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Il sogno democratico turco, oltre Islam politico e kemalismo

Intervista a Sibel Güler.

Sibel Güler è una giornalista kurda. Ha iniziato giovanissima a collaborare con la testata Özgür Gündem, finita costantemente sotto attacco di vari governi. Nel periodo buio del conflitto interno, compreso fra il 1990 e il 1998, settanta reporter di Özgür Gündem persero la vita in un attentato. Per le continue pressioni subìte Güler dal 2006 si trasferisce a Londra, rientrando in Turchia nel 2010. Nel 2011 viene arrestata assieme a 33 colleghi perché sospettata di far parte del Pkk. Rimane reclusa per trenta mesi senza capi d’imputazione, quindi è scarcerata. Continua a lavorare fra Londra e Istanbul.

Sibel, i sanguinosi eventi degli ultimi giorni mostrano un forte disagio nel Paese. Lo strapotere del presidente-sultano vacilla?

Erdoğan vuole riconfermare a tutti i costi la sua leadership ed è probabile che ci riesca con l’ennesimo successo elettorale. Tuttavia i sondaggi indicano un Akp in calo. Inoltre c’è una spaccatura interna, diversi deputati non approvano la linea presidenziale. Fra costoro due fondatori del partito islamico: il vicepremier Bülent Arinç che l’ha più volte criticato pubblicamente; e l’ex presidente Abdullah Gül, figura ancora molto influente nel Parlamento, che ha comunque deciso di non candidarsi alle elezioni del 7 giugno. Nelle presidenziali della scorsa estate Erdoğan aveva ottenuto il 51.9% dei voti, mentre il candidato dell’Hdp e attuale co-presidente, Selahattin Demirtas, raggiungeva un lusinghiero 9.7%. Ora, la possibilità per l’Akp di replicare il consenso plebiscitario delle ultime consultazioni si fa meno sicuro, il partito difficilmente riuscirà a ottenere in Parlamento i 400 seggi necessari per trasformare in senso presidenziale la Costituzione. Erdoğan è iroso perché non esercita più il controllo assoluto d’un tempo. Effettivamente il suo trono vacilla e certe crepe sono palesi.

Negli ultimi attentati quant’è reale la teoria della provocazione governativa o all’inverso del complotto anti erdoğaniano?

Il quadro è complicato: innanzitutto, è necessario conoscere la storia del Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo (Dhkp-c il gruppo che ha compiuto il sequestro del procuratore Kiraz, ndr). Quest’organizzazione, d’ispirazione marxista-leninista, è nata nel 1994 dalla spaccatura della Sinistra Rivoluzionaria, Dev Sol, e si è via via caratterizzata con azioni spesso discutibili e sospette. I numerosi attacchi a ufficiali e militari turchi e le varie proteste compiute hanno da sempre diviso l’opinione pubblica. Un esempio: lo sciopero della fame nelle carceri turche promosso nel 2000 da diversi gruppi di estrema sinistra (fra i quali il Dhkp-c) per contestare le nuove misure di sicurezza, condusse alla morte decine di detenuti. Un altro caso sospetto è stato l’uccisione di Bedri Yağan, che era un importante figura del Dhkp-c. Dopo la sua morte Karatas divenne leader del gruppo e da quel momento ogni cosa cambiò. Nel ’96 il preminente uomo d’affari Sakıp Sabancı, fratello di Özdemir, venne ucciso dal Dhkp-c. Prima del proprio assassinio Sakıp sosteneva che la questione kurda doveva essere risolta su un tavolo di trattative. L’omicidio tappò la bocca a chi pronunciava frasi ingombranti. Quest’attentato e altri di simile natura hanno puntualmente indebolito i negoziati fra i kurdi e il governo. Il tempismo del Dhkp-c nel compiere azioni armate lascia dubbi e sospetti, quasi si volesse compromettere ogni tentativo di sciogliere il nodo kurdo. Personalmente non condivido la pratica del Dhkp-c, valuto i loro agguati tutt’altro che rivoluzionari. Certo, l’obiettivo annunciato è l’abbattimento del regime di Erdoğan sostenuto da americani e Nato, ma ripeto: quelle azioni lasciano molti punti interrogativi e appaiono piene di contraddizioni. Invece non penso che dietro gli ultimi atti di Istanbul ci sia la mano dell’Akp.

