Il muro alla frontiera, contro i migranti, l’Ungheria di Viktor Orban probabilmente lo farà. Ma, per il momento, la frontiera che Budapest è costretta a rafforzare è quella con l’Ucraina. Gli scontri iniziati sabato tra neonazisti di Pravyj sektor e forze di polizia, nella città di Mukačeve nella regione della Transcarpazia (duecento chilometri a sudovest di L’vov e ad appena qualche decina di chilometri dalla frontiera con l’Ungheria) hanno convinto le autorità magiare a prendere provvedimenti per mettere un freno all’ingresso di cittadini ucraini sul proprio territorio. Sembra che iniziative in tal senso vengano prese anche da parte slovacca, il cui confine sorge a pochissima distanza dall’ucraina Užgorod, a due passi da Mukačeve.
Le sparatorie di sabato e domenica tra Pravyj sektor e polizia e, in generale, la mobilitazione armata dell’organizzazione di ultradestra, che dà prova di sé contro i civili nel Donbass e che da tempo sta mordendo i talloni al governo di Kiev per la sua presunta “fiacchezza” contro la Novorossija, sono all’ordine del giorno della riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza e di difesa, convocata per questa mattina da Petro Porošenko.
Già da ieri le autorità ucraine hanno rafforzato i controlli lungo la linea di passaggio tra la regione di L’vov e la Transcarpazia, per impedire ulteriori afflussi di uomini di Pravyj sektor verso la zona della sparatoria. Sparatoria che ha fatto per ora tre morti e 11 feriti e che avrebbe avuto inizio per il controllo delle zone d’influenza tra organizzazioni di contrabbandieri: sembra che l’esportazione illegale di sigarette, legno e alcune materie prime, oltre a narcotici, rappresenti l’attività prevalente della regione; attività che i ras locali non avrebbero intenzione di condividere con “estranei” (Pravyj sektor) giunti da altre regioni del Paese. Questa è anche la versione che circola nell’entourage presidenziale, che tende a sminuire l’aspetto antigovernativo dell’azione di Pravyj sektor (estesasi nel frattempo ad altre regioni) e sorvola ovviamente sul fatto che la diversità di narrazione è solo nominale, dati i contrasti tra cordate oligarchiche, per il controllo del territorio ucraino, che si palesano a livello “politico” centrale nelle diverse anime affaristiche e variamente euroatlantiche del fronte golpista.
<Gli avvenimenti di Mukačeve sono il risultato del conflitto tra formazioni armate illegali e mafiose> ha dichiarato ieri il capo della frazione parlamentare “Blocco Petro Porošenko”, Jurij Lutsenko che ha anche accusato le autorità politiche e di polizia locali di intesa con i contrabbandieri e i narcotrafficanti, differenziandosi appena di una virgola in questo da quanto dichiarato dall’addetto stampa di Pravyj Sektor, Artëm Skoropadskij, che accusa il deputato Mikhail Lanjo – membro della commissione della Rada per la lotta alla corruzione (!), considerato da Politrada.com come uno dei principali magnati-contrabbandieri della zona, conosciuto nel giro criminale come “Bljuk” – proprietario dello sporting club in cui ha avuto inizio la sparatoria, di essere il maggior narcotrafficante della regione. <Nessun patriottismo può giustificare la presenza di uomini armati fino ai denti a 1600 chilometri dal fronte>, ha detto Lutsenko, amplificando con ciò un’autentica vena di patriottismo che, secondo lui, dà pieno diritto, invece, di usare cannoni, carri armati, razzi e aerei 1.600 chilometri più a est, sulla popolazione civile del proprio paese.
