Che quello della lotta allo stato Islamico costituisca uno dei temi, se non il tema centrale, dell’intervento di Vladimir Putin in programma per domani all’assemblea generale dell’ONU, a questo punto pare quasi una tautologia.
Appena qualche giorno fa – quasi ignorando le parole del portavoce presidenziale Dmitrij Peskov, che le definiva “speculazione non costruttiva” – si erano date per scontate le “rivelazioni” dell’agenzia Boloombreg, secondo cui la Russia intenderebbe bombardare autonomamente le posizioni dell’Isis in Siria, se gli Stati Uniti rifiutano la proposta di una coalizione internazionale. Ma, qual è oggi la situazione?
Al momento, di ufficiale c’è che Russia, Siria, Iraq e Iran si sono accordati per l’apertura a Bagdad di un “Centro informativo” per la lotta all’Isis, costituito da rappresentanti degli Stati maggiori dei quattro paesi e la cui funzione principale, ha dichiarato a “Interfax” una fonte militare russa, sarà quella della “raccolta, elaborazione, condivisione e analisi delle informazioni sulla situazione nella regione mediorientale, soprattutto per la lotta allo Stato Islamico”. Se questo non è un passo verso l’intervento diretto russo, su cui si sta da tempo speculando, rappresenta quantomeno una sua possibile premessa. Tant’è che, sulla base del Centro, ha specificato la stessa fonte militare, in prospettiva potrà essere creato un Comitato di coordinamento per la pianificazione operativa delle operazioni; il Centro informativo “costituisce un passo importante per l’unione dei paesi della regione nella lotta al terrorismo internazionale, in primo luogo contro l’Isis”.
Nei giorni scorsi sono rimbalzate da più parti voci circa voli di caccia russi nei cieli siriani, che però non avrebbero partecipato ad azioni di guerra. Da parte statunitense si era addirittura ambiguamente prospettato che Mosca avrebbe potuto colpire le posizioni dei ribelli siriani che compongono la cosiddetta “opposizione moderata” (armata) a Bashar Assad. Il sospetto avanzato da Washington serviva forse a mascherare la figuraccia fatta fare agli USA proprio da quei ribelli, intenti a vendere all’Isis le armi americane o a passare direttamente, armi e bagagli, dalla parte di Al Nusra o del Califfato, come pare abbiano già fatto moltissimi di quei cinquemila (dovevano essere 15mila, ma non si è riusciti a reclutarne tanti) “insorti” anti-Assad addestrati dagli Stati Uniti. Peraltro, da tempo Mosca sostiene che l’unica via per fermare il Califfato sia quella di un accordo, sia pur limitato al periodo della guerra contro l’Isis, tra forze governative e opposizione armata islamica, sostenuta dagli stati esteri, che si dichiara nemica del Califfato; ragion per cui quei sospetti paiono quantomeno fuori luogo.
Di contro, nessuno fa certo mistero che la presenza russa in Siria si sia accresciuta nelle ultime settimane. Il parigino “Afrique Asie” riproduce le parole esposte su France24 da Wassim Nasr, riguardo la situazione delle forze russe in Siria: decine di aerei, elicotteri da combattimento, difesa aerea, artiglieria, e altre unità russe sono già presenti a Latakia, mentre sono ora in corso grosse manovre navali nel Mediterraneo orientale: “L’impegno russo è pubblico e aperto. La Russia è presente in Siria dal 1971, nella base navale di Tartus e l’assistenza militare, economica e di formazione alla Siria non è mai cessata”. Tuttavia, il Primo vice capo di Stato Maggiore russo, scrive ancora “Afrique Asie”, generale Nikolaj Bogdanovski, ha assicurato che Mosca “non ha in programma, per ora, la costruzione di una base aerea in Siria. Ma nulla è escluso”, ha aggiunto. Da parte sua, Putin nega l’idea del dispiegamento di truppe russe in Siria, senza però scartare l’idea per il futuro e ricorda l’aiuto sia umanitario, sia in mezzi militari, fornito in gran quantità a Damasco, nonostante l’embargo USA.
