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Brasile. Corruzione, la destra cavalca la protesta

Sono “prove più che sufficienti” quelle che hanno motivato la incriminazione formale del tesoriere del partito di governo, il Partito dei Lavoratori (Pt) della presidente Dilma Rousseff, João Vaccari. Lo hanno affermato oggi i procuratori che guidano la maxi inchiesta sullo scandalo per corruzione che ha colpito il colosso petrolifero nazionale, Petrobras. I magistrati hanno accusato Vaccari di aver sollecitato donazioni all’ex direttore dei servizi della società, Renato Duque, e a dirigenti di imprese accusate di aver intascato e canalizzato soldi provenienti dall’azienda. Secondo il pm Deltan Dallagnol, Vaccari era del tutto “consapevole” che le donazioni richieste sarebbero corrisposte a denaro ottenuto illegalmente, come confermerebbero una serie di dirigenti arrestati alla fine dello scorso anno che hanno accettato di patteggiare in cambio di sconti di pena. Grazie ai patteggiamenti, ha sottolineato Dallangol, 500 milioni di reais (154 milioni di dollari) indebitamente distratti torneranno allo Stato.
Se il Pt ha sempre sostenuto la provenienza legale di ogni donazione, il capo dello stato Dilma Rousseff ha più volte negato di essere a conoscenza della rete di corruzione all’interno della Petrobras quando ne era la presidente, fra il 2003 e il 2010. Ma i continui arresti e le indagini della magistratura a carico di esponenti dei partiti di governo (e a dir la verità anche di quelli dell’opposizione di destra) hanno fatto salire la pressione sull’esecutivo, come hanno dimostrato le recenti e massicce proteste di piazza andate in scena ieri in quasi 150 diverse località del Brasile, dopo che venerdì erano stati i sostenitori della presidenza e del Pt a scendere in piazza ma non altrettanto numerosi.
Evidentemente, le varie centinaia di migliaia di persone che hanno manifestato ieri contro la corruzione – forse un po’ meno dei ‘2 milioni’ vantati dalla stampa padronale – non erano tutte di destra. Da tempo ormai il malcostume e gli scandali contraddistinguono la politica di un governo a guida Pt – e alleato con forze centriste – che se è riuscito a risollevare le sorti del paese dal punto di vista economico e a favorire l’espansione delle classi medie e la relativa diminuzione della povertà assoluta, non ha saputo e voluto cambiare radicalmente la struttura di una società dominata da profondissime ineguaglianze.
Ma è anche vero che a sfruttare e a strumentalizzare il malcontento proprio delle classi medie per una gestione della cosa pubblica costellata di episodi di corruzione è quella destra che non è affatto estranea al sistema delle tangenti e alle collusioni tra impresa e politica. Basti vedere le appartenenze politiche di molti dei personaggi politici finiti nella rete delle inchieste. Eppure la destra brasiliana sembra stia riuscendo a cavalcare la protesta sfociata in una delle mobilitazioni di piazza più partecipate degli ultimi tempi, dove hanno trovato cittadinanza parole d’ordine e slogan che in realtà prendono di petto Rousseff e il Pt in quanto di sinistra, invocando addirittura l’intervento dei militari. Se la protesta contro la corruzione sembra essere genuina tra i settori meno militanti così non pare per quanto riguarda gli stati generali della destra e dell’estrema destra, che tentano di utilizzare le mobilitazione per accreditarsi come alternativa al caos e di dare una spallata di piazza ad un partito – quello dei Lavoratori – che non sono riusciti a battere all’interno delle urne neanche tre mesi fa. La stampa brasiliana riporta ad esempio di assalti contro le sedi del Pt in alcune località o di aggressioni nei confronti di militanti e dirigenti petisti in altre, indice di un clima che si sta velocemente surriscaldando.
La sinistra radicale e ambientalista brasiliana critica ormai anche ferocemente la deriva moderata del partito che fu di Lula, i rapporti con l’agrobusiness, la verve neoliberista e all’insegna dell’austerity del ministro dell’Economia Joaquim Levy, i ritardi nell’adozione di riforme sociali più volte promesse e mai realizzate. Ma allo stesso tempo teme il montare di una destra sempre più aggressiva e spregiudicata che non nasconde i propri legami con una dittatura militare conclusasi solo nel 1985. Non è sfuggita ai più l’enorme differenza tra le manifestazioni del giugno 2013 – quando più di un milione di persone protestarono contro lo sperpero di denaro pubblico per i mondiali di calcio chiedendo più investimenti pubblici per trasporti, istruzione e sanità – già infiltrate da alcuni settori della destra meno identitaria e quelle di ieri, apertamente inneggianti alla destituzione di una Rousseff accostata in slogan e cartelli a Castro e Chavez.

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