Quando arriviamo davanti alla ‘mensa dei poveri’ di Alchevsk, stipati a bordo dell’autobus giallo che la Brigata Prizrak ci ha messo a disposizione, la scena che ci si presenta davanti parla da sola. In fila davanti all’edificio sul quale sventola la bandiera della Repubblica Popolare di Lugansk ci sono alcune centinaia di persone, molte di più sono già entrate. Si tratta quasi esclusivamente di anziani, donne e uomini. Sono loro la categoria più colpita dalla sporca guerra che il regime di Kiev ha scatenato ormai un anno fa contro le popolazioni del Donbass, ree di non volersi piegare al nuovo corso sciovinista o, più semplicemente, di sentirsi anche russi oltre che ucraini.
Anche quando i bombardamenti dell’artiglieria di Kiev non distruggono edifici, scuole, ospedali, stazioni e quant’altro, la guerra provoca comunque molte vittime e si accanisce sui più deboli, in particolare gli anziani e i bambini. Da molti mesi ormai il presidente della nuova Ucraina e il suo governo commissariato dalla Nato e dalla Troika hanno indurito l’accerchiamento imposto alle Repubbliche Popolari bloccando il pagamento delle pensioni e dei sussidi di povertà, rallentando e bloccando l’arrivo degli aiuti umanitari e paralizzando quasi del tutto il sistema bancario. Anche chi aveva qualche soldo da parte in un istituto del paese difficilmente può rientrarne in possesso. E così centinaia di migliaia di persone – anziani pensionati ma anche tanti lavoratori che non ricevono più alcuno stipendio o disoccupati il cui numero si ingrossa sempre di più obbligandoli all’emigrazione verso la vicina Russia – si ritrovano da tempo in uno stato di povertà assoluto, senza alcun reddito, impegnati ogni giorno nella durissima lotta per la sopravvivenza. I supermercati di Alchevsk sono pieni di merce, ma se non si hanno i soldi anche comprare una pagnotta diventa un’impresa insormontabile. Oltretutto la guerra ha causato un aumento dei prezzi che sono diventati ancora più proibitivi. Di mense come quella che visitiamo ce ne sono molte nel territorio controllato dai ribelli. Alexey Mozgovoy, il comandante della ‘Brigata Fantasma’ (Prizrak) che ci accompagna nel giro per Alchevsk dove ha sede la formazione militare comunista, ci spiega che ogni giorno sono almeno 7000 le persone che vengono a sfamarsi qui approfittando degli aiuti inviati da diversi gruppi e associazioni per lo più russe e di quelli raccolti dai miliziani e da altri volontari locali. Gli anziani fanno la fila silenziosi, tengono gli occhi bassi ed evitano di guardarci; facciamo lo stesso, e rinunciamo presto all’idea di far entrare tutta la delegazione internazionalista all’interno dell’edificio. Le persone, nonostante il sole scaldi l’aria già da parecchio e la temperatura sia sopra i venti gradi, sono avvolte in pesanti cappotti di lana. Mentre una piccola delegazione della Carovana Antifascista consegna una consistente donazione in denaro e decine di chili di cibo ed altri aiuti ai coordinatori del centro una signora all’esterno scoppia in lacrime, grida tutta la sua disperazione davanti alle macchine fotografiche e alle telecamere di alcuni attivisti e di alcuni giornalisti – la tv russa Life News e quella sudamericana Telesur – che ci accompagnano. Un grido che non arriverà mai sui nostri teleschermi formattati ad uso e consumo della strategia di guerra della Nato, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.
Un po’ prima, durante la mattinata, il giro di Alchevsk era cominciato in un clima assai meno pesante, quando una consistente parte della Carovana Antifascista era stata ricevuta all’interno di un asilo della città, accolta dal calore dei bambini e delle insegnanti. I disegni colorati appesi sui muri, una ventina di bambini e bambine emozionati e vestiti a festa che cantano e recitano versi dedicati alla Grande Guerra Patriottica e alla Vittoria e mimano la guerra che ha sconvolto da ormai un anno le vite delle loro famiglie, prima di concludere con un inno alla pace e alla libertà. ‘Bella Ciao’ suonata dalla Banda Bassotti e da due componenti del Grup Yorum che li accompagna conclude l’emozionante incontro, prima che ai bambini vengano consegnati gli aiuti che la Carovana ha scelto di dedicare alla struttura: cibo, vestiti, giocattoli.
Si risale sul pulmino giallo, diretti a un’impresa fuori città che alcuni imprenditori senza scrupoli hanno aperto qualche anno fa approfittando dei finanziamenti pubblici per poi abbandonare tutto e ‘scappare’ col malloppo. Una fabbrica, che sorge a poche centinaia di metri da un impianto minerario, che ora la Brigata Fantasma ha requisito per trasformarla in un’azienda agricola. “Il nostro obiettivo – ci spiega il comandante Mozgovoy – è lavorare per recuperare autosufficienza economica ed alimentare”. Alcuni capannoni industriali sono stati trasformati in una stalla, poco lontano alcune mucche ci squadrano placide mentre a poca distanza alcuni miliziani si danno da fare con la pala e con le zappe per dissodare un terreno.
