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Ucraina: guerra aperta tra oligarchi, silurato Kolomoisky

Il tri­bu­nale di Kiev ha rifiu­tato alla fine di con­fer­mare l’arresto dell’ex capo dei ser­vizi di emer­genza del regime golpista, Serhiy Bochkovsky, e del suo vice, Vasyl Stoye­tsky. I due erano stati arre­stati in diretta tv mer­co­ledì scorso, addirittura nel corso di una riunione del governo guidato dal falco Yatseniuk, con l’accusa di cor­ru­zione, nella fattispecie di essersi riempiti le tasche di fondi pubblici. Ma dopo lo scenografico arresto sia il pm sia i giudici hanno fatto un passo indietro, affermando che non ci sarebbero prove dirette del reato di cui i due dirigenti restano comunque accusati e che potrebbe portare nei prossimi giorni ad una nuova richiesta di arresto. A difesa dei due si era schierato addirittura il direttore del comitato contro la corruzione, Vitali Sha­bu­nin, secondo il quale la poli­zia può ese­guire degli arre­sti senza un ordine del giu­dice solo se i sospet­tati sono colti in fla­granza di reato.

E’ solo l’ultimo episodio di una guerra senza quartiere tra le diverse bande e tra gli oligarchi che si contendono gli aiuti occidentali e l’unico business ancora in piedi in un paese di fatto senza economia, i contratti sulle risorse energetiche. Una guerra che ha già causato una vittima eccellente, il super oligarca Igor Kolomoisky, che il presidente – e a sua volte oligarca miliardario – Petro Poroshenko ha costretto alle dimissioni dalla sua carica di governatore della strategica regione orientale di Dnepropetrovsk.

