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India. Grande adesione allo sciopero generale contro il governo

In quello che rappresenta il più duro braccio di ferro tra sindacati e governo nazionalista dalla sua entrata in carica lo scorso anno, milioni di lavoratori hanno scioperato per 24 ore lo scorso 2 settembre in tutta l’India per protestare contro le riforme presentate finora che rischiano di ridurre drasticamente l’occupazione, in particolare con le norme che riguardano riduzione di personale e chiusura di fabbriche ritenute improduttive o poco competitive.

Il settore pubblico (molti uffici oltre a banche, trasporti) e una parte di quello privato nell’industria, edilizia e miniere, si sono bloccati. Fermi treni, bus e metropolitane in quasi tutti gli stati dell’Unione Indiana. Un successo per la sigla promotrice, l’All India Trade Union Congress (in cui i comunisti hanno una forte influenza e protagonismo) i cui leader hanno stimato in 150 milioni i lavoratori in sciopero. La decisione di indire uno sciopero su scala nazionale è stata presa lo scorso maggio durante un Convegno Nazionale dei Lavoratori.

In alcune località, gli scioperanti si sono scontrati con la polizia. Pesanti scontri con le forze dell’ordine si sono registrati in particolare nei distretti di Murshidabad e Calcutta. Nello stato del Bengala Occidentale i manifestanti hanno tentato di bloccare i binari ferroviari e hanno lanciato pietre contro la polizia che ha reagito con delle cariche. Alla fine più di 200 lavoratori sono stati arrestati.
Secondo l’Assocham – le camere di Commercio e dell’Industria del Paese – le perdite economiche dovute allo sciopero sarebbero intorno ai 3,25 miliardi di euro.

Un chiaro avvertimento, quello di mercoledì al governo guidato da Narendra Modi, che la via verso le cosiddette riforme volte a “modernizzare” il sistema economico e in particolare il settore pubblico è tutta in salita finché si ostinerà a perseguire gli interessi degli imprenditori e delle aziende di stato contro quelli dei lavoratori. Sono ben 44 le leggi sul lavoro a livello nazionale e oltre 150 quelle locali nei vari Stati, un groviglio di provvedimenti in parte ancora eredità della colonizzazione britannica che contribuiscono a tenere lontani gli investitori. il governo ha invece promesso di riformare il mercato così da attirare investimenti stranieri e dare nuovo ossigeno alla terza economia asiatica.
Le modifiche segnalate dal governo riguarderebbero le aziende con oltre 300 dipendenti, che avrebbero maggiore facilità a licenziare, come pure renderebbero più difficile la formazione di nuovi sindacati. Proposte che era previsto sarebbero state fonte di aspro dibattito al Senato indiano, che i sindacati hanno voluto anticipare con lo sciopero di mercoledì.
Una iniziativa che ha anche il senso di premere affinché passi la richiesta di un salario minimo nazionale di 15.000 rupie (circa 190 euro) mensili contro compensi attuali che nel settore pubblico vanno da 5.000 a 9.000 rupie.

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