I gruppi marxisti turchi persistono nella lotta armata, una via che altre nazioni, ad esempio in Europa, hanno conosciuto negli anni Settanta. E che non ha pagato

Da noi l’epoca della lotta armata è conclusa. Tuttavia, dopo l’11 Settembre, gli attacchi sporadici di gruppi legati alla guerriglia urbana hanno provocato forti reazioni tra l’opinione pubblica. L’ideologia di queste organizzazioni che, come il Fronte di liberazione del popolo, si definiscono rivoluzionarie è arcaica e poco s’adatta alle dinamiche politiche attuali. Però non tutte le organizzazioni che si richiamano al marxismo-leninismo sono uguali: il partito Mlkp, anch’esso nella lista dei gruppi terroristici in Turchia, da oltre trent’anni è riuscito a stringere legami col Pkk. Di recente molti dei suoi militanti si sono arruolati nelle Unità di difesa del popolo a Kobanê. In generale le organizzazioni di estrema sinistra non sono state in grado di leggere e analizzare l’odierno contesto mediorientale, di comunicare in maniera efficace i propri programmi e l’ideologia alla popolazione. L’incapacità di raggiungere e coinvolgere il popolo turco – in difesa del quale dichiarano di agire – li ha spinti verso una graduale marginalizzazione. Io penso che le armi siano necessarie per l’auto-difesa, ma rappresentano un mezzo non il fine. Bisogna coinvolgere la gente nella pratica politica quotidiana e non agire in sua vece. In Turchia, qualunque piano politico per risultare efficace ed essere accettato dal popolo dev’essere comunicato con efficacia. Partecipazione e comunicazione sono gli elementi chiave della buona politica. In tal senso i gruppi cosiddetti rivoluzionari hanno fallito.

Negli ultimi anni il movimento kurdo ha spostato la tattica dallo scontro armato al confronto elettorale. Come vedi le prossime politiche, l’Hdp toccherà una percentuale a doppia cifra?

Mi auguro che l’Hdp riesca a raggiungere la soglia del 10%. Il partito filo-kurdo sta riscuotendo sempre più consensi sebbene l’Akp stia facendo di tutto per ostacolarne la presenza in Parlamento. Un esempio: la stampa turca ha completamente manipolato il messaggio di Öcalan dello scorso febbraio che presentava dieci condizioni che il governo turco deve accettare per continuare i colloqui di pace. Fra queste c’è la creazione d’una commissione di monitoraggio delle trattative stesse. I media hanno omesso l’esistenza dei dieci punti e hanno annunciato la decisione del leader detenuto di deporre le armi. L’Akp, da sempre contrario a questa commissione così come a una soluzione della questione kurda, continua a ignorare le richieste di Öcalan.

Erdoğan tiene molto a queste elezioni, il numero dei seggi gli serve per la mutazione in senso presidenziale della Repubblica e spera in un aiuto dei deputati kurdi

Non so se avverranno accordi segreti, io non credo all’ipotesi. Vedo due possibili scenari. Il primo: l’Hdp fa segnare il 10%, ottenendo altri 50-55 nuovi seggi che si aggiungerebbero agli attuali 27 scaturiti dalle candidature singole delle scorse elezioni. Quei 50 scranni attualmente sono occupati dall’Akp. Ciò sottrarrebbe al governo i numeri per proporre le modifiche costituzionali in senso presidenziale. Seconda ipotesi: l’Hdp non supera il 10% e non consegue rappresentanza parlamentare. I suoi seggi passerebbero quasi sicuramente all’Akp che avrebbe, dunque, la possibilità di attuare riforme costituzionali. Fra esse, il sistema presidenziale conferirebbe a Erdoğan ulteriore potere personale e controllo politico. Questo complicherebbe non poco il processo di pace, e in mancanza di soluzioni lo scontro fra governo e Pkk potrebbe riaccendersi.

