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Attentato a Diyala, il Califfato insanguina l’Iraq

Abbiamo più volte scritto, nei mesi scorsi, che le vittime principali del terrorismo jihadista sono proprio i musulmani. E l’orrenda strage che ha insanguinato l’Eid al-Fitr – la festa che chiude il mese di Ramadan – a Baghdad venerdì notte lo ha tragicamente confermato. Finora il tremendo bilancio della strage causata da tonnellate di tritolo piazzate in un’autobomba che si è scagliata contro il mercato di Khan Beni Saas, città della provincia di Diyala a pochi chilometri da Baghdad, è di 120 morti e centinaia di feriti, di cui alcuni molto gravi. Ma il bilancio sembra destinato a crescere ancora visto che sotto le macerie vi sarebbero numerosi corpi da recuperare.

Un attacco rivendicato dallo Stato Islamico secondo il quale a bordo del furgone che l’attentatore avrebbe fatto esplodere al centro dell’animato mercato c’erano addirittura tre tonnellate di esplosivo che hanno letteralmente polverizzato la struttura, incendiato centinaia di automobile e fatto a pezzi uomini, donne, bambini.
La provincia di Diyala, alle porte della capitale irachena, è una delle aree su cui i jihadisti dello Stato Islamico puntano di più per la sua posizione strategica. A maggioranza sunnita durante l’era di Saddam Hussein, nel corso dell’occupazione statunitense era assai cresciuto il numero di abitanti sciiti provenienti da altre zone fino all’occupazione da parte dei fondamentalisti di Al Baghdadi che si appoggiarono ad una certa tolleranza dimostrata da una parte dei sunniti locali. Poi la quasi completa liberazione soprattutto grazie all’intervento delle milizie volontarie sciite e dei peshmerga agli ordini del governo regionale curdo iracheno. La gente vive da tempo in stato d’assedio, e anche se le misure di sicurezza non hanno avuto grande effetto le autorità locali e il governo centrale hanno deciso di rafforzarle dopo il sanguinosissimo attentato di venerdì sera.
In un accorato intervento alla comunità internazionale il più influente leader religioso del paese, l’Ayatollah Ali al-Sistani, ha fatto appello a sostenere l’esercito di Baghdad con armi moderne in grado di contrastare la potenza militare dello Stato Islamico. Cercando di intervenire sugli odi etnici che sono spesso alla base della capacità di insediamento da parte delle bande del Califfato, al-Sistani ha detto: “Non sono solo gli sciiti a combattere. In questa battaglia ci sono sciiti, sunniti, cristiani, yazidi. Ho visto combattenti sunniti nel mio ufficio. Questa non è una battaglia settaria”.
Intanto le autorità saudite hanno fatto sapere di aver arrestato più di 400 persone, di nove diverse nazionalità, sospettate di esser membri dell’Isis e di aver avuto un ruolo negli attacchi alle moschee sciite prima e durante il mese di Ramadan in territorio saudita. Altre 144 persone, affermano da Riad, sono finite in carcere perché sospettati di sostenere il gruppo jihadista che, tollerato e in alcuni casi sostenuto attivamente dall’Arabia Saudita e dalle altre petromonarchie, è diventato negli ultimi mesi troppo ingombrante e anche troppo pretenzioso, poco incline a rimanere semplice strumento nelle mani delle oligarchie sunnite della penisola arabica.

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