Stando alla “Tass”, pur se Mosca parla da tempo della necessità di una coalizione internazionale e si susseguano consultazioni con USA, Turchia, Arabia Saudita, Egitto, Giordania, Israele (con Tel Aviv pare siano già intercorsi colloqui a livello di capi di Stato maggiore), vari esperti russi, pur concordando sulla necessità della lotta attiva all’Isis, si dichiarano contro un intervento militare diretto in Siria. Il presidente del Consiglio per la politica estera di difesa, Fëdor Lukjanov, ritiene che l’invio di truppe in Siria rappresenti uno “scenario estremo, molto pericoloso. Bisogna fare di tutto per evitarlo. Altra cosa, possono essere reparti di appoggio, che probabilmente già ci sono; ma non si tratta dello sbarco di un contingente, che dovrebbe combattere direttamente con gli islamisti: questo non deve accadere”. Il direttore del Consiglio per gli affari internazionali, Andrej Kortunov, sembra adombrare, pur senza dirlo, una scelta “all’americana” – bombardamenti dall’aria – ma “il compito di condurre operazioni di terra se lo devono assumere le forze locali”. Il direttore dell’Istituto di orientalistica dell’Accademia delle Scienze, Pavel Naumkin ritiene che “sulla Siria, sarebbe tempo che gli USA concordassero con il nostro piano: già in Afghanistan hanno allevato i mujaheddin e Al Qaeda, che poi gli si sono rivolti contro. Oggi lo stesso pericolo c’è con gli islamisti, con la non volontà di creare una larga coalizione con le forze regionali, incluse Siria e Iran”.
Ancora la “Tass” aveva parlato nei giorni scorsi del fatto che Mosca non è soddisfatta della coalizione formata un anno fa dagli Stati Uniti per la lotta all’Isis. Già lo scorso giugno, la proposta di Vladimir Putin si sintetizzava in: una coalizione che includa tutti i paesi dell’area, in primo luogo, quelli che combattono sul terreno – Iraq, Siria e formazioni curde; azioni della coalizione approvate dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU; soluzione dei conflitti interni nei paesi della zona di influenza dell’Isis, in primo luogo la Siria, e risanamento della loro situazione economica e sociale. La coalizione guidata dagli USA, che già da un anno bombarda le posizioni dell’Isis in Siria e Iraq, non ha mandato dell’ONU e non coordina la propria azione con Damasco: ciò è inaccettabile per Mosca.
L’ultima questione, cioè il mancato coinvolgimento della Siria, rappresenta secondo la “Tass” il punto divergente tra la Russia e i potenziali alleati: USA, UE, Turchia, Arabia Saudita, Qatar e Israele. Mentre i secondi sostengono che l’appoggio russo ad Assad contribuisce alla destabilizzazione della Siria, per Mosca il punto non è tanto sostenere Assad, quanto mantenere una struttura statale in Siria. Ogni azione “diretta alla distruzione del governo legittimo della Siria”, ha detto Putin, “creerebbe la stessa situazione, ad esempio, della Libia, dove tutte le istituzioni statali sono state distrutte”. Da questo punto di vista, Mosca ritiene che alcuni passi avanti siano stati fatti: paesi come Germania o Turchia cominciano ad ammettere la possibilità del dialogo con la Siria; e anche Washington, dopo l’accordo con l’Iran sul nucleare, a parere del Cremlino, dovrebbe poter guardare in altro modo alla Siria. Purtroppo, USA e alleati regionali continuano a giocare la carta dell’opposizione armata siriana, che è a sua volta divisa e sempre più spesso sconfina dalla parte dell’Isis e di Al Nusra. E’ così che mentre Mosca rifornisce di armi l’esercito regolare siriano, USA, Turchia e Paesi del Golfo armano l’opposizione; e se in aiuto a Damasco vengono anche Iran ed Hezbollah libanesi, ecco che Israele, nel tentativo di indebolirli, colpisce la Siria. Se questo è il quadro, sostengono al Cremlino, come si può parlare di un fronte unico contro l’Isis? Ecco allora le consultazioni con Obama, con Turchia, Israele, Giordania, Arabia Saudita, Egitto. Ma, parlare di un intervento diretto russo, aveva dichiarato Putin a inizio settembre – anche se già allora non erano escluse “varie alternative” – “è prematuro; noi già così forniamo alla Siria un serio aiuto, in mezzi e preparazione dei militari”. Putin aveva anche messo l’accento sul pericolo di diffusione islamista in diversi paesi europei e in Russia. Secondo il “NYT”, dal 2011 sarebbero 30mila, provenienti da circa 100 paesi, gli stranieri arruolati nelle file del califfato e, secondo fonti russe, si tratterebbe di 1.500 francesi, oltre mille britannici e circa 700 tedeschi. I russi – cittadini di nazionalità russa, insieme a gruppi fondamentalisti dell’area del Caucaso o delle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale – sarebbero 2.400; in rapporto alla popolazione e considerando che un settimo dei russi sono di religione musulmana, per ogni milione di cittadini i russi nelle file islamiste sarebbero 10, 8 i tedeschi, 12 i britannici, 18 i francesi e fino a 40 i belgi; ma anche 32 svedesi, 27 danesi, 17 austriaci, 15 olandesi, ecc. Su ogni milione di musulmani residenti in paesi europei, i combattenti islamici sono 264 dalla Francia, 244 dalla Gran Bretagna, 218 dalla Germania, 161 dalla Russia, ecc.