La giornata non è finita, e un’ulteriore tappa ci porta in una cittadina ancora più vicina a quella linea del fronte che gli accordi di Minsk hanno teoricamente riconosciuto e cristallizzato. Sempre scortati da alcuni miliziani della Prizrak ci avviciniamo a Kirovsk; lungo il percorso non mancano case distrutte, edifici crivellati di proiettili, tracce evidenti dei bombardamenti. Divisi in due gruppi – cento persone sono difficili da gestire! – del frugale pranzo s’incaricano i cosacchi di stanza in questo centro, colbacchi, medaglie e sciabole bene in vista. La sosta diventa l’occasione per un concerto estemporaneo della Banda Bassotti che dedica alcuni pezzi ai combattenti del Donbass, mentre le delegazioni internazionali espongono le loro bandiere. Ognuna rappresenta un paese, una nazione, una organizzazione politica, una lotta; ce n’è anche una con la inconfondibile ‘A’ anarchica, a dimostrazione che il fronte della solidarietà antifascista con le Repubbliche Popolari rompe gli schematismi e i frettolosi e superficiali confini che qualcuno vorrebbe imporre agli schieramenti in campo. Abitanti e miliziani si uniscono ai cori e battono le mani a tempo, sembrano apprezzare la performance musicale, che però dura il tempo di pochi brani prima che il convoglio si metta di nuovo in marcia diretto a Stakhanov.
Pochi chilometri verso un’altra città a ridosso del fronte pesantemente colpita dai combattimenti e lo scenario precedente si replica. Siamo in ritardo sulla “tabella di marcia” di parecchie ore, e così invece di suonare all’interno di uno splendido teatro nella locale Piazza Lenin i cosacchi ci dirottano verso un parco cittadino che sorge all’ombra dell’enorme statua del mitologico “eroe del lavoro socialista”. Qua di nuovo la musica, gli slogan, le bandiere rompono le barriere linguistiche e creano un legame con la popolazione locale. Una signora scandisce a tempo ‘No pasaran’, i giovani del posto si mettono in posa insieme a noi per immortalare con un selfie l’inaspettata visita.
Il sole è calato da un po’ e alle dieci e trenta scatta il coprifuoco, dobbiamo sbrigarci a tornare alla caserma della Prizrak che ci ospita ad Alchevsk. Dividiamo con i miliziani l’ostello che i combattenti hanno requisito per farne il proprio quartier generale; tante stanze numerate, bagni dove spesso manca l’acqua per lavarsi e per gli scarichi, una cucina e una sala comune per piano. I miliziani girano armati e ci chiedono di rispettare alcune minime misure di sicurezza. Non bisogna mai dimenticare che siamo in zona di guerra.
La diffidenza delle prime ore si scioglie presto e con alcuni di loro si stabilisce presto una certa confidenza, nonostante la barriera linguistica che solo alcuni membri della Carovana sono in grado di superare conoscendo il russo. All’ingresso dell’edificio campeggia una bandiera con la falce e martello, mentre nei corridoi alcuni cartelli ricordano come smontare, pulire e rimontare un rpg o un kalashnikov.
Alcune stanze sono state adibite dalla Carovana a depositi per gli aiuti che hanno riempito le valige e gli zaini degli attivisti arrivati da tutta Europa: in una andranno i sacchi a pelo che ognuno donerà ai miliziani al termine della permanenza; in un’altra le medicine, il vestiario, il cibo. In uno dei corridoi della struttura, che la sera serve da improvvisata e frugale mensa, sono ammucchiati sacchi e valige di farmaci, detergenti, batterie, vestiti. Man mano che le attività di solidarietà proseguono gli aiuti vengono divisi, catalogati e ripartiti tra i diversi destinatari: la Brigata Prizrak, naturalmente, che li distribuirà alla popolazione; l’asilo e la mensa popolare di Alchevsk; i cosacchi e l’amministrazione comunale di Stakhanov. Alcune delegazioni hanno poi deciso autonomamente di comprare cibo e altro da mandare ai miliziani al fronte, utilizzando anche alcuni fondi donati in Italia, in Grecia e nello Stato Spagnolo da quanti hanno risposto agli appelli lanciati dai comitati di solidarietà.
Una goccia nel mare che non risolverà certo i problemi di una popolazione aggredita, vilipesa e affamata. Ma anche un importantissimo gesto di solidarietà concreta che si affianca a quella politica e all’opera di informazione e controinformazione che dal ritorno in patria delle diverse delegazioni è già iniziata a tamburo battente.
Donbass: la Carovana Antifascista è tornata
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