Germania“. E dopo il giuramento Kotzias ha annunciato pubblicamente che Atene non avrebbe sostenuto la decisione di spiccare altre sanzioni contro Mosca dopo che lunedì il neo premier Alexis Tsipras aveva ricevuto l’ambasciatore russo Andrei Maslov.
Cambio di rotta confermato alla riunione di giovedì a Bruxelles dopo la quale il ministro degli Esteri di Atene ha cantato vittoria affermando che «è stata scelta la strada del dialogo» con Mosca e che quindi Atene non ha dovuto opporre il veto. Una posizione interlocutoria, per ora, quella scelta da Tsipras, che però non è sfuggita a Mosca che si è detta disponibile a fornire aiuti finanziari alla Grecia. Una apertura virtuale, finora, per stessa ammissione del ministro delle Finanze russo Anton Siluanov, secondo il quale in merito non è giunta ancora alcuna richiesta ufficiale. D’altronde l’economia russa, a causa delle sanzioni ma soprattutto del crollo del prezzo degli idrocarburi, non è certo florida. Ma per rompere il crescente isolamento da parte di Ue e Nato Mosca potrebbe decidere di stringere legami più stretti con la Grecia, tradizionale partner in nome della comune fede ortodossa e del sostegno russo all’indipendenza di Atene contro il dominio ottomano. La Grecia non ha ancora avanzato alcuna richiesta, ha precisato il ministro russo in una intervista alla Cnbc, ma «se lo facesse lo prenderemmo sicuramente in considerazione».
Ora negli ambienti dominanti europei – e non solo – in molti si chiedono fino a dove possa spingersi il nuovo esecutivo ellenico in fatto di rapporti con la Russia. Già a maggio – dopo il golpe a Kiev, l’annessione della Crimea alla Russia e l’inizio dello scontro duro con la Ue – il segretario di Syriza si recò a Mosca per incontrare alcuni esponenti dell’esecutivo russo, con i quali discusse di possibili piani di cooperazione dopo una eventuale vittoria elettorale. Poco prima del viaggio a Mosca Tsipras si era già distinto dal coro europeo affermando che «uno degli errori principali della politica estera condotta dall’Unione Europea è stato quello di aver espresso sostegno al nuovo governo ucraino, che ha al suo interno forze neofasciste. Il ruolo della Russia non è stato certo positivo e in accordo con il diritto internazionale, ma l’Europa deve cercare ora una soluzione di pace e cooperazione». Poi, a settembre, gli europarlamentari di Syriza a Strasburgo avevano votato contro l’Accordo di Associazione tra Ucraina e Bruxelles.
Il nuovo ministro della Difesa e leader dei Greci Indipendenti, Panos Kammenos, ha un atteggiamento assai più entusiastico rispetto ai colleghi di Syriza nei confronti della Russia. Il 15 gennaio scorso è volato a Mosca per incontrare il capo della commissione Esteri della Duma, Aleksei Pushkov, assicurando ai colleghi russi che “Anel è pronta a creare un ampio gruppo di forze politiche dei paesi dell’Europa meridionale, le cui economie sono state danneggiate dalle sanzioni Ue contro la Russia”.
La decisione del governo Tsipras in merito a nuove sanzioni contro la Russia abbia ricevuto il plauso non solo da parte della destra nazionalista di Panos Kammenos ma anche dei neonazisti di Alba Dorata, secondo i quali gli interessi geopolitici greci sono contrari alle sanzioni alla Russia. E anche i comunisti del KKE, che lo riconoscano o meno, non sono certo scontenti per la mossa del governo Tsipras.
D’altronde i contadini greci a causa del blocco delle esportazioni di olio d’oliva e frutta verso la Russia hanno già perso mezzo miliardo di euro.
Probabilmente quanto scrive Foreign Policy – «Putin è il grande vincitore delle elezioni greche» – è frutto di una campagna allarmistica in cui si sono lanciati numerosi media ellenici e internazionali. Vedremo nelle prossime settimane e nei prossimi mesi se e quanto Syriza vorrà e saprà cambiare la politica estera dei suoi predecessori.
Se fino al 2013 Tsipras sosteneva la necessità di uscire dalla Nato e la chiusura della base navale statunitense sull’isola di Creta, man mano che diventava più concreta la possibilità di una vittoria elettorale le posizioni di Syriza si sono ammorbidite. In piena campagna elettorale, il 14 gennaio scorso, anche molti militanti del partito hanno sobbalzato sulla sedia quando il loro leader ha chiarito che non intende rompere con la Nato, in quanto «non nell’interesse del paese», e che la Grecia rispetterà gli accordi internazionali con l’Alleanza Atlantica e con l’Unione Europea.
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