Le elezioni federali intermedie di domenica scorsa hanno approfondito la crisi del partito del presidente Enrique Peña Nieto, e, in generale, dei partiti tradizionali: è questa la lettura che emerge dagli editoriali e da alcuni dei commenti più interessanti apparsi ieri ed oggi sui principali quotidiani del Messico. Al di là dell’affermazione innegabile del Pri, il partito regime che governa il paese quasi ininterrottamente da nove decenni, i veri vincitori della competizione elettorale di domenica sono la sfiducia nella classe politica dimostrata dal tasso record di astensione e la volontà di un cambiamento netto che ha penalizzato i partiti storici premiando nuovi soggetti.
Al di là di alcune dichiarazioni di circostanza sulla “partecipazione superiore alle attese”, meno della metà degli 83 milioni di aventi diritto si è recata alle urne, il che vuol dire che ha votato neanche il 48% del totale. E per di più, il maggior numero di votanti si è registrato negli Stati poveri del sud, angariati dalle ingiustizie sociali, dalla violenza, dalla corruzione e dall’impunità quasi assoluta (Oaxaca, Guerrero e Chiapas), dove pure hanno funzionato le campagne di boicottaggio portate avanti da sindacati di classe e movimento sociali. Contando anche le schede nulle, quasi 48 milioni di cittadini hanno voltato la schiena ai partiti e al sistema politico dando un segnale inequivocabile.
Il sistema elettorale messicano è misto: 300 deputati sono eletti secondo il sistema maggioritario semplice e i restanti 200, secondo la proporzione del voto ai distinti partiti. Anche se il Partido Revolucionario Institucional rimane la prima forza politica statale alla Camera con circa il 30% dei suffragi e circa 200 seggi su 500 deputati federali perde una decina di seggi rispetto al precedente parlamento, e per governare dovrà ricorrere in una posizione di maggiore debolezza al sostegno dei Verdi e al piccolo partito Nueva Alianza.
Ma i segnali più forti indicano che l’elettorato è stanco della vecchia maniera di fare politica in Messico, a base di populismo e corruzione e sostanzialmente lontano dalla gente, costruito nei 90 anni di governo del Pri e continuato sostanzialmente nei due periodi di governo del Partido Acción Democrática (Pan), scissione di destra e ultraliberista del partito regime che ha applicato le stesse logiche che pure strumentalmente criticava. Il Pan degli ex presidenti Felipe Calderón e Vicente Fox ha ottenuto circa 110 rappresentanti.
Se il Pri ha subito un certo calo, non sono andati benissimo neanche i loro alleati del Pvem (Verdi di centro), che in fase di campagna sono stati sanzionati per violazione del silenzio elettorale e si sono presentati come un partito “pulito” e che “compie ciò che promette”. Gli alleati del Pri hanno ottenuto circa 45 seggi.
È invece caduta libera per il centro sinistra riunito nel Partido de la Revolución Democrática (Prd), che negli ultimi anni si è unito ad un sistema basato sulla corruzione, il clientelismo, il potere dei ras locali, l’impunità dei cartelli dei narcos e la subalternità agli interessi del grande capitale interno e delle multinazionali a stelle e strisce. Andrés Manuel López Obrador, in passato il suo leader più accreditato e popolare, candidato alle presidenziali del 2012 e se non fosse stato per i brogli probabilmente uscitone vittorioso, ha abbandonato il Prd per fondare Morena (Movimiento de Regeneración Nacional), l’unico vero trionfatore politico di domenica, insieme a “El Bronco” Jaime Rodríguez, primo governatore indipendente – cioè non affiliato ad alcun partito – della storia messicana.
“El Bronco”, ha lungamente militato nel Pri, ma ne è uscito e, da sindaco di García (nello stato di Nueva León dove ha stravinto con il 48 % delle preferenze), ha fortemente combattuto la criminalità organizzata dei “carteles” e i loro vincoli con la politica. Nessuno si aspettava una vittoria cosi contundente. Altro indizio importante che ripete quel “Basta” alla violenza e all’impunità gridato forte e chiaro in campagna elettorale. Invece la sinistra raccolta in Morena ha praticamente conquistato il Distretto Federale (Città del Messico), vincendo 11 a 3 sul Prd in termini di delegazioni municipali, mentre a livello parlamentare l’ha quasi raggiunto. Ora bisognerà capire se López Obrador vorrà e saprà raccogliere intorno a sé altri pezzi della sinistra sociale, evitando le degenerazioni e le compromissioni del Prd, per lanciare la sfida al sistema in occasione delle prossime presidenziali. Il Morena ha segnato un ottimo risultato con il 9% dei suffragi e una quarantina di seggi, ma dovrà crescere ancora se vorrà impensierire il sistema. Il Prd sembra invece affondato, avendo ottenuto solo l’11.5% dei voti a fronte del 31% che aveva ottenuto alle precedenti consultazioni.
Il presidente Enrique Peña Nieto tira il fiato, ma è in grande difficoltà politicamente, vista la sua ridotta popolarità, dovuta alla crisi economica, a scandali patrimoniali e a misure di politica economica liberista fortemente avversate da ampi settori dell’opinione pubblica, a partire dalla privatizzazione dell’industria petrolifera. Anche la recrudescenza della violenza dei narcos e della criminalità organizzata ha pesato sulla scelta di molti elettori di non recarsi ai seggi o di scegliere liste nuove.
Inoltre, le proteste di docenti e studenti contro la riforma dell’istruzione e di alcuni movimenti sociali contro la repressione completano un quadro di grande complessità che difficilmente il governo riuscirà a disinnescare. Mentre le continue iniziative dei sopravvissuti al massacro di Iguala e i parenti dei giovani di Ayotzinapa rapiti dai poliziotti e dai narcos nel Guerrero continuano a ricordare ai popoli del Messico il vero volto del regime di Peña Nieto.
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