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Grecia. La Germania vuole gli aeroporti, a titolo quasi gratuito

Che fine ha fatto il “nuovo accordo” per concedere ad Atene altri miliardi di “aiuti” in cambio di “riforme strutturali”? I media di regime sono diventati improvvisamente avari di notizie sul tema. Solo qualche flash per tranquillizzare i mercati, ora che la testa di Tsipras è stata messa sul piatto e la sinistra interna di Sytiza è stata messa fuori dal governo.

Ma le riunioni continuano, con l’Eurogruppo (i ministri delle finanze e/o dell’economia dei paesi dell’eurozona) impegnato a stilare la lista delle “riforme” che immancabilmente Atene dovrà realizzare per avere accesso a quei fondi. Si tratta di 86 miliardi teorici, destinati per quasi un terzo al salvataggio delle banche elleniche, anche se già circola voce che quei 25 miliardi fin qui calcolato non saranno probabilmente sufficienti, vista la situazione spaventosa creata dalla Troika negli ultimi sei emssi, fino alla chiusura imposta dopo la vittoria del “no” al referendum.

I tempi sono come sempre assai stringenti, perché il 20 agosto Atene dovrebbe restituire 3,4 miliardi alla Bce, altrimenti – ma sempre in teoria – Francoforte potrebbe aprire quella procedura che porta al default che neanche il Fmi ha voluto far partire dopo il doppio mancato rientro di due rate in luglio.

In cambio Tsipras avrebbe assicurato di poter far votare un certo numero di “riforme” già questa settimana. Passaggio indispensabile, dicono i creditori, perchéla credibilità del governo greco è ridotta a zero. Quindi prima di far viaggiare teoricamente altri soldi verso la voragine ellenica vogliono “vedere cammello”. Poi tutti sanno che in realtà quasi nulla arriverà ad Atene, così come avvenuto per i due precedenti memorandum firmati dai governi di Papandreou e Samaras. Si tratterà ancora una volta di una partita di giro che farà aumentare il debito pubblico di Atene senza beneficiare in nulla né l’economia reale né le condizioni di vita della popolazione. Le quali, anzi, dovranno essere peggiorate drasticamente – più di quanto non sia fin qui avvenuto – eliminando buona parte dei residui di welfare state, licenziando dipendenti pubblici, tagliando pensioni, ecc. In più, nelle ultime versioni del “documento” preparato dai creditori, ci sono i tagli alle spese per la difesa (che mette in difficoltà il piccolo partito nazionalista Anel, alleato di governo) e la riduzione delle agevolazioni fiscali ai contadini.

Ma da più parti si indica la necessità di elargire intanto un “prestito ponte” – necessario intanto per ripagare la Bce – e allungare i tempi del negoziato, perché che il governo Tsipras possa fare in pochi giorni quel che non ha voluto fare in sei mesi appare decisamente poco realistico. È la posizione tedesca, naturalmente, elaborata da quel ministro delle finanze – Wolfgang Schaeuble – che non sembra aver abbandonato davvero l’ipotesi di buttar fuori la Grecia dall’eurozona.

La soluzione è comunque complicata dal fatto che in questo caso dovrebbe intervenire il fondo Efsf, finanziato da tutti i paesi dell’Unione Europea (con prevedibile opposizione inglese, soprattutto). In linea teorica (quanta presunta “teoria” viene smentita da fatti volgari, quando la Ue deve agire…), sarebbe stato più logico far intervenire il fondo Esm, più ricco e finanziato dagli stati che adottano l’euro. Ma questo fondo di fatto è impossibilitato a intervenire dai vincoli più stringenti imposti proprio da Schaeuble e Merkel, per timore che diventasse una cassaforte a disposizione dei Piigs (Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna).

E non è l’unica complicazione sulla strada della firma di un nuovo “accordo”. Dopo anni di luoghi comuni razzisti fomentati dal governo tedesco nei confronti dei “mediterranei” scansafatiche, c’è infatti il fondato rischio che il piano di “aiuti” possa essere bocciato dal Bundestag, anziché dal disastrato parlamento ateniese.

Sarebbe un evento paradossale, e anche alquanto contrario agli interessi del capitale multinazionale con “base” tedesca. Tra le misure chieste-imposte alla Grecia, infatti, ci sono diverse privatizzazioni molto affascinanti per le imprese teutoniche. Per esempio, è noto che la Fraport – società che gestisce per esempio l’aeroporto di Francoforte – aveva già ottenuto a novembre dello scorso anno (prima dunque delle elezioni vinte da Syriza) lo status di “investitore privilegiato” per concessioni di 40 anni su 14 scali greci.

Un po’ come avveniva per la antiche “concessioni” imperialiste (Hong Kong è stata inglese per 99 anni, notiamente), le principali infrastrutture elleniche diventerebbero proprietà privata tedesca per un periodo un po’ più breve (40 anni), ma comunque sufficiente a fare della Grecia una colonia dipendente. Si tratta in effetti degli aeroporti più redditizi: Creta, Corfu, Kos, Rodi, Santorini, Skiatos e Zacinto, oltre a Salonicco.

I dati relativi al 2013 indicano che in questi scali sono transitate più di 19 milioni di persone, mentre il prezzo offerto da Fraport per ottenere 40 anni di potere assoluto sarebbe appena di 1,234 miliardi di euro. Una rapina, più che un affare vantaggioso, che la dice lunga sui motivi per cui il governo tedesco si mostra sempre il più intransigente nell’esigere questo tipo di “riforme”.

 

 

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