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“La Nato è un’alleanza difensiva” dice Stoltenberg inaugurando nuove basi in Europa Orientale

La punta di diamante USA e Nato contro “l’aggressione” della Russia, l’ex presidente “arancione” della Georgia Mikhail Saakašvili e ora governatore della regione di Odessa ha dichiarato di non vedersi (chissà perché, coi suoi precedenti: in Georgia, da dove è fuggito nel 2003, è ricercato per coinvolgimento nella morte dell’ex primo ministro Zurab Zhvania, abuso di potere e appropriazione di 5 milioni di $ di fondi statali) nelle vesti di primo ministro ucraino, come invece chiede la petizione avviata sul sito del presidente Porošenko e che in due giorni ha già raccolto 5mila delle 25mila firme necessarie.
Poco importa: la sua funzione, storica e attuale, Saakašvili l’ha svolta e la sta svolgendo egregiamente; dunque ora Nato e USA possono entrare in scena più direttamente sul fronte orientale. E lo stanno facendo con una presenza che, di settimana in settimana, si fa più massiccia e permanente. Ma non ancora sufficientemente stabile, secondo i vertici dell’Alleanza atlantica. Le manovre militari congiunte – terrestri, aero-terrestri, navali; nei paesi baltici e nelle acque del mar Baltico, nelle pianure polacche, ceche e tedesche, nelle steppe di Ungheria e Romania, sulle alture della Georgia – tutt’intorno ai confini russi, di militari USA e Nato insieme a truppe di paesi che aspirano ardentemente a fare il salto di qualità da partner a membri a pieno titolo dell’Alleanza, stanno diventando un dato di fatto banalmente consueto, come il buio segue l’imbrunire. L’unica differenza è che, in buona parte dell’emisfero terrestre, le notti sono più o meno tranquille, mentre le conseguenze che possono scaturire dall’insistenza nell’ammassare uomini e mezzi a un tiro di schioppo dalle frontiere altrui non lasciano affatto fiduciosi. Forse per questo, a Washington e Bruxelles, sembrano orientarsi a rendere tale presenza di uomini e mezzi da guerra stabile e permanente: la presenza fissa diventa a sua volta un dato di fatto che “tranquillizza”.

Sembra seguire tale logica il vice Ammiraglio statunitense James Foggo, comandante della 6° flotta USA che, mentre dirige le manovre congiunte USA-Nato-Ucraina “Sea Breeze-2015” nelle acque di fronte alle coste ucraine (iniziate lo scorso 1 settembre, proseguiranno fino al 12 del mese), dichiara che le forze navali statunitensi intendono conservare in quel bacino “una presenza pressoché permanente, avvalendosi del diritto di libera navigazione”, estendendo al mar Nero lo stesso codice usato dalla marina statunitense “insieme a quella cinese” nell’Oceano Pacifico. Foggo ha sottolineato che le manovre di quest’anno (le Sea Breeze si ripetono dal 1997) con la partecipazione delle forze di 11 paesi Nato (tra cui anche Italia, Ucraina, Svezia e Moldavia) “si svolgono in una situazione geopolitica diversa da quella degli anni passati”, più tesa a causa del conflitto in Ucraina e del peggioramento dei rapporti con Mosca. Dunque, secondo Foggo, la Russia “deve mutare la propria condotta sul mare. Per ora la cooperazione è stata professionale. Mentre ci troviamo direttamente vicini gli uni agli altri, essi non distolgono gli occhi da noi e noi da loro”. Speriamo che al Cremlino abbiano inteso l’ordine impartito da James Foggo.

