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L’incubo dell’Isis ceceno sulla Russia. Per conto terzi

La pista cecena nell’omicidio di Boris Nemtsov, ex ministro elstiniano e ritenuto un grande oppositore di Putin, potrebbe essere una pista di comodo, ma potrebbe anche essere una classica operazione “false flag” tesa a complicare la vita a Putin. Secondo le forze di polizia russe infatti, Nemtsov sarebbe stato ucciso da un gruppo di uomini di origine cecena, e la polizia ha arrestato Zaur Dadaev e Anzor Gubašev insieme ad altre tre persone. Un sesto sospettato si sarebbe invece suicidato la notte del 7 marzo nel suo appartamento a Grozny, durante un blitz della forze speciali russe. Zaur Dadaev, è  l’unico tra i fermati che avrebbe confessato l’omicidio di Nemtsov, secondo gli oppositori Putin però avrebbe confessato perché torturato e poi avrebbe ritrattato. Ma Dadaev non è un bandito di strada o un killer prezzolato arruolato nelle file della malavita caucasica di Mosca. Infatti è stato vicecomandante del battaglione Sever delle forze speciali cecene che hanno combattuto al fianco di quelle russe in Cecenia. Nell’ottobre del 2010 era stato decorato con una medaglia al merito dallo stesso Putin. Secondo gli inquirenti, Boris Nemtsov sarebbe stato ucciso da Dadaev e dagli altri jihadisti ceceni perché aveva difeso pubblicamente le vignette su Maometto pubblicate sul settimanale satirico francese Charlie Hebdo. Una versione che si adatta perfettamente a quella che qualsiasi governo europea utilizzerebbe in questi mesi, con la sola variante del jihadismo interno ceceno invece di quello banlieusard della Francia o degli “integrati” in Gran Bretagna.

L’incubo del jihadismo ceceno su quanto sta accadendo e accadrà  prossimamente in una Russia di nuovi ai ferri con gli Stati Uniti, si porta dietro elementi molto concreti. Magari non legati direttamente all’omicidio di Nemtsov ma sicuramente ascrivibili ad una nuova escalation del terrorismo jihadista di matrice cecena in Russia.

Erano il 29 e il 30 dicembre 2013 quando dei sanguinosi attentati colpirono la città russa di Volgograd (la ex Stalingrado) facendo 33 morti. Tra gli organizzatori degli attentati era stato indicato il jihadista ceceno Doku Umarov, autoproclamatosi emiro del califfato del Caucaso. Alla stessa rete cecena erano stati accollati anche gli attentati che nel 2011 sconvolsero Mosca, con 80 morti tra le strade della capitale e all’aeroporto di Domodedovo.

Sei mesi prima degli attentati, il 31 luglio 2013 il capo dell’intelligence saudita, il principe Bandar, viene ricevuto a Mosca da Putin. L’oggetto dei colloqui è  la situazione in Siria, dove la posizione della Russia aveva fatto saltare i piani di Stati Uniti e petromonarchie del Golfo (Arabia Saudita in testa) di destabilizzare e deporre la leadership di Damasco così come era avvenuto due anni prima con Gheddafi in Libia. Durante i colloqui, il principe saudita Bandar ha lasciatoi intendere che non avrebbe potuto impedire le azioni terroristiche degli islamisti nel Caucaso, se la Russia non avesse cessato il suo sostegno alla Siria. Un avvertimento ribadito anche in una seconda riunione bilaterale tenutasi il 3 dicembre del 2013.

Il principe Bandar bin Sultan, ha profondi legami, di lunga data, con gli alti livelli della politica, dell’esercito e dell’intelligence statunitensi. Bandar è stato addestrato ed indottrinato alla Maxwell Air Force Base e all’Università Johns Hopkins, servì come Ambasciatore saudita in USA per più di due decenni (1983 – 2005). Tra il 2005 – 2011 è stato Segretario del Consiglio Nazionale di Sicurezza e nel 2012 fu promosso Direttore Generale dell’Agenzia di Intelligence saudita. Agli inizi, Bandar fu profondamente coinvolto in operazioni di terrorismo clandestino in collegamento con la CIA.” Bandar sta probabilmente sostenendo e fornendo armi ai musulmani Uighuri nella Cina Occidentale, ai ceceni e agli islamici caucasici in Russia, anche se i sauditi siglano i loro accordi petroliferi con la Cina e cooperano con la Gazprom russa” scrive James Petras in un saggio dedicato proprio al “principe nero” saudita.

Alla vigilia del primo colloquio tra Russia e Arabia Saudita, l’emiro del Caucaso Doku Umarov, aveva annunciato attentati in occasione dei Giochi Olimpici di Sochi. Umarov, aveva invocato i jihadisti ceceni di andare a combattere in Siria (insieme agli uomini del principe Bandar) per acquisire le competenze necessarie per poi “liberare il Caucaso.” Nel 2014, con l’avvicinarsi delle Olimpiadi di Sochi (sempre in Russia) svoltesi dal 7 al 23 febbraio, le cellule del terrorismo jihadista coordinate da Umarov e dal suo vice Aslan Byutukayev avevano ricevuto l’ordine di rendere insicura non solo la regione sul mar Nero, ma tutto il territorio della Federazione. Ma le strette maglie della sicurezza russa non consentirono ai jihadisti ceceni di poter agire con attentati di fronte ad una vetrina internazionale come le Olimpiadi. Un documento dell’Ispi di Milano (Istituto di Studi di Politica Internazionale), coglie bene questa connessione: “A ben guardare, dietro le minacce per Sochi 2014, si cela in effetti una trama geopolitica che passa per il Medio Oriente e che coinvolge un esponente di spicco dello stato saudita” scrive nel documento “Il 31 luglio scorso infatti, stando a fughe di notizie diplomatiche poi riprese dalla stampa russa e libanese, il potente capo dell’intelligence e principe saudita Bandar Bin Sultan si sarebbe incontrato fuori Mosca con il presidente russo Putin, e gli avrebbe proposto un accordo in base al quale i russi avrebbero dovuto abbandonare il loro cruciale supporto al regime di Bashar Al Assad in cambio della “protezione” delle Olimpiadi di Sochi da parte dei sauditi, che avrebbero evitato possibili azioni terroristiche condotte da fazioni islamiche del Caucaso settentrionale da loro evidentemente controllate. In seguito al netto rifiuto russo della proposta, le velate minacce saudite si sarebbero tradotte in realtà con gli attentati suicidi a Volgograd degli ultimi mesi”.

Secondo la rivista specializzata “Internazionale”, il Caucaso si appresta a diventare il prossimo teatro di azione dell’Isis e per il leader del Cremlino era già chiaro da tempo. “La regione incuneata tra la Russia, l’Iran e la Turchia è un’intricata rete di tensioni, sfociate più volte in violenza negli ultimi tre decenni, in diversi punti caldi. Dalla Cecenia al Nagorno-Karabakh sino alla Georgia”. E in particolare la Cecenia, potrebbe tornare ad essere una grossa preoccupazione, soprattutto da quando il nuovo emiro del jihadismo ceceno Omar Batirashvili, che durante il conflitto armato in Ossezia del sud nel 2008 ha combattuto dal lato georgiano, promette di “tornare” in Russia. Con al suo fianco “molte migliaia di persone”.

 

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