“Questo accadrà a tutti i politici che non vorranno allinearsi”: è questo il macabro avvertimento firmato Los Rojos rinvenuto accanto al corpo senza vita di Aidé Nava, 42 anni, aspirante candidata sindaco per il comune di Ahuacuotzingo, nello stato meridionale di Guerrero, al voto di giugno.
Aidè Nava, militante della corrente ‘Nueva Izquierda’ del Partido de la Revolución Democrática (Prd) – l’opposizione di centro-sinistra messicana la cui direzione è accusata di essere collusa ormai con il sistema di potere e i narcos – è stata torturata, decapitata e poi abbandonata nelle campagne alla periferia della cittadina. Sei uomini armati l’avevano sequestrata lunedì sera mentre era impegnata in una riunione con un gruppo di abitanti della località di Tecoanapa. Appena sabato si era registrata per presentarsi alle prossime elezioni amministrative.
A rivendicare il barbaro omicidio sono stati i narcotrafficanti della banda dei Los Rojos, nemici dei Guerreros Unidos, questi ultimi indicati, nella versione ufficiale ancora lacunosa, come i responsabili del sequestro e dell’uccisione dei 43 studenti della Scuola Normal Rural di Ayotzinapa per ordine dell’allora sindaco di Iguala, José Luis Abaca, anch’egli del Prd, fra il 26 e il 27 settembre scorsi.
Appena nove mesi fa, il 28 giugno 2014, il marito di Aidè, il già sindaco dello stesso comune di Ahuacuotzingo, Francisco Quiñónez Ramírez, era stato a sua volta assassinato a colpi di arma da fuoco. L’inchiesta non ha mai portato ai colpevoli ma è lecito pensare che si trattasse anche in quel caso dei narcos in combutta con i partiti di governo o le correnti corrotte della sua stessa formazione politica. L’11 ottobre 2012 il figlio della coppia, Francisco Quiñónez Nava, era stato sequestrato apparentemente a scopo di estorsione. Di lui si sono perse le tracce e il giovane rimane allo stato un ‘desaparecido’.
I rapporti affermano che oltre 100.000 persone sono morte in Messico a causa della violenza legata al narcotraffico negli ultimi otto anni, per non parlare di migliaia di persone sequestrate, torturate e poi rilasciate, un monito alla politica e a chiunque contrasti in qualche modo lo strapotere delle gang mafiose e dei loro agganci politici.
Dati che fanno dire al relatore speciale delle Nazioni Unite contro la tortura che “la tortura è problema diffuso” in Messico, paese in cui per tali abusi vige la più completa e generalizzata impunità. “La pratica della tortura e dei maltrattamenti, utilizzati come punizione e come mezzo di indagine, è generalizzata. Questa pratica è dovuto a diversi fattori. Nell’ambito legale, per la mancanza della definizione di tortura. Nella pratica, per l’abitudine ad arrestare per indagare invece di indagare per arrestare” ha denunciato Juan Méndez parlando al Consiglio dei diritti umani dell’Onu a Ginevra. Un intervento durissimo durante il quale ha sottolineato non solo l’impunità dei narcotrafficanti e il sistema di omertà che li protegge all’interno del sistema politico, mediatico e giudiziario, ma anche le enormi responsabilità delle forze dell’ordine che utilizzano metodi tanto brutali quanto quelli tipici dei narcos. Il rapporto esposto dal relatore dell’Onu descrive come in Messico i pubblici ufficiali archivino spesso senza indagini le denunce delle vittime di tortura e come i medici legali che lavorano per il governo ignorino frequentemente i segni di tortura sui corpi esaminati.
“La polizia e i soldati si servono regolarmente della tortura per punire o estorcere false confessioni o informazioni dai detenuti nella cosiddetta ‘guerra alla droga’. Spesso, le vittime sono costrette a firmare dichiarazioni sotto tortura e in molti casi sono condannate unicamente sulla base di queste affermazioni. Gli esami di medicina legale, quando vengono eseguiti, di solito non sono all’altezza degli standard internazionali” ha spiegato da parte sua Erika Guevara-Rosas, direttrice del Programma Americhe di Amnesty International, organizzazione che in un suo rapporto dello scorso anno raccoglie numerosi casi di violenze compiute da poliziotti o militari. Come le torture inflitte ad Ángel Colón – sottoposto ad asfissia e ad un pestaggio da parte dei soldati mentre era detenuto in una base militare, e che ha dovuto aspettare cinque anni prima di essere esaminato da un esperto indipendente di medicina legale – o a Claudia Medina, violentata da alcuni soldati della marina militare.
Per tutta risposta, l’ambasciatore del Messico presso le Nazioni Unite, Jorge Lomonaco, si è categoricamente difeso, negando che la tortura sia così diffusa nel paese visitato recentemente da Mendez. Consultato sul tema, il ministro degli Esteri, José Antonio Meade, ha sostenuto che il suo governo comunque compirà ulteriori sforzi per sradicare la tortura, pur non avvalorando la denuncia del relatore speciale.
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