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Il Parlamento di Atene si suicida e approva il “piano”

Alle 2 e mezza di notte, come si conviene durante le grandi battaglie in cui ci si dimentica persino di dormire. Ma qui tutto è avvenuto in un Parlamento vero, improvvisamente svuotato – esattamente come quello finto di Strasburgo – di ogni potere decisionale.
Questo parlamento più che dimezzato ha approvato un “piano” che solo i più distratti possono attribuire a Tsipras o Tsakalotos, dopo due giorni di “lavoro” da parte di tecnici francesi inviati di corsa ad Atene per stendere l’unico testo di “impegni” che i creditori avrebbero potuto approvare. Un piano di riforme e tagli da 13,5 miliardi di euro in due anni, addirittura 3,5 in più rispetto a quanto chiesto dai creditori prima del referendum di domenica scorsa.
All’inizio di questa seduta decisiva, davanti al Parlamento, in piazza Syntagma, migliaia di manifestanti si erano presentati per chiedere il rispetto dell’esito del referendum e il rifiuto dei diktat dei creditori.
Nel suo discorso di presentazione dell’indigeribile “piano” Tsipras ha usato tutti gli argomenti prevedibili.  “Non ho chiesto un ‘no’ al referendum per uscire dall’euro ma per rafforzare i negoziati. Ho fatto quanto umanamente possibile in difficili circostanze. Abbiamo raggiunto la soglia limite, da questo momento in poi davanti a noi si estende un campo minato”. Ma in effetti quel “campo minato” era chiaro fin da prima delle elezioni di gennaio, perché si tratta del contesto internazionale in cui si trova la Grecia (e l’Italia) senza rompere il quale non è possibile alcuna alternativa.
E suonano come una autentica barzelletta le parole con cui Tsipras ha accolto il voto finale a lui favorevole: “Ora il governo ha un forte mandato a trattare con i creditori”. Non c’è infatti assolutamente nulla da trattare, il grosso dei provvedimenti è già stato delineato. Una resa senza condizioni, in cambio di nuovi “aiuti” che incrementeranno la montagna di debito che tutti sanno non potrà mai essere restituito. Ma che tornerà utilissimo per tenere un paese sotto eterno ricatto, continuare a trattarlo come un laboratorio per esperimenti sociali alla Mengele, farne un esempio dissuasivo per altri paesi con problemi simili e nuovi soggetti politici “riformisti”. Sotto il tallone d’acciaio dell’Unione Europea non c’è nulla da “riformare”, solo trattati da rispettare e rapporti di forza da mandare a memoria.
Solo due ore prima, tre quarti d’ora dopo la mezzanotte, la Troika aveva dato il suo benestare al testo che il parlamento di Atene stava discutendo. Un benestare ancora condizionato, una “buona base” per ottenere – forse, non è sicuro – un finanziamento complessivo da 74 miliardi di euro (58 dal fondo Esm, 16 dal Fondo Monetario Internazionale), che serviranno in gran parte a far fronte alle prossime scadenze di debito da restituire. Una folle partita di giro, nuovi prestiti per pagare debiti che creano nuovi debito, il che la dice lunga su quali possibilità ci siano di far uscire il sistema dalla crisi.
Il voto ha spaccato Syriza, com’era stato da molti previsto. Il grosso dei deputati ha fatto fronte col governo, mentre la “sinistra interna” ha dato pessima prova di sé adottando tutta la gamma di “distinguo” possibile. Di fatto frantumandosi.
I voti favorevoli al Terzo Memorandum sono stati infatti 251 su 300, perché hanno votato “sì” anche i conservatori di Nea Dimokratia, i centristi di To Potami e i “socialdemocratici” del Pasok. D’altronde è insieme a loro che il nucleo duro del governo, quello fedele a Tsipras, ha discusso e accettato i termini dell’ennesima resa. Di fatto allargando informalmente la maggioranza alle marionette della troika sconfitte prima il 25 gennaio e poi di nuovo, in maniera ancora più netta, con la vittoria del ‘No’ al referendum di domenica scorsa. Davvero un bel capolavoro.
I no sono stati in tutto solo 32: contro il Terzo Memorandum hanno votato i deputati comunisti, i neonazisti di Alba Dorata, e anche due deputate di Syriza, aderenti alla sinistra interna: Ioanna Giatani e Eleni Psarea.
Otto parlamentari si sono astenuti, compresi molti volti noti di Syriza, come la presidente del Parlamento, Zoe Constantopoulou e il ministro dell’Energia e coordinatore della “Piattaforma di sinistra”, Panagiotis Lafazanis, rispondendo «presente» al momento di voto, senza dire né sì né no. “Presente” hanno risposto anche il ministro Dimitris Stratoulis e i deputati Stathis Leoutsakos, Kostas Lapavitsas, Giannis Stathas, Aglaia Kyritsi e Thanasis Skoùmas. “Non potrei approvare e legittimare il contenuto dell’accordo. Il primo ministro viene ricattato per la sopravvivenza del popolo. Mi assumo la mia responsabilità istituzionale dichiarando ‘presente’” ha annunciato la presidente della Camera nella sua dichiarazione di voto. Anche più duro Panagiotis Lafazanis che ha dichiarato che rispondendo “presente” ha espresso la sua radicale e ferma opposizione ad una “proposta” che rischia ad perpetuare il ricatto sul paese. “Sostengo il governo ma nom un programma di austerità, di politiche neoliberaliste e di privatizzazioni, il quale se viene accettato dalle “istituzioni” e applicato, contribuirà ulteriormente all’impoverimento del popolo e alla sua miseria. Il paese avrà un futuro, se tutti insieme ci mettiamo alle spalle questa neo-euro-colonia. La Grecia indipendente e sovrana, potrà – senza nuove misure di austerità, con una liquidità sufficiente e con una cancellazione del debito – seguire un nuovo percorso di ricostruzione dell’economia e della società” ha chiarito Lafazanis che ha deciso di non dimettersi dal governo come invece annunciato nel corso della mattinata di ieri.

