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Russia al voto il 13 settembre, i comunisti contro il governo

Il prossimo 13 settembre si tengono in 83 “soggetti federali” della Russia – regioni, circondari autonomi, regioni con status repubblicano o autonome, territori – elezioni locali per il rinnovo di 21 Governatori regionali, 11 Consigli regionali, 23 centri amministrativi e un discreto numero di consigli municipali. In totale i mandati da rinnovare sono più di 92mila, sono coinvolti 55 partiti e oltre 51 milioni di elettori, per la stragrande maggioranza nelle regioni occidentali della Russia, ma non mancano, ad esempio il territorio (kraj) della Kamčatka o le regioni di Magadan e Sakhalin, sulla costa del Pacifico. Registrati oltre 191mila candidati, dei 207mila presentati. Secondo la Commissione elettorale centrale, alcune centinaia di candidati non sono stati registrati a causa di pendenze giudiziarie o penali. 

Naturalmente sono iniziati i pronostici che, come da copione, indicano in testa il partito governativo “Russia unita”. Nella regione di Kostroma, ad esempio, dove si devono eleggere Governatore e parlamento regionali, insieme al Consiglio municipale del capoluogo regionale (350 km a nordest di Mosca) stando al rating elettronico sulle preferenze di voto realizzato dall’ufficiale VTsIOM, per “Russia unita” voterebbe il 44% degli aventi diritto. Eterno secondo, il Partito Comunista di Ghennadij Zjuganov, con l’11%; terzi i nazionalisti di destra del LDPR di Vladimir Žirinovskij (9%) e quarti i socialdemocratici di “Russia giusta” con l’8%. L’opposizione di “ParNaS” (Partito della libertà popolare), la coalizione liberal-occidentale – le sue critiche al potere ricalcano come veline quelle di Washington – dei Kasparov, Kasjanov e del defunto Boris Nemtsov, si consoliderebbe all’ultimo gradino con solo l’1%, alla pari dei Verdi e dell’altra formazione liberale “Jabloko”, creatura di un altro ex eroe eltsiniano, Grigorij Javlinskij. E 1% anche al Partito del progresso, del “martire” (milionario) Aleksej Navalnij. Meno dell’1% ad altri raggruppamenti, quali, ad esempio, i Comunisti di Russia, che vanta alcuni seggi nei consigli municipali di varie città, o i Patrioti di Russia, una costola staccatasi nel 2005 dal PC ufficiale sulla base della piattaforma del Partito russo del lavoro.

Il voto si tiene in una situazione non tra le più facili per la Russia, soprattutto dal punto di vista economico. Pur se i sondaggi di poche settimane fa confermano il consenso per Vladimir Putin ai massimi livelli (oltre l’80%; anche se abbonda il malcontento, perché “ai vertici pensano solo ai propri interessi e a quelli dei gruppi e clan più influenti”, secondo indagini del VTsIOM della scorsa primavera) gli aumenti di prezzi dei prodotti alimentari e di alcune tariffe municipali (in primis: il contributo richiesto per la ristrutturazione degli appartamenti, finora quasi a completo carico pubblico), la caduta del rublo legata alla continua discesa del prezzo del petrolio e alle sanzioni occidentali, oltre a scelte clamorosamente a favore della élite finanziaria, dovrebbero istillare perlomeno qualche timore al partito di governo. Ma i sondaggi, si sa, servono anche a questo: a esorcizzare le previsioni infauste.

