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La Troika sorride, la Germania ancora no

Se uno vuol capire chi ha vinto, senza addentrarsi troppo nei dettali del “piano” scritto dalla Troika per Atene, basta guardare le facce. Su quella della jena Jeroen Dijsselbloem, presidente boero dell’Eurogruppo, è tornato quel sorriso che l’obbligo di dover discutere con Yanis Varoufakis gli aveva cancellato.

Ma anche se il governo greco si è arreso, ciò non significa affatto che il “piano” definitivo sarà quello. Né che la misura dei prestiti concordata (74 miliardi) avrà effettivamente quelle dimensioni. In tutto il coro di “finalmente” che risuona in Europa, infatti, manca la voce del tenore: nessun tedesco di rilievo ha fin qui pronunciato una sola parola.

E dire che Atene si impegna ad effettuare tagli alla spesa e aumenti delle tasse per un totale di 13 miliardi di euro in due anni, pari al 7,2% del Pil greco. Un piano sicuramente recessivo, che svuoterà ancora di più il patrimonio pubblico grazie alle “privatizzazioni”, spingerà folle di giovani a fuggire dal paese, depauperando così il suo futuro.

Naturalmente è un “piano” che “piace abbastanza” ai vertici della Troika. Secondo Dijsselbloem, la proposta “presentata dalla Grecia” ai vertici europei risponde alle richieste dei creditori, e quindi la trova “esauriente”. Ma ha già anticipato che bisognerà valutare la loro “fattibilità”, perché alla Troika non gliene frega niente delle parole scritte sulla carta; vuole fatti.

Addirittura entusiaste, invece, la Francia (i cui tecnici hanno materialmente scritto il “piano”), l’Italia e l’Austria.

Stamattina i componeneti tecnici della Troika «faranno i calcoli» per verificare se «i conti tornano». In realtà li hanno già fatti, dettagli a parte, perché quello è il loro testo, non quello che i greci volevano. E ieri pomeriggio Dijsselbloem, Mario Draghi, Juncker e Christine Lagarde (direttore del Fmi) si sono riuniti in teleconferenza per “valutare” gli sviluppi delle ultime ore.

Alle 15 di oggi si riunirà l’Eurogruppo, che dovrebbe a quel punto riaprire ufficialmente i “negoziati” per varare il terzo piano di aiuti in cinque anni. Sarà bene ricordare che i due precedenti – per un totale di 240 miliardi – hanno avuto un clamoroso “successo”: il prodotto interno lordo è crollato di oltre il 25%, la disoccupazione è raddoppiata, la miseria si vede in ogni starada e il debito pubblico… è aumentato.

14 miliardi dovrebbero servire alla ricapitalizzazione delle banche greche, ma le modalità – in parte già anticipate dalle ultime mosse della Bce in tema di “liquidità d’emergenza” – dovrebbero preparare il terreno alla loro “denazionalizzazione”. Parola che non sta affatto a significare una impossibile “privatizzazione” (sono già imprese private), ma la più banale conquista da parte di banche di altri paesi. Da sottolineare, in aggiunta, l’intenzione di affrontare unaevenetuale prossima crisi bancaria ellenica con ilmmeccanismo del bail in già sperimentato a Cipro. Il costo del salvaaggio delle banche, insomma, verrebbe caricato sui disgraziati correntisti, perlomeno per le cifre superiori a 100.000 euro (ma questa quota, ch è quella “garantita” dalle normative europee, potrebbe facilmente essere abbassata da una nuova “direttiva europea”).

Oggi l’Eurogruppo dovrebbe prendere in considerazione anche la richiesta greca che ha rappresentato l’ultima disperata “line arossa”: la riduzione più o meno drastica del debito. Si sa che la Germania non ne vuole nemmeno sentir parlare, quindi non verrà mai concessa. In alternativa, però, l’Eurogruppo potrebbe studiare un meccanismo già adottato nei “piani” precedenti. Ovvero l’allungamento delle scadenze per la restitituzione delle singole rate, l’ulteriore riduzione dei tassi di interesse praticati su quel debito, ecc. Misure minori, meno efficaci, che comunque dovrebbero valere come un minimo allentamento della corda intorno al collo di Atene.

Resta comunque il convitato di pietra: la Germania ordoliberista. Il portavoce del governo Steffen Seibert ha detto che non vi è alcun dubbio che un vertice della zona euro si terrà domenica. E questa è già una mezza dichiarazione di guerra, perché significa che Berlino non considera sufficiente l’ebetuale ok dell’Eurogruppo (il vertici dei 19 ministri delle finanze dell’eurozona), né il successivo vertice dei capi di stato e di governo dell’eurozona. Ma vuole anche il supporto dell’Unione a 28, in cui pesano voci ancora più critiche verso Atene e obbedienti agli ordini tedeschi.

Il portavoce Seibert ha inoltre aggiunto che il governo tedesco chiederà al Bundestag un mandato per le negoziazioni solamente se Atene dimostrerà di essere pronta ad avviare “riforme serie”. Quindi prima la Grecia dovrà “dimostrare” questa plumbea “serietà”, poi il parlamento tedesco si pronuncerà sull’opportunità di concedere quest’ultima occasione ai “reprobi”. Ma potrebbe anche far calare la ghigliottina, spingendo la Grecia ai margini della Ue.

 

Hanno questo senso, del resto, le parole di Martin Jaeger, portavoce del luciferino ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schaeuble, a proposito della ristrutturazione del debito ellenico: “Se l’intenzione è quella di ridurre il valore attuale del debito in modo significativo e pertanto avere una perdita reale, questo equivarrebbe a un haircut”, ovvero un taglio. Il che non sarebbe giuridicamente possibile, ha spiegato, perchè andrebbe contro le norme dell’unione monetaria.

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