Dopo le prime indiscrezioni, ormai è ufficiale: i caccia di Mosca hanno iniziato le operazioni militari in Siria rispondendo all’appello del governo di Damasco che ha chiesto aiuto alle forze armate russe per contrastare l’avanzata delle milizie jihadiste ma anche per rintuzzare le ingerenze di cui Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e petromonarchie del golfo si stanno rendendo protagoniste. L’obiettivo delle potenze occidentali e di quelle sunnite, del resto, rimane lo stesso di sempre – liberarsi del regime siriano – anche se rispetto al passato prevale quello ufficiale di combattere lo Stato Islamico tanto in Siria quanto in Iraq.
Secondo quanto si apprende dai comunicati diffusi da Mosca e da Damasco, i caccia russi avrebbero colpito nell’area di Homs, di Latakia e di Hama dopo che i comandi militari di Mosca avevano chiesto alle forze aeree statunitensi di astenersi dal sorvolare la regione interessata dalla prima azione militare di Mosca in Medio Oriente dagli anni ’80 ad oggi, senza però fornire i dettagli esatti degli obiettivi. Una richiesta, hanno fatto sapere stizziti al Pentagono, che i caccia statunitensi e del resto dei membri della ‘coalizione’ – alla quale oggi si è unita anche la Tunisia – non avrebbero esaudito portando avanti le missioni già programmate. I comandi militari statunitensi hanno addirittura smentito che forze russe abbiano colpito obiettivi in Siria mentre alcune fonti dell’opposizione al governo di Damasco hanno al contrario accusato i caccia di Mosca di aver ‘ecceduto’, colpendo e uccidendo anche dei civili nei pressi di Hama…
Da parte sua il gruppo che si fa chiamare “Tajammu al Izzah”, (Raggruppamento della Dignità”) denuncia in un comunicato che quattro caccia russi avrebbero colpito e distrutto le sedi della loro organizzazione nella provincia di Hama.
Secondo gli analisti le aree colpite ad Homs sono prevalentemente sotto controllo del Fronte al Nusra, organizzazione associata ad al Qaeda, mentre le aree colpite a Latakia sono sotto il controllo della coalizione conosciuta come Esercito della Conquista, anch’essa jihadista. Le zone colpite ad Hama, invece, includerebbero località controllate da gruppi ribelli cosiddetti “moderati”, ma anche da al Nusra e da alcuni gruppi minori che si sono uniti all’Isis.
La prima azione in territorio siriano all’interno della campagna militare decisa da Mosca è arrivata in contemporanea con il si del Senato russo – il Consiglio della Federazione – all’intervento nel paese scosso da una guerra civile fomentata e combattuta da potenze e forze straniere. La Duma, all’unanimità, ha approvato l’uso della forza in Siria sostenendo compattamente la richiesta in tal senso del presidente Vladimir Putin.
Secondo Putin l’impegno militare russo in Siria ha carattere ‘temporaneo’ ma è indispensabile per impedire che tutto il paese cada nelle mani degli islamisti. «L’unico modo per affrontare il terrorismo è combatterlo preventivamente…e non aspettare che i terroristi arrivino in casa» ha spiegato il presidente russo nel corso di una riunione di governo, di fatto mutuando il discorso tradizionale a sostegno degli interventi militari occidentali in quei paesi ritenuti fonte di pericolo per la propria sicurezza nazionale. D’altronde in Siria combattono migliaia di miliziani islamisti provenienti dalla Russia e dalle altre repubbliche ex sovietiche, che rappresentano una potenziale grave minaccia per la stabilità dello spazio geopolitico controllato da Mosca.
Il capo dell’amministrazione presidenziale, Serghiei Ivanov, ha chiarito che Mosca non invierà truppe sul terreno, ma si limiterà a “fornire appoggio dall’aria alle forze siriane”. In realtà è abbastanza evidente che nelle ultime settimane alcune centinaia di militari russi hanno raggiunto il piccolo contingente già presente nel paese per rafforzare la base di Tartus e coordinare l’intervento di Mosca contro le diverse forze jihadiste. I carri armati, i caccia, i sistemi missilistici e i radar arrivati da Mosca a Damasco e Latakia per blindare la resistenza delle ultime due roccaforti del regime sono stati accompagnati da una certa quantità di consiglieri, istruttori e membri delle forze speciali. Nei giorni scorsi, secondo indiscrezioni non confermate, reparti russi sarebbero stati attaccati ed avrebbero risposto al fuoco colpendo le milizie islamiste.
La Russia sarà “l’unico paese” a intervenire militarmente in Siria nel rispetto del diritto internazionale perché la decisione di lanciare dei raid aerei arriva in seguito alla richiesta di assistenza militare ricevuta dal presidente siriano Bashar al-Assad, ha precisato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, secondo cui tali operazioni sono possibili solo sulla base di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu o su richiesta delle autorità legittime di un Paese interessato.
Mentre gli Stati Uniti accusano Mosca di voler forzare la mano sullo scenario siriano, l’Arabia Saudita ha reagito avvertendo ‘alleati’ e nemici – e la Russia è uno di questi ultimi – che sta valutando l’opportunità di intervenire militarmente in Siria per rimuovere Assad dal potere. “Non c’è futuro per Assad indipendentemente da ciò che la Russia o altri vogliono” ha minacciato in maniera inequivocabile il ministro degli Esteri saudita Adel al-Jubeir.
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