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Il Venezuela respinge le provocazioni di Exxon e Guyana

Ancora guerra fredda contro il Venezuela da parte dell’imperialismo. Questa volta a farsi strumento e tramite dell’aggressione sono la compagnia petrolifera Exxon Mobil e il nuovo Governo della Guyana presieduto dal Presidente Granger, che ha da poco tempo preso il posto di un esecutivo progressista che aveva permesso lo sviluppo di buone relazioni con Caracas.
L’oggetto del contendere è la scoperta, da parte della suddetta compagnia petrolifera, di un giacimento petrolifero sottomarino in un tratto di oceano conteso tra i due paesi. Venezuela e Guyana si contendono dalla fine dell’Ottocento la regione di confine dell’Esequibo, attualmente incorporata nella Guyana, di cui costituisce ben più della metà del territorio. Un accordo firmato nel 1966 e riconosciuto dall’ONU stabilisce ufficialmente come “pendente” la questione della sovranità sul tratto di mare dove la Exxon Mobil vuole trivellare; in violazione di tale accordo, la Guyana pretende di concedere comunque l’autorizzazione alla compagnia petrolifera, estendendo d’imperio i propri confini marittimi.
La tensionesi è immediatamente innalzata, con il Venezuela che pretende, ovviamente, di far valere l’accordo del 1966 e la Guyana che accusa i rivali di sconfinamenti militari nel proprio territorio.
Il Presidente venezuelano Maduro ha ribadito che l’intera disputa territoriale va risolta con mezzi diplomatici ed ha esplicitamente accusato la Exxon Mobile di voler provocare e destabilizzare il proprio governo.
Insomma, siamo alle solite: l’imperialismo tenta di strumentalizzare anche le dispute territoriali locali per attaccare i paesi ad esso non allineati, provocando scontri spesso basati sul nulla, nella speranza che la miccia deflagri e si creino le condizioni per un intervento esterno diretto contro tali paesi.
Per quanto riguarda la Rivoluzione Bolivariana, aggressioni di questo tipo, che includono la guerra economica, l’utilizzo di bande di criminali o provocazioni come questa sono in corso da anni, senza sortire per ora l’effetto sperato, cioè porre fine alla rivoluzione stessa per riportare il paese in una semi-colonia.

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