Gli ultradestri di Pravyj sektor, spalleggiati da combattenti del battaglione neonazista “Azov”, hanno intanto dato il via ad azioni di protesta armata e picchettaggio anche di fronte alle sedi delle amministrazioni regionali di Dnepropetrovsk, Kharkov, Zaporože, L’vov e Čerkassov. Il loro leader Dmitrij Jaroš, che siede alla Rada e, da qualche mese, è stato promosso Consigliere militare del Ministero della difesa, sabato aveva dichiarato che le proteste dureranno fino alle dimissioni del Ministro degli interni Arsen Avakov e dei vertici della polizia della Transcarpazia e aveva messo i suoi seguaci in “allerta al combattimento”. Anche a detta di “Azov”, la sparatoria di Mukačeve è stata causata dal tentativo “legittimo” di Pravyj sektor di contrapporsi alla lotta di gruppi malavitosi per il controllo del contrabbando lungo la frontiera con l’Ungheria, alla cui testa ci sarebbero deputati della Rada suprema. Naturalmente, “Azov” richiama all’unità delle forze patriottiche, che, invece di scontrarsi, dovrebbero unirsi nella guerra al nemico numero uno: <Il posto dei patrioti armati è a Est>, contro il Donbass. Pravyj sektor, dopo che Dmitrij Jaroš ha ordinato ai battaglioni di lasciare il Donbass e concentrare le forze sui territori occidentali dell’Ucraina, ha istituito anche posti di blocco all’uscita della capitale Kiev e picchetti intorno all’edificio dell’Amministrazione presidenziale. Difficile, in tale situazione, limitarsi a parlare solo di scontri tra bande del racket di sigarette, a meno di non pensare alla Rada suprema come a una tabaccaia e dividere il “Gran Consiglio” ucraino tra fumatori e salutisti.
Del resto, da molto tempo non più sono una novità le sortite di Pravyj sektor lontano dal fronte del Donbass e attorno ai palazzi governativi di Kiev o delle varie amministrazioni regionali. Ultimissime, in ordine cronologico, le dimostrazioni di inizio luglio, allorché alcune migliaia di manifestanti di Pravyj sektor, rinfoltiti da uomini dei battaglioni neonazisti “Azov” e “Ajdar”, erano tornati in piazza a Kiev, chiedendo la <nazionalizzazione delle imprese russe, la rottura delle relazioni diplomatiche con Mosca e l’offensiva nel Donbass>. In quell’occasione i partecipanti si erano limitati a scandire slogan per l’immediata rottura del cessate il fuoco, chiedendo che il governo denunci agli accordi di pace di Minsk e passi all’attacco contro “gli invasori russi”.
Sabato scorso, in relazione agli avvenimenti di Mukačeve, il Blocco di opposizione, l’unica frazione parlamentare a opporsi al governo Jatsenjuk, ha chiesto lo scioglimento della “coalizione di guerra” alla Rada – l’unione cioè di tutti i gruppi parlamentari che, dalle elezioni dell’ottobre 2014, sostengono il sempre più malfermo governo Jatsenjuk – e l’indizione di nuove elezioni. L’opposizione dichiara che <in Ucraina non c’è più un monopolio statale sull’uso della forza e sull’attività delle forze di sicurezza. Le strutture militarizzate, con uno status indeterminato e dotate di una quantità enorme di armi pesanti, organizzano faide non solo al fronte, ma addirittura in una pacifica città dell’ovest del paese. Come risultato, ci rimettono pacifici cittadini>.
Ma ancora ieri Pravyj sektor, mentre rifiutava di deporre le armi e proseguiva nelle scaramucce a Mukačeve, annunciava di voler arrivare all’instaurazione della “sovranità del popolo” e, in caso di necessità, indirizzerà nella zona altri battaglioni di riserva, oltre ai due già presenti, contando sul fatto di poter disporre, in tutta l’Ucraina, di 18 o 19 di tali battaglioni di riserva e di non aver problemi, se la situazione lo richiederà, a ritirarne altri dalla linea del fronte. Cosa che, già stamani, alcune agenzie (vedi, ad esempio, il sito di Komsomolskaja Pravda) davano per effettuata, con l’ordine impartito da Jaroš alle formazioni armate di Pravyj sektor di ritirarsi dal Donbass e confluire nelle zone occidentali dell’Ucraina. Un più che chiaro avvertimento ai palazzi presidenziale e governativi!
Secondo il politologo ucraino Sergej Slobodčuk, intervistato da RT, lo Stato ucraino ha perso uno dei caratteri chiave della statualità, il <monopolio alla violenza legittima. Come risultato, oggi nel paese si agisce secondo il principio chi è più forte ha ragione. Sta maturando un sordo ammutinamento, non solo nella Transcarpazia, ma in tutta l’Ucraina>. Slobodčuk è convinto che, presto o tardi, questa situazione si muterà in un aperto conflitto: <o non si manterrà lo Stato ucraino e allora in ogni villaggio ci sarà l’atamn Verde, o l’ataman Rosso, o quello Nero, come nella guerra civile del 1917-’21, oppure si manterrà, ma di tipo feudale, in cui il diritto all’uso della forza sarà monopolio dello Stato>. In sostanza, scrive Lifenews, Kiev si trova ora di fronte all’alternativa: o dichiarare “veri patrioti” dei semplici banditi, oppure spartirsi con loro bottino e potere.
