A meno di tre mesi dalle cruciali elezioni politiche previste il 7 giugno prossimo, per la prima volta da quando è al potere, cioè dal 2002, il ‘sultano’ Recep Tayyip Erdogan è contestato all’interno del suo stesso partito e in rotta di collisione con il governo dell’ex ‘fedelissimo’ e a lungo ministro degli esteri Ahmet Davutoglu.
Diversi analisti da tempo evocavano l’irritazione crescente di Davutoglu, premier da quando Erdogan in agosto è diventato capo dello stato, davanti alle continue ingerenze del presidente negli affari di competenza dell’esecutivo. Ma ora lo scontro è diventato pubblico e rischia di minare la credibilità di un partito che già soffre una discesa nei sondaggi per la prima volta negli ultimi anni. Nel partito al potere le lacerazioni interne si fanno cosi sempre più forti, ha avvertito un editorialista vicino a Erdogan, Abdulkadir Selvi: “gli elettori votavano l’Akp perchè era simbolo di stabilità. Ora l’incantesimo è rotto”.
Il vicepremier e portavoce del governo Bulent Arinc ha bollato come “reazioni emotive” e “opinioni personali” le critiche mosse da Erdogan all’esecutivo sul negoziato in corso sul futuro dello status del Kurdistan, comprese le trattative con il Pkk, e gli ha ricordato che “in Turchia c’è un governo”. Parole quasi inaudite in un paese da 13 anni governato con pugno di ferro dal ‘sultano’ Erdogan. Il sindaco di Ankara Mehli Gokcek, un suo fedelissimo, ha chiesto le immediate dimissioni di Arinc, accusato di essere ‘agli ordini’ dell’imam Fetullah Gulen, l’imprenditore e imam a lungo alleato di Erdogan, la cui ascesa al potere ha favorito dal suo esilio dorato negli Stati Uniti, e da alcuni anni suo acerrimo competitore. La crisi è sintomatica della preoccupazione crescente in seno al partito islamista e liberista Akp davanti ai sondaggi che danno il partito sotto il 40%, contro il 50% ottenuto del 2011. Con il 39% delle intenzioni di voto il prossimo 7 giugno il partito di Erdogan perderebbe la maggioranza assoluta in parlamento, e non sarebbe più in grado di governare da solo, e avrebbe anche difficoltà a trovare alleati consistenti. Sarebbe uno smacco enorme per il presidente che invece aspira a una maggioranza ancora più schiacciante di quella ottenuta alle scorse legislative che gli consenta di cambiare la costituzione della Turchia per trasformare il paese in una Repubblica Presidenziale.
Il presidente, in teoria super partes secondo la costituzione, è in piena campagna e ha chiesto agli elettori di dare al suo partito una ampia maggioranza assoluta per istituire un sistema super-presidenziale che per le opposizioni di destra e centrosinistra darebbe luogo a una vera e propria dittatura personale. I sondaggi indicano un’emorragia di voti Akp verso i nazionalisti di destra del Mhp e la sinistra curda nazionalista del Hdp. In occasione del Newroz il leader storico del Pkk Abdullah Ocalan ha lanciato sabato un nuovo appello ai guerriglieri del Pkk affinché rinuncino alla lotta armata, sulla base di una piattaforma in 10 punti concordata con il governo Davutoglu. Ma Erdogan si è messo immediatamente di traverso: ha prima dichiarato che non c’è più un ‘problema curdo’ in Turchia, poi ha criticato la strategia di Davutoglu, compreso l’avvio di trattative dirette con il Pkk, avvertendo che prima di qualsiasi negoziato i ribelli devono deporre le armi, opzione che alcuni capi militari della guerriglia hanno già ovviamente scartato. Tutti chiari messaggi volti a recuperare il voto nazionalista. Ma le tensioni fra il governo, che secondo la costituzione ha il potere esecutivo, e il capo dello stato, dal ruolo in teoria simbolico ma che vuole dirigere il paese, si fanno sempre più forti. Erdogan vuole anche imporre a Davutoglu, formalmente leader Akp, i nomi dei candidati alle politiche, ha formato un suo ‘governo ombra’, attaccato la Banca Centrale facendo precipitare la lira già ai minimi storici da molti anni a questa parte, convocato e presieduto al posto del premier già due consigli dei ministri. Secondo il quotidiano Taraf Erdogan teme che dopo il voto Davutoglu dichiari una ‘autonomia politica’, e “lo rinchiuda” nelle 1.150 stanze del suo nuovo faraonico palazzo neo-ottomano di Ankara.
Al quale ora Erdogan ha aggiunto anche il Savarona, lo yacht ufficiale del fondatore della Repubblica turca Mustafa Kemal Ataturk, che sarà utilizzato per ospitare capi di stato oltre che per scortare il presidente durante le visite ufficiali. Lo ha annunciato il ministero del Turismo e della Cultura, Omer Celik. Erdogan in realtà ha già ospitato a bordo del Savarona, il 4 marzo, Bakir Izetbegovic, presidente della Bosnia ed Erzegovina.
Lo yacht, che è lungo 136 metri e ha 17 suite di lusso, fu costruito nel 1931 per la figlia del capo ingegnere del ponte di Brooklyn, John A. Roebling. Fu in seguito venduto alla Turchia nel 1938 e presentato come dono ad Ataturk, che però potè trascorrere solo sei settimane a bordo prima della sua morte, il 10 novembre di quell’anno.
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