Numerosi cortei e manifestazioni di protesta erano state convocate ieri in diverse città della Turchia per ricordare Berkin Elvan ad un anno esatto dalla morte del ragazzo di 14 anni ucciso dalla polizia turca che gli sparò un lacrimogeno in testa. L’adolescente non era un manifestante, incappò in un corteo mentre andava a comprare il pane per la sua famiglia all’epoca dei moti popolari contro la repressione selvaggia degli attivisti che difendevano Gezi Park, nel giugno del 2013. A causa dell’impatto della spoletta di un lacrimogeno pesante quasi un chilogrammo sparata ad altezza d’uomo dagli agenti Elvan rimase in coma per 269 giorni per poi morire l’11 marzo dell’anno scorso.
Ieri per commemorare una delle tante vittime – ufficialmente 8, in realtà quasi il doppio – della repressione contro le proteste popolare nell’estate di due anni fa sono scese in piazza in tutta la Turchia alcune decine di migliaia di persone aderenti alle organizzazioni di sinistra, ai collettivi studenteschi, pacifisti ed ecologisti, alle associazioni per i diritti umani e ai sindacati conflittuali.
A Istanbul diverse persone sono state arrestate nel corso di un presidio nella centralissima piazza Taksim: una decina di manifestanti hanno esposto lo striscione ‘Berkin è qui’ mentre altri versavano vernice rossa sui gradini all’ingresso del parco Gezi.
Ad Ankara invece la polizia ha utilizzato i Toma con gli idranti per disperdere alcune centinaia di manifestanti che protestavano contro la brutalità del governo e delle forze dell’ordine arrestandone diversi. Un’altra dimostrazione è stata sciolta con la violenza dagli agenti nella città costiera di Izmir, dove da pochi giorni è stata inaugurata una statua dedicata al giovane Elvan, che ieri era stata danneggiata da sostenitori del governo liberal-islamista.
Ovunque I partecipanti alle commemorazioni hanno osservato un minuto di silenzio in ricordo del giovane ammazzato, poi hanno intonato una canzone scritta per Berkin Elvan dal gruppo musicale Grup Yorum.
Secondo la stampa turca alla fine della giornata di ieri i manifestanti arrestati in tutto il paese ammontavano a 68. Alcuni quotidiani antigovernativi hanno pubblicato oggi la foto di un agente che punta un fucile automatico contro un giovane manifestante disarmato, mani alzate, a neanche un metro di distanza.
Violenti scontri tra polizia e manifestanti sono scoppiati in diverse località dopo le manifestazioni. Alla polizia che utilizzava idranti e gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti questi ultimi hanno risposto con il lancio di pietre e biglie e fuochi d’artificio ed erigendo delle improvvisate barricate. Nel quartiere di Okmeydanı, a İstanbul, dove Berkin Elvan viveva con la sua famiglia prima di essere ucciso, sulla strada è stato esposto simbolicamente un tavolino, con una foto del ragazzo, dei garofani e una pagnotta di pane. Quella che stava andando a comprare quando un poliziotto gli ha sparato a bruciapelo. Poi i manifestanti sono stati attaccati e in parte dispersi dalla polizia che ha iniziato a sparare lacrimogeni e a usare i cannoni ad acqua per evitare che la folla marciasse al Cimitero Feriköy dove il ragazzo è stato sepolto. Poi, sempre nel quartiere di Okmeydanı, alcuni militanti del Fronte Rivoluzionario di Liberazione del Popolo (Dhkp-c) hanno sfilato nelle strade armati di fucili attaccando le forze di sicurezza con bottiglie molotov.
Ma al governo sembra non servano le manifestazioni per arrestare studenti e dissidenti. Poche ore prima che le città turche si infiammassero di nuovo in occasione dell’anniversario della morte di Berkin Elvan a Smirne venivano arrestati quattro giovanissimi studenti accusati di aver ‘offeso’ il presidente Recep Tayyip Erdogan. I quattro giovani sono stati fermati dalla polizia mentre uscivano dai locali dell’Università, accusati di avere fatto delle dichiarazioni critiche nei confronti del ‘sultano’ nel corso di una manifestazione all’Università Ege. Da dicembre decine di persone – fra cui molti giornalisti – sono state arrestate o incriminate per presunte ‘offese’ a Erdogan, un reato per il quale sono previste condanne fino a 4 anni di carcere.
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