Il contrasto frontale tra il presidente ucraino – eletto nel maggio 2014 in conseguenza del golpe filoccidentale di febbraio, che secondo la rivista Forbes è il sesto uomo più ricco del paese con un patrimonio di 1.3 miliardi di dollari – e l’ancora più ricco Igor Kolomoisky – al quarto posto con 1.8 miliardi di dollari – data ormai da lungo tempo, causato dalla competizione per il controllo delle aziende energetiche statali Ukrnafta e Ukrtransnafta, al cui vertice c’erano dal 2009 il gruppo ‘Privat’ di Kolomoisky e Olexandr Lazorko, scelto ai tempi del governo guidato dall’allora premier ‘arancione’ Julia Timoshenko.
Lazorko è stato accusato dal governo di aver permesso a Kolomoisky di deviare parzialmente il flusso di gas e petrolio diretti verso il Donbass (sottoposto a un duro embargo economico dal regime di Kiev) verso altri lidi. Così centinaia di migliaia di tonnellate di greggio e gas sarebbero finite nei depositi del governatore che se le sarebbe rivendute al mercato nero.
Lo scontro è precipitato a metà mese. Lo scorso 19 marzo la Rada, il parlamento ucraino, ha abbas­sato dal 60% al 50% più una azione il quo­rum per le assem­blee degli azio­ni­sti, pri­vando così Kolomoisky del con­trollo totale che esercitava su Ukr­nafta, la prin­ci­pale compagnia petrolifera del paese, per il 50% di proprietà dello stato. Così facendo il gruppo Pri­vat di Kolomoisky, che controlla il 42% delle azioni del gruppo, oltre a non poter più dominare l’assemblea degli azionisti dovrà anche pagare divi­dendi allo Stato per circa 1,7 miliardi di gri­vne. Dopo il varo della norma sponsorizzata da Poroshenko e dai suoi alleati, il presidente ha intimato la sostituzione di Lazorko con il più fedele Yury Miroshnyk. Una decisione che Kolomoisky non ha preso affatto bene, tanto che durante lo scorso fine settimana si è arrivati a un passo dallo scontro armato quando Lazorko si è barricato nella sede di Ukrtransnafta insieme alle sue guardie armate di kalashnikov – lo stesso è successo a Ukrnafta – impedendo a lungo a Miroshnyk, protetto da un commando di forze speciali della polizia di prendere possesso del suo ufficio. Per cercare di salvare il salvabile si è esposto anche lo stesso Kolomoisky che, arrivato in persona negli uffici dell’azienda occupata e assediata nel centro di Kiev, di fronte a un folto manipolo di giornalisti ha denunciato quello che ha definito ‘un complotto filorusso’ contro di lui.
Dopo che martedì i mercenari di Kolomoisky hanno dovuto abbandonare le sedi di Ukrnafta e Ukrtransnafta, l’esposizione dell’oligarca ha però di fatto consentito al ‘re del cioccolato’ di pretendere e ottenere la testa del suo competitore, il quale è stato obbligato a rinunciare alla carica di governatore della sua Dne­pro­pe­tro­vsk, regione dove l’oligarca ha soprattutto nell’ultimo anno fatto il bello e il cattivo tempo, governando per conto di Kiev ma sulla base dei propri interessi grazie alle squadracce di estremisti di destra armati fino ai denti – in particolare quelli del battaglione neonazi ‘Dnepr 1’ – e all’incontrastato potere economico del suo gruppo ‘Privat’ che possiede banche, imprese e un immenso patrimonio immobiliare. Puntando sul suo potere Kolomoisky ha anche tentato di rimanere incollato alla sua poltrona, mobilitando i suoi sostenitori – spontanei e prezzolati – per dar vita a una marcia ribattezzata «Azione civile in difesa dell’unità dell’Ucraina», per partecipare alla quale nella città feudo orientale sono arrivati battaglioni ultranazionalisti e di estrema destra non solo da tutta la regione ma addirittura da Odessa e altri territori, compresi molti gruppi aderenti a Settore Destro.
Ma davanti alle telecamere delle televisioni ucraine il capo dello Stato ha enfaticamente “accettato le dimissioni” presentate dal suo principale rivale, salito alla ribalta lo scorso anno come uno dei principali finanziatori prima delle proteste contro il presidente Viktor Yanukovich – defenestrato con il golpe di febbraio – e poi di diversi battaglioni di volontari che combattono ancora oggi nel Sud-Est contro le milizie delle Repubbliche Popolari.
Ma il forzato passo indietro a livello istituzionale di Kolomoisky, sostituito da Valentin Reznichenko, ex manager del gruppo Ukraine Media Holding di proprietà dell’oligarca Boris Loshkin e capo attuale dell’amministrazione presidenziale, non assicura che il duello con Poroshenko sia risolto definitivamente. I gruppi di potere che fanno riferimento ai due oligarchi più in vista del Paese giocano infatti le loro carte non solo sul tavolo della politica, ma anche sul piano economico e militare, sia a Kiev che nelle diverse regioni. Ad esempio nei giorni scorsi alcuni deputati eletti nel Blocco Poroshenko hanno abbandonato la frazione parlamentare del presidente schierandosi con l’oligarca sotto attacco, destabilizzando e indebolendo ulteriormente una maggioranza di governo formata da ben cinque partiti di destra ed estrema destra a loro volta teatro di aspre contese tra le diverse lobby e i diversi clan.
La forse solo momentanea parabola di Kolomoisky potrebbe portare ad una ascesa di altri oligarchi, come ad esempio Henadiy Boholyubov, socio di Kolomoisky al terzo posto della classifica di Forbes e per ora meno esposto mediaticamente, oppure di Dmitri Firtash e soprattutto di Rinat Akhmetov, primo della lista degli uomini più ricchi del paese con un patrimonio di 11,2 miliardi di dollari. Le dimissioni del governatore di Dnepropetrosvk alleggeriscono la pressione su altri gruppi che nello scorso anno nella regione sono stati messi ai margini dall’aggressività di Kolomoisky, da quello di Victor Pinchuk a quello di Julia Timoshenko. Così come dopo la cacciata di Yanukovich l’allora presidente ad interim, il golpista Olexandr Turchynov, aveva sostituito tutti i governatori delle regioni del sudest, così Poroshenko sta piazzando sulle poltrone di diversi oblast orientali e meridionali, ma anche di quelli dell’ovest e del centro, da Leopoli a Vinnitsia, uomini a lui fedeli. In bilico ora c’è anche il governatore di Odessa, Igor Palitsa, alleato di Kolomoisky e oligarca di media stazza. 
Non male per una ‘rivoluzione’, quella di Maidan, descritta dai suoi promotori e da molta stampa anche di sinistra come ‘antioligarchica’.

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