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Esercitazioni Nato in Estonia, in Donbass intensi bombardamenti

In vista della riunione del “Gruppo di contatto” (rappresentanti delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk, dell’Osce, di Ucraina e di Russia) sul Donbass, in programma a Minsk per il 6 maggio, il Presidente della Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharčenko ha detto di non attendersi progressi a breve scadenza. Secondo quanto riportato dall’agenzia Novorossija, da parte ucraina si insisterebbe sull’esame delle questioni militari, mentre i rappresentanti di Donetsk intendono discutere della realizzazione del complesso di misure decise lo scorso febbraio a Minsk, principalmente politiche ed economiche. I Presidenti delle due Repubbliche, Zakharčenko per Donetsk e Igor Plotnitskij per Lugansk, non si recheranno a Minsk, dato che non è prevista la firma di alcun documento ufficiale; cionondimeno, Plotnitskij si è detto fiducioso di poter risolvere il conflitto nel Donbass per via pacifica: <così come ci siamo attenuti agli accordi di Minsk, così continueremo ad attenerci. Non abbiamo violato una sola volta la parola data. Al tempo stesso, guardiamo al futuro con ottimismo armato>.
Quest’ultima puntualizzazione non sembra accessoria, data la ripresa, ormai da diversi giorni, dei colpi di artiglieria sulle città del Donbass da parte delle forze ucraine, che si sono anzi intensificati proprio nelle ultime ore.
Come da copione, già tra sabato e domenica scorsi, Kiev avrebbe contato oltre 100 colpi sparati dalle milizie sulle proprie posizioni. I miliziani, stando ai comunicati ucraini, avrebbero esploso 5 colpi di artiglieria di calibro 122 millimetri sulle postazioni ucraine in prossimità di Avdeevka, 3 colpi in direzione di Vodjanoe 1 colpo “a testa” su alcune altre posizioni. Per parte sua, l’amministrazione municipale di Donetsk comunica di ricevere regolarmente dagli abitanti segnalazioni di colpi di artiglieria sparati sulla città; mentre il vice Ministro della difesa di Donetsk, Eduard Basurin, ha detto che domenica scorsa le milizie hanno registrato una sessantina di violazioni del cessate il fuoco da parte di Kiev, che hanno causato la morte di due civili, il ferimento di altri sette persone e di sei miliziani. La maggior parte dei colpi, ha detto ancora Basurin, provengono da Avdeevka, sotto controllo ucraino e ha precisato che le milizie stanno rispondendo al fuoco nemico sparando dai carri armati, dal momento che le artiglierie sono state tutte ritirate.
E proprio Avdeevka, dove sono concentrate le artiglierie ucraine, sembrerebbe costituire, a parere del Ministero della difesa di Donetsk, il perno dell’offensiva che Kiev si appresterebbe a portare contro la città già nei prossimi giorni. Il Ministero degli esteri di Donetsk esprime forte preoccupazione per la ripresa, soprattutto domenica scorsa, dei bombardamenti da parte delle forze armate governative e dei battaglioni punitivi. Mentre qualifica quanto sta accadendo – che per intensità ricorda la situazione del febbraio scorso – come “volgare provocazione, rivolta a minare gli sforzi per una soluzione pacifica del conflitto, il Ministero degli esteri chiede che i garanti degli accordi di Minsk, Russia, Germania e Francia, esercitino pressioni su Kiev e invita la comunità mondiale a rivolgere immediata attenzione alla situazione creatasi e ad adottare misure miranti alla cessazione del metodico sterminio di popolazione civile”.
E la ripresa dei bombardamenti sul Donbass coincide con l’inizio, in Estonia, di quelle che sono considerate le manovre militari su più vasta scala nella storia del paese. Tredicimila uomini, con la partecipazione di rappresentanti da paesi Nato, in particolare USA e Gran Bretagna, effettueranno le manovre sull’intero territorio della repubblica baltica fino al prossimo 15 maggio. La fase conclusiva delle “esercitazioni” si svolgerà nella parte settentrionale e nordorientale dell’Estonia, quella più vicina alla frontiera russa.
Tali manovre costituiscono forse la “necessaria contromisura” per quanti, come il Presidente polacco Bronislav Komorovskij, dichiarano di vedere nella parata della Vittoria (che si svolgerà il 9 maggio a Mosca, sulla Piazza Rossa, in occasione del 70° anniversario della vittoria sul nazismo) un simbolo di “instabilità e turbamento della pace”. <Bisogna ricordare> ha detto Komorovskij <che quella esibizione di mezzi militari, è una dimostrazione di forza e il discorso non è relativo alla storia, bensì all’attualità e al futuro>. Immediate le reazioni dalla Duma russa: il vice capogruppo di Russia unita, Frants Klintsevič, ha espresso stupore: <E’ molto strano udire simili cose dal Presidente della Polonia, un paese che deve la propria esistenza proprio al soldato sovietico>; secondo Klintsevič, la parata della Vittoria è in onore del soldato sovietico vincitore e questo solo è il simbolo della parata. Lo stesso concetto è stato espresso anche dal vice presidente della commissione esteri della Duma, Leonid Kalashnikov: <se non ci fossero stati i carri armati sovietici, di cui parla il Presidente della Polonia, oggi sulla carta del mondo non ci sarebbe alcuna Polonia. Devo ricordare che, secondo i piani nazisti, la Polonia era un territorio che la Germania stava preparando per farci risiedere cittadini tedeschi. Tutti gli altri avrebbero dovuto essere cacciati e sterminati. E solo grazie ai carri armati russi essi ricevettero libertà e sovranità statale>.
Più ponderata la posizione del presidente della Repubblica Ceca Miloš Zeman che, mentre ha confermato la propria presenza a Mosca i prossimi 8 e 9 maggio (ma non la partecipazione alla parata della Vittoria; mentre è probabile l’incontro con Vladimir Putin) ha dichiarato che l’URSS portò il contributo decisivo nella disfatta del fascismo. <Se non ci fosse stata l’Unione Sovietica> ha detto Zeman alla Tass, <la lotta con i fascisti si sarebbe combattuta anche sul continente americano>, secondo anche le memorie del generale americano George Marshall, uno dei fautori dell’apertura del secondo fronte in Europa. Insieme a Zeman, arriveranno a Mosca veterani cechi che combatterono nell’Armata rossa e nel 1° corpo cecoslovacco.

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