Il premier Dmitrij Medvedev che, come Putin, nelle settimane scorse, si è speso in diversi viaggi in lungo e in largo nelle regioni dove si vota, ha individuato le cause della difficile situazione economica in un complesso di fattori negativi, quali l’instabilità nel mercato energetico (che però negli ultimi 13 anni ha portato nelle casse dello stato 2,1 trilioni di $, finiti per infinitesima parte in spesa sociale, nella sanità e nell’istruzione o negli investimenti industriali) che influenza particolarmente quello dei capitali (controllato per oltre il 60% da soggetti stranieri) e le difficoltà comuni un po’ a tutte le principali economie. Difficoltà che si aggravano, soprattutto se c’è da garantire la stabilità dei profitti dei grossi gruppi privati – alcuni fra tutti: Gazprominvestholding di Ališer Usmanov, Alfa-Grupp di Mikhail Fridman, Lukojl di Vaghit Alekperov, Nornikel di Vladimir Potanin – che si contendono il primato di Forbes a suon di milioni di $ (il primo della classifica, Potanin, con 15,4 miliardi di $ distanzia il secondo, Fridman, fermo ad “appena” 14,6 miliardi di $) e delle imprese in diversa misura controllate dallo stato.
Il PC zjuganoviano ha aperto uno degli ultimi appelli prima del voto partendo proprio dalla costatazione che il governo, chiamando alle urne in anticipo, all’inizio di settembre (così pare che sarà anche l’anno prossimo, quando si voterà per eleggere la nuova Duma di stato) tenta di annichilire i fattori di crisi che potrebbero influire sulle coscienze, contando sull’effetto post-vacanze estive, per vanificare l’opposizione a un corso economico-sociale che rischia di riportare il paese ai “malvagi anni ’90”. Nell’appello del PCFR si ricordano tutte le scelte del partito, nel segno della passata grandezza nazionale, la guida di tutti i movimenti di protesta e l’iniziativa per l’impeachment di Eltsin, senza dimenticare passaggi che vanno al cuore delle generazioni più anziane, come lo staliniano “I quadri decidono tutto”, riferito alla scuola di partito per la formazione di giovani dirigenti. L’appello elettorale del PC, mentre rimarca la distinzione tra esternazioni presidenziali e scelte governative, chiama al rafforzamento delle forze della “sinistra patriottica” e termina con l’appello per il socialismo e, com’è nell’attuale linea zjuganoviana, per la rinascita della grande Russia.

A sinistra del PCFR, la formazione più forte è certo il Partito comunista russo dei lavoratori, di Viktor Tjulkin, che accusa il PC di Zjuganov, oltre che di abusare dell’aggettivo di comunista, di continuare a “vezzeggiare” Putin per il suo “corso giusto, mentre nel governo Medvedev siedono degli aperti sabotatori”. Mantengono le posizioni, alcune delle più “vecchie” organizzazioni comuniste, quali ad esempio il Partito comunista panrusso dei bolscevichi, sorto sulla base della cosiddetta “piattaforma bolscevica” all’interno del PCUS sulla scia della critica antigorbaceviana di Nina Andreeva, e il Partito russo dei comunisti, nato nel 1991. Tra le organizzazioni più recenti, spicca invece per attività e diramazioni periferiche il Partito unificato dei comunisti, fondato nel 2014; anche quest’ultima formazione, come la stragrande maggioranza delle organizzazioni comuniste, sta tentando (finora senza successo) di ottenere la registrazione presso il Ministero della giustizia e avere così accesso alle elezioni. Nel caso specifico, ad esempio, un giovane membro del PUC è in lizza per il consiglio municipale di Šumerlja, una cittadina della regione (con poteri repubblicani) della Čuvaša, senza poter essere presentato come candidato del PUC.

In generale, delle decine di formazioni comuniste sorte in Russia sulle ceneri del PCUS, a volte con lo strutturarsi di piattaforme più o meno di sinistra (non mancano nemmeno quelle “evangeliche”!) già esistenti all’interno stesso del PCUS, ma più spesso successivamente alla fine dell’Urss, pochissime sono riuscite a ottenere la registrazione ufficiale; molte organizzazioni sono attive solo a livello locale; altre agiscono per lo più solamente a livello propagandistico, senza nessuna strutturazione partitica. Il PC di Ghennadij Zjuganov, presentatosi da subito quale erede ufficiale del PCUS, è riuscito a catalizzare un consenso che, numericamente, le altre formazioni comuniste sono ben lontane da raffigurarsi. D’altra parte, la sua visibilità alla Duma di stato, concorre a rafforzare la sua immagine di partito di opposizione al potere e di fautore della giustizia sociale. Quanto alla sua reale capacità o volontà di porsi davvero quale alternativa al putinismo-medvedismo, la critica rivoltagli da Viktor Tjulkin può significare che, nella sostanza, per ora, le chance del PCFR di dare una svolta antioligarchica alla Russia siano purtroppo davvero poche.

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