A parere di vari esperti europei, in Europa, non ci si coordina sufficientemente con i leader dell’islam moderato, a differenza di quanto avviene in Russia (qui, l’esempio più vistoso è stata l’inaugurazione a Mosca, nei giorni scorsi, della moschea più grande d’Europa, cui sono intervenuti, insieme a Vladimir Putin, il presidente kazakho Nazarbaev, il turco Erdogan, il palestinese Abbas, i presidenti delle due repubbliche russe a maggioranza islamica – Tatarstan e Cecenia – Minnikhanov e Kadyrov) dove in effetti ci si scontra con una aperta guerra di informazione islamista e si tenta di arginarla facendo appello alle guide religiose islamiche.
Un occhio di riguardo per le posizioni di Mosca lo manifesta ancora “Afrique Asie”: il ruolo degli Stati Uniti nell’ascesa folgorante dello stato islamico in Siria e Iraq “non può essere un segreto per alcun osservatore”, scrive; l’Isis “è solo un nuovo look fornito ad Al Qaeda dagli specialisti americani in destabilizzazione degli stati, come è stato spiegato molto bene da Bashar al-Assad nella recente intervista ai media russi: “sappiamo che la Turchia sostiene Al Nusra e Isis fornendo denaro, armi e volontari, e sappiamo tutti che la Turchia ha stretti rapporti con l’Occidente e questo ha sempre visto il terrorismo come una carta da tenere in tasca e utilizzare di volta in volta. Ora vogliono usare Al Nusra contro l’Isis perché questo è fuori controllo. Ma non significa che vogliano eliminare l’Isis; se davvero lo avessero voluto, sarebbero stati in grado di farlo già da molto tempo. Da quando la coalizione guidata dagli Stati Uniti ha cominciato a operare, l’Isis è in espansione. Lo stato islamico” ha detto ancora Assad, “rappresenta la terza fase della politica occidentale del male, che mira a soddisfare obiettivi politici: il primo passo è stata la creazione della Fratellanza Musulmana, nel secolo scorso. La seconda fase è stata Al Qaeda in Afghanistan, il cui ruolo era quello di lottare contro l’Unione Sovietica. Il terzo passo è lo stato islamico e Al Nusra”.
Come ha sottilmente insinuato il Ministro degli esteri Sergei Lavrov, “L’analisi dei colpi portati dagli aerei della coalizione guidata dagli Stati Uniti offre una sensazione strana. Si ha a volte l’impressione che oltre l’obiettivo dichiarato della lotta contro lo stato islamico, ci sia qualcos’altro nei compiti della coalizione. Alcuni nostri partner della coalizione affermano di avere informazioni precise sulle posizioni dell’Isis, ma il capo della coalizione (gli Stati Uniti) non dà il via libera per portare l’attacco”.
In effetti, la condotta USA è chiara da tempo. Dopo la “primavera araba” destinata a “destabilizzare il potere siriano e sollevare una forza di opposizione”, scrive ancora “Afrique Asie”, la seconda fase della strategia USA doveva essere, sull’esempio libico, “l’attacco alla Siria da parte della Francia, sostenuta dagli Stati Uniti. Se la prima fase è riuscita perfettamente, la seconda fase è stata un fallimento: i missili yankee contro la Siria nel 2013 si sono persi in mare, paralizzati dai controsistemi russi. Ecco allora che si è lanciato lo stato islamico, come sorto dal nulla, a margine dei presunti “oppositori moderati “. Quando è diventato chiaro che si trattava di forze “impresentabili”, ecco un altro piano USA in due fasi: i bombardamenti sulle posizioni dell’Isis cominciati un anno fa e il sostegno alla “opposizione moderata” destinata a eliminare fisicamente Assad, sull’esempio irakeno e libico. Di nuovo fallimenti”, scrive “Afrique Asie”: il fiasco nella formazione della “opposizione moderata” e i seimila attacchi aerei della coalizione, con declamati 10.000 morti nelle file dell’Isis, non hanno impedito allo stato islamico di prosperare. Ecco dunque la possibilità di accordo con la Russia, pur con la premessa della eliminazione di Assad, richiesta per bocca di François Hollande”.
Il quadro, la momento, appare dunque tutt’altro che definito nei particolari.
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