Nel settore settentrionale dell’Alleanza, in Lituania, uno dei paesi dell’ex Patto di Varsavia entrati a far parte della Nato nel 2004, il segretario generale Jen Stoltenberg ha inaugurato ieri uno dei 6 Centri di comando dell’Alleanza atlantica (Nato Force Integration Unit) che, secondo le sue parole, costituiscono “parte del grande piano Nato di rafforzamento della sicurezza collettiva”. Contemporaneamente a quello di Vilnius, altri Centri sono stati inaugurati ieri in Bulgaria, Lettonia, Polonia, Romania ed Estonia. Stoltenberg ha sottolineato che, in questo modo, Bruxelles “invia segnali per cui nessun membro dell’alleanza rimane isolato e la Nato è presente qui ed è pronta a difendere ogni alleato”. La decisione sulla creazione di Centri di comando Nato in sei paesi dell’Europa orientale era stata adottata al vertice tenuto in Galles nel settembre dell’anno scorso e giustificata con la necessità del coordinamento, nella regione, delle forze di pronto intervento Nato (Very High Readiness Joint Task Force) “per la risposta operativa ai mutamenti critici di situazione nella sfera della sicurezza”. Sottinteso, per prevenire ogni “tentativo di aggressione russa”, contro cui, per ulteriore sicurezza, Estonia e Lettonia stanno ora innalzando muri di protezione! I nuovi Centri devono rispondere alle operazioni programmate per il trasferimento e il dislocamento in 48 ore delle forze di pronto intervento nelle varie aree della regione.

Porgendo nel contempo un ramoscello d’olivo (ma, a settembre, è ancora presto per i frutti), Stoltenberg ha anche dichiarato al Wall Street Journal che, nonostante i rapporti tra Mosca e Occidente si siano fatti tesi per la situazione in Ucraina, i paesi Nato non devono rinunciare al dialogo con la Russia. “Tra di noi ci sono dei disaccordi” ha detto; “perciò dobbiamo incontrarci e sederci al tavolo delle trattative.L’idea secondo cui l’accordo e il dialogo siano una sorta di concessione o di debolezza, è sbagliata. Soprattutto quando la tensione sale, quando osserviamo un innalzamento dell’attività militare” ha continuato il segretario Nato – sottintendendo in tal modo che la maggiore attività sia quella degli altri, osservata con occhio vigile dall’Alleanza atlantica – “e un aumento del numero di aerei e navi da guerra, al contrario tutto ciò costituisce un motivo in più per il dialogo”. Subito dopo, l’astuto Stoltenberg, ha staccato tutte le foglie verdi da quel ramoscello e ha aggiunto che la Nato non intende rinunciare ai piani di rafforzamento delle proprie capacità di difesa: “Una forte difesa è il fondamento dell’interazione”, ha detto, aggiungendo di non vedere contraddizione tra allargamento del potenziale militare e gestione di trattative.

Secondo la Tass, rispondendo alla domanda se l’apertura dei 6 Centri di comando Nato possa provocare una risposta negativa da parte di Mosca, Stoltenberg ha dichiarato che “tutto ciò che l’Alleanza fa si basa sul principio di proporzionalità e riveste carattere difensivo. Ci atteniamo ai nostri obblighi internazionali e non intendiamo provocare nessuno”. Lo scorso 27 agosto, Stoltenberg aveva inaugurato in Georgia il nuovo Centro di addestramento Nato di Krtsanasi, giudicato dal Ministro della difesa di Tbilisi, Tinatin Khidaševili, “per dimensione, funzioni e significato, uno dei maggiori progetti congiunti che attueremo nell’ambito del pacchetto gallese”.

E’ più che evidente, raffrontando le forze in campo, quale sia tale “principio di proporzionalità” e quale la parte che deve difendersi dalle aggressioni. Allo scorso dicembre la Nato schierava 144 velivoli di aviazione strategica e 3.800 di aviazione tattica, contro 79 e 1.614 russi; 2 milioni di uomini (di cui 1,4 USA) contro 850mila russi; 13 portaerei (di cui 10 USA) contro una; 22 incrociatori atomici lanciamissili, contro uno; 54 sommergibili atomici non strategici contro 36. L’unico settore che vede la relativa superiorità di Mosca è quello dei mezzi corazzati: 10mila contro 6.800 Nato; ma in costruzione ci sono 3mila nuovi mezzi Nato contro 2.500 russi.

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