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Atene, comunisti e sinistre radicali in piazza contro “l’austerity dal volto umano”

«Per la prima volta abbiamo un impegno a rivedere il nostro debito. Questo accordo è migliore su diversi punti rispetto a quello che ci è stato presentato come un ultimatum» ha detto il primo ministro Alexis Tsipras ieri sera in parlamento per giustificare il suo voltafaccia a soli cinque giorni da un referendum che gli aveva dato forza e legittimazione per rifiutare i diktat della Troika.
Basta leggere il lungo elenco di controriforme, nuove tasse e tagli contenuto nelle pagine inviate alle istituzioni europee e al Fondo Monetario Internazionale per rendersi conto che il Terzo Memorandum è di fatto una fotocopia, con qualche lieve aggiustamento e correzione, del Piano Juncker presentato al governo greco poco più di due settimane fa: privatizzazioni di pezzi importanti del patrimonio pubblico, aumento dell’età pensionabile e dei contributi previdenziali, penalizzazione dei pensionamenti anticipati (il che provocherà un aumento della già altissima disoccupazione), abolizione entro il 2019 dei contributi statali di solidarietà alle pensioni più povere (Ekas), aumento dell’Iva sulle isole e sui generi di prima necessità, mantenimento della contestatissima tassa sugli immobili della quale Syriza aveva sempre chiesto la immediata cancellazione e che ha mandato sul lastrico centinaia di migliaia di famiglie. 

Per non parlare dell’accettazione di un consistente avanzo primario che di fatto blocca la possibilità per le esangui casse di Atene di realizzare forti investimenti per lo stato sociale, per ridurre le enormi diseguaglianze e la povertà.
Inoltre la dichiarazione “giustificazionista” del primo ministro esplicita un altro punto dolente della resa ellenica alla Troika. “Per la prima volta abbiamo un impegno a rivedere il nostro debito”. Si, perché se mercati, istituzioni economiche e politiche dell’Unione Europea hanno accolto con estremo favore il piano Tsipras, dall’altra non è affatto detto che in cambio concedano un consistente haircut del debito, al massimo potrebbero concedere una ristrutturazione e utilizzare qualche artificio contabile per alleggerire le rate che il governo greco dovrà pagare sottraendo per il sesto anno consecutivo ingenti risorse allo stato sociale.
A protestare contro il governo, ieri, sono stati alcuni dei sindaci delle isole elleniche, che dal prossimo anno dovranno sobbarcarsi un consistente e penalizzante aumento dell’Iva. Con le nuove proposte presentate dal governo greco a Bruxelles, i sindaci delle isole, che grazie al turismo producono il 17% del pil della Grecia, vedono la cancellazione dei vantaggi fiscali come una decisione dagli effetti potenzialmente «tragici», perché rischiano di far perdere competitività, riducono gli incassi e alzano il costo della vita per chi nelle isole ci sta anche quando il sole non c’è. Il primo cittadino di Paxos, ad esempio, dice chiaramente che chiedere il referendum «è stato un errore», perché ora il piano «è del 50% più pesante»: infatti il piano al quale i greci hanno detto Oxi valeva 8 miliardi in due anni, quello approvato durante la notte dal parlamento ellenico vale ben 12.
Secondo il sindaco di Paxos, comunque, l’alternativa rappresentata dal possibile ritorno alla dracma sarebbe un incubo: «Finiremmo peggio dell’Argentina». In realtà l’economia dell’Argentina, così come quelle di paesi come l’Ecuador e l’Islanda che hanno denunciato il debito e se lo sono tagliato d’autorità, va ora sicuramente meglio di quella greca.
Ed infatti ieri cinque deputati della “Piattaforma di Sinistra” di Syriza che si oppongono alla firma del terzo memorandum con la Troika hanno presentato un documento di quattro pagine in cui chiedono la Grexit, cioè la fuoriuscita di Atene dall’Eurozona. I cinque firmatari – Stathis Leoutsakos, Antonis Ntavanelos, Sophie Papadogiannis, Costas Lapavitsas e Thanasis Petrakos – chiedono al governo di mettere in atto un programma per il ritorno alla dracma. «Pretendiamo il ritorno alla sovranità monetaria» scrivono i cinque parlamentari, affermando che il ritorno alla dracma «è l’unico modo per risolvere i problemi di liquidità» e per far ripartire l’economia.

Intanto ieri pomeriggio ad Atene migliaia di lavoratori del sindacato comunista Pame e di militanti del KKE sono scesi in strada dando vita ad una manifestazione che ha riempito Piazza Syntagma di no alla Troika, all’austerity, all’Unione Europea e anche al governo Tsipras.
Circa diecimila persone hanno risposto all’appello di una forza politica che non ha mai creduto alla buona fede del governo formato da Syriza e dai Greci Indipendenti. I manifestanti aderenti al “Fronte Militante di tutti i lavoratori” hanno marciato da Piazza Omonia fino al Parlamento dicendo no al Terzo Memorandum proposto da Tsipras e chiedendo l’uscita del paese dall’Eurozona e dall’Unione Europea. Manifestazioni simili sono state realizzate ieri dal Pame in altre città del paese come Salonicco, Patrasso, Heraklion, Ioannina ed anche in alcune isole.

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Più tardi in piazza Syntagma è confluito anche un corteo organizzato da alcune organizzazioni della sinistra radicale comunista e sovranista come Antarsya e Mars. Circa un migliaio di persone – comprese alcune organizzazioni anarchiche e libertarie e anche alcuni pezzi della sinistra interna di Syriza – hanno marciato nel centro della capitale greca denunciando quello che hanno esplicitamente definito il ‘tradimento’ della direzione di Syriza. In piazza Syntagma hanno trovato un consistente spiegamento di polizia in assetto antisommossa e ci sono stati anche alcuni tafferugli quando i cordoni di agenti hanno cominciato a spintonare i manifestanti che protestavano contro il governo.

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