Anche Öcalan chiede un cambiamento della Carta costituzionale per conseguire alcuni traguardi (riconoscimento delle minoranze, parità fra uomo e donna, autogoverno dei cantoni kurdi, garanzie di libertà e diritti fra cui quello di stampa e manifestazione) quale di questi potrebbe essere accolto?

Erdoğan non accetterà nessuno dei dieci punti di Öcalan. Lui è un elemento pericoloso, sta utilizzando i trattati di pace esclusivamente per rafforzare il proprio potere, non ha alcun interesse a risolvere la questione kurda. Le sue dichiarazioni cambiano repentinamente: un giorno dice di essere colui che risolverà ogni contrasto, l’indomani dichiara che il problema kurdo non è mai esistito, che la commissione di monitoraggio dei negoziati non sarà stabilita e via blaterando. Vuole accreditarsi come lo statista che ha posto fine ai combattimenti con la guerriglia kurda. Se dopo il 7 giugno le trattative di pace non riprenderanno anche la mediazione di Öcalan varrà poco. Sarà il Pkk a decidere se rilanciare il conflitto.

Non c’è possibilità che il sistema dell’Akp consideri l’entourage politico kurdo un possibile alleato tattico?

Per Erdoğan può giungere il momento di chiedere il sostegno dell’Hdp, se lo farà è probabile che non sarà una richiesta diretta anche perché non è restìo a fare concessioni. Tuttavia il vertice dell’Hdp non accetterà alleanze col partito-regime. Un simile passo non sarebbe compreso dagli elettori e il gruppo perderebbe consensi, i suoi princìpi democratici non gli consentono di decidere sulla testa della gente. Inoltre la piattaforma dell’Hdp – che riunisce sindacati, movimenti e partiti di sinistra in rappresentanza di diritti di minoranze religiose ed etniche, di donne e delle nuove generazioni – non prevede aperture a un islamismo, nazionalista e conservatore.

Quindi un’alleanza tattica con l’Akp è da escludere?

Assolutamente sì. Se l’Hdp non raggiungerà il 10% resterà fuori dal Parlamento. Nel caso in cui riuscisse a superare quella soglia, potrebbe contare su circa 80 deputati. Quale spazio avranno si vedrà.

Con chi potrebbe cercare sponda il partito del presidente?

In questi anni l’Akp s’è complicato la vita con la politica estera, i cui risvolti, come dovunque, contano in politica interna. E l’ha complicata alla nazione che ora nel contesto mediorientale si trova isolata. Agli occhi statunitensi la leadership turca appare come il classico bambino viziato: vuole tutto, alle sue condizioni e senza compromessi. Vuole decidere sul destino d’una regione dove le criticità sono cresciute. Gli Usa cercano anche un’alternativa alla conduzione dell’Akp. Sostituzione non semplice. L’unico partito di peso sono i repubblicani del Chp, attualmente al 29%, i laici che il presidente vuole mettere ai margini. Però non è escluso che con un proprio ridimensionamento elettorale Erdoğan non tenti un avvicinamento tattico.

Dopo la liberazione di Kobanê qual è il futuro del Rojava nello scontro con lo Stato Islamico? I grandi del mondo, occidentali e orientali, lo snobbano?

La regione del Rojava ha bisogno di sostegno militare delle potenze straniere democratiche. Kabanê è stata liberata, ma lo Stato Islamico non è sconfitto del tutto, continua a ricevere aiuti da Turchia, Arabia Saudita, Qatar e dagli Stati Uniti. In moltissimi villaggi attorno all’ex città assediata gli scontri proseguono. Pkk, Ypg, Ypj e il popolo del Rojava non possono incontrare nuovi attacchi.

Un ultimo questito: quant’è difficile essere giornalisti nella Turchia di Erdoğan? Lo era altrettanto col kemalismo di Ecevit o simili?

E’ difficile fare un paragone: vent’anni fa venivamo uccisi per la nostra professione. Nel 1990 abbiamo perso 70 colleghi del nostro giornale, quel governo ci aveva preso di mira. L’attuale ci arresta. Ovviamente è meglio che essere uccisi. Magra consolazione, ma tant’è.

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