L’alto funzionario del Ministero degli esteri ucraino, Dmitrij Kuleba, teme che gli ultimi avvenimenti legati alle sortite di Pravyj sektor, mettano seriamente in discussione la continuazione dei colloqui per l’abolizione del regime dei visti tra Kiev e i Paesi dell’area Schengen che, secondo le assicurazioni di Porošenko, dovrebbe entrare in vigore già dal 2016. Per certi versi, il presidente potrebbe veramente muovere a compassione: ogni volta che si è detto convinto di un passo europeo nei confronti dell’Ucraina, è stato puntualmente e prontamente smentito dalle circostanze; è evidente che i suoi consiglieri d’oltreoceano devono ancora mettere a punto alcuni dettagli della sua “preparazione” politica. Quindi, nessuna meraviglia che ieri, in relazione ai fatti di Mukačeve, addirittura uno dei più diretti “istruttori” della leadership ucraina, il repubblicano John McCain, in un’intervista alla RBC abbia dichiarato che <Vi aspettate che accusi la Russia? Non questa volta – Kiev ha consentito che accadesse ciò che non avrebbe dovuto accadere. Questi idioti non sono attendibili>. Alla domanda dell’intervistatore, cosa avrebbero dovuto fare a Kiev, McCain ha risposto che avrebbero dovuto studiare meglio a scuola. Non per nulla, gli americani stanno investendo milioni di dollari nella preparazione “democratica” della nuova élite politica ucraina.
Intervistato da Komsomolskaja Pravda, il capo del Parlamento della Novorossija, Oleg Tsarev ha dichiarato che <gli avvenimenti di Mukačeve erano prevedibili e accadono ogni giorno. Tutti dispongono di una gran quantità di armi e la milizia si frappone molto di controvoglia ai conflitti tra raggruppamenti malavitosi. Oligarchi grandi e piccoli continuano a formare i propri reparti armati>. Ma, in generale <a febbraio 2015 tutti pensavano che Porošenko si sarebbe dimesso e il suo posto occupato da Jatsenjuk. Ma gli americani puntarono su Porošenko>. E il Ministro degli interni Avakov, di cui Jaroš chiede ora le dimissioni, rappresenta <il gruppo di forza di Jatsenjuk. Concentra i propri sforzi non sul potenziamento della milizia, bensì dei battaglioni. E Porošenko, dopo essersi sbarazzato di Nalivajčenko (ex capo del Consiglio di sicurezza), sta ora facendo di tutto per sbarazzarsi prima di Avakov e poi di Jatsenjuk. La contrapposizione ai vertici del potere non può che aumentare>.
Se in questa analisi non si menzionano i principali burattinai che dettano le linee della politica ucraina e impongono persino gli uomini che devono patrocinare gli interessi economici e geopolitici del polo di volta in volta più aggressivo, a Bruxelles come a Washington, non si può però non essere d’accordo su quanto ci sia da attendersi in Ucraina già nelle prossime settimane, tanto sul fronte del Donbass, come su quello dei palazzi governativi. In ambedue i casi, la parola è alle armi.
Pravyj sektor, mentre agisce – per proprio conto o in conto terzi: a favore di una o l’altra cordata oligarchica e orientato da chi impone le coordinate di tiro – in qualità di “paladino della legalità contro la corruzione” dei contrabbandieri di Mukačeve, richiama alla mente quei fascisti nostrani che, forse memori delle rivendicazioni sociali del “diciannovismo”, negli anni ’20 prendevano a volte le parti dei braccianti licenziati e tentavano di imporne la riassunzione ai latifondisti, salvo venir immediatamente sbugiardati dai gerarchi governativi. I vertici in camicia nera, sia con l’effige del fascio, che con la croce celtica, sanno sempre contro chi debba essere davvero puntata la canna del fucile.
Sembra dunque che il potere di Petro Porošenko, se i padrini di oltrefrontiera smetteranno di puntare su di lui, possa veramente essere messo in pericolo da qualche stecca di sigarette.
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