Quattro deputati provenienti dal Koe, una delle tante organizzazioni che ha aderito a Syriza, non hanno partecipato al voto perché contrari all’accordo. L’ex ministro Yanis Varoufakis non si è proprio presentato in aula, ufficialmente adducendo “problemi familiari”.
Ben 15 deputati della Piattaforma di Sinistra con un loro testo – che però hanno distribuito solo dopo la fine della votazione – hanno spiegato di aver votato SI nonostante il loro totale disaccordo per non far cadere il governo.
“Questa proposta di legge, in realtà costituisce un altro programma di austerità, di destabilizzazione e di privatizzazione, il quale non solo non può dare delle risposte ai tragici problemi economico-sociali del paese ma renderà anche il suo futuro ancora più incerto”. “Il nostro SI dettato dai motivi sopramenzionati non può essere considerato come un SI all’applicazione delle misure di austerità e di crollo neoliberalista, contro cui lotteremo insieme al movimento dei lavoratori affinché non vengano approvate nel periodo successivo. Il paese non ha bisogno di nuove misure di austerità, ma di un aumento dei salari, delle pensioni, della liquidità nell’economia e di una profonda cancellazione del debito”. Una posizione comoda quanto confusa ma che comunque dimostra il malessere all’interno del partito uscito vincitore dalle elezioni del 25 gennaio.

Di fatto l’astensione dei settori critici di Syriza consente formalmente a Tsipras di negare che ci sia stato un cambio di maggioranza. I 13 deputati della destra nazionalista di Anel, nonostante le dichiarazioni bellicose di qualche ora prima del leader e fondatore Panos Kammenos, ministro della difesa, hanno votato a favore anche se controvoglia. Ma non è detto che lo facciano anche nelle prossime votazioni.
Bisognerà quindi vedere se nei prossimi passaggi parlamentari, quando bisognerà approvare i singoli provvedimenti per ora solo accennati nel “piano”, gli “europeisti” di centro e di destra continueranno a regalare i propri voti per permettere a Tsipras di sopravvivere senza pretendere nulla in cambio.

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3 Commenti


  • Paolo De Marco

    D’accordissimo con i commenti dei compagni. Aggiungo solo che è un peccato che non hanno potuto votare i nostri social-liberisti, spinelliani e filosemiti nietzschiani della cosiddetta lista Tsipras. Si sarebbe fatto chiarezza anche in Italia!
    Paolo De Marco


  • Ezio

    Schaeuble dimostra che l’affermazione do Varufakis non era fuori luogo.
    Schaeuble per evitare che altri paesi osino alzare la testa chiedendo DIGNITA’ è disposto ad affamare e massacrare un intero popolo infliggendole una punizione collettiva.
    Per descrivere una persona come questa esiste solo un aggettivo che è stato usato dall’ex ministro greco: “terrorista economico”.


  • marco

    e questo conferma la fondatezza del caro vecchio adagio del presidente Mao: “ci sono più idee nel fucile di un brigante che nella testa di un democratico”
    D’altronde che ci si poteva aspettare da un socialdemocratico che persino a parole e incenso riesce a dimostrare la sua doppiezza dichiarandosi al contempo un “””marxista””” e un estimatore ed erede di un anticomunista viscerale come berlinguer
    va detto che questo ributtante teatrino, questa tragica farsa con cui si è sbeffeggiato il popolo, mi ha reso comprensibile il comportamento dei compagni del KKE che prima mi sembrava oscuro e irragionevole.
    Di cuore chiedo loro scusa.
    Come al solito avevate ragione….. anche se per una volta sarebbe stato bello se vi foste sbagliati

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