In uno dei villaggi delle province nord-orientali, posto ai piedi delle cime innevate fra Afghanistan e Pakistan, nell’ottobre scorso una task force dell’Intelligence afghana, coadiuvata da truppe speciali dell’Us Army, ha compiuto caccia grossa. Lo rivela il New York Times raccontando come in quell’operazione è stato liquidato Abu Bara al-Kuwaiti e catturato il suo tesoro. Lui era un miliziano o un simpatizzante di Al Qaeda, il suo bene più prezioso consisteva in un pc zeppo d’informazioni. Molte riguardano il gruppo che fu di Osama Bin Laden che in quei luoghi, secondo la Cia, s’era nascosto tanto tempo addietro. Il materiale sequestrato sembra rappresentare un succulento bottino utile alla lotta anti talebana del presente e del futuro che ormai si combatte, da ambo le parti, anche sul terreno informatico. I governi di Kabul e Islamabad, intavolata una seppur indiretta collaborazione, per non crearsi problemi con l’opinione pubblica e i media cercano di nascondere il più possibile lo sviluppo delle operazioni. Anche quando i risultati sono a loro favorevoli. Da mesi questo conflitto segreto adotta operazioni “chirurgiche” contro la variegata e riottosa famiglia talebana e usa quei raid notturni che, fra il 2013 e il 2014, il presidente uscente Karzai aveva quasi azzerato.
Col Bilateral Security Agreement, definitivamente sdoganato dalla firma di Ashraf Ghani, l’antiterrorismo statunitense è ripreso con ampio uso di uomini e mezzi e coi militari americani non in funzione di semplici consiglieri. Lo stesso atteggiamento dell’amministrazione Obama sul ritiro delle truppe si sta adattando ai nuovi scenari: fra le truppe di terra si manterranno (o s’introdurranno) particolari reparti come quelli che hanno reso possibile l’agguato ad al-Kuwaiti. Si tratta di marines, rangers ed elementi paramilitari, qualcosa di peggio dei semplici contractors, meticolosamente addestrati dalla Cia. Le operazioni stanno offrendo una boccata d’ossigeno all’Afghan National Army che risultava sopraffatto dalle offensive talebane sviluppatesi da primavera all’autunno 2014. Rumori e umori raccolti dalla stampa statunitense fra i propri ufficiali riferiscono che ci sarebbe bisogno d’un ripristino in buona scala di raid aerei che mettono sotto pressione la guerriglia, pur provocando un gran numero di perdite civili. Sparare nel mucchio rientra fra le necessità che l’Us Army continua a programmare con le azioni di “prevenzione repressiva”. Per colpire un ex comandante talebano, tal mullah Abdul Rauf Khadim già rinchiuso a Guantanamo Bay e poi liberato, si è sparato con un drone su tutta la sua compagnìa. Probabilmente sodali o familiari oppure semplici vicini. Poco importa: il mullah era un obiettivo proprio per le notizie scaturite dalla disamina dei file del computer sequestrato nello scorso ottobre.
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