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Catalogna: è muro contro muro tra Rajoy e gli indipendentisti

Il premier Mariano Rajoy ha annunciato ieri che le elezioni politiche spagnole si terranno il 20 dicembre, confermando così una data che circola almeno da settembre ma che finora, era considerata solo “probabile”. Nelle elezioni generali il Partito Popolare, la destra spagnola, spera di riscattarsi dopo il tonfo inequivocabile del risultato catalano. Il PP è dato dai sondaggi in forte discesa anche nelle sue roccaforti storiche, a vantaggio del nuovo astro della destra spagnola, Ciudadanos, che proprio in Catalogna ha ottenuto un risultato anche superiore alle aspettative, succhiando centinaia di migliaia di voti al partito di Rajoy soprattutto a Barcellona e della sua cintura. Rajoy punta esplicitamente su una crescente drammatizzazione dello scontro con gli indipendentisti catalani nel tentativo di polarizzare l’elettorato in vista delle legislative. I popolari sperano di poter sfruttare il conflitto nato sulla vicenda catalana, rafforzando la propaganda nazionalista e sciovinista per accreditare di nuovo il PP come unico possibile baluardo contro i ‘separatisti’ e la disgregazione del regno.
Se i popolari crollassero e si costituisse ad esempio un governo formato dai socialisti del Psoe e da Podemos, ipotizzano alcuni analisti, si potrebbe passare dal muro contro muro attuale a una trattativa coi catalani. Il che però è tutto da vedere vista la foga nazionalista che pervade le classi dirigenti e i poteri forti del Regno, affatto disponibili a perdere una delle regioni più ricche e importanti del paese.
Probabilmente un governo Psoe-Podemos (con i primi non così in difficoltà come si prevedeva e i secondi invece in forte affanno) o comunque senza la presenza dei popolari potrebbe puntare a una rapida riforma in senso federalista dello Stato, per accontentare alcune delle rivendicazioni dei nazionalisti catalani – ma anche baschi – che a quel punto potrebbero rinunciare ad una indipendenza vera e propria. Ma certo più Rajoy e i suoi accentuano lo scontro e la propria verve nazionalista, più obbligano gli indipendentisti catalani a radicalizzare il proprio discorso, compresi quelli di Convergenza Democratica, portati recentemente su posizioni più radicali da una mobilitazione popolare che altrimenti rischiava di inficiare l’egemonia conquistata dal partito della borghesia catalana negli ultimi decenni.
Se è vero che domenica ‘solo’ il 48% degli elettori hanno scelto partiti esplicitamente ‘secessionisti’, è altrettanto vero che sul fronte opposto solo il 39.2% ha votato per i partiti spagnolisti (C’s, PSC e PP). Il che vuol dire che il famoso ‘plebiscito’ sull’indipendenza è stato ampiamente vinto, senza contare che all’interno dei partiti che si sono rifiutati di scegliere l’una o l’altra opzione – Podemos, Sinistra Unita e Altenativa, gli ecosocialisti di ICV o i democristiani regionalisti dell’Udc, in tutto il 12.5% dei voti – esistono settori non ostili del tutto o affatto ad una separazione da Madrid.

Il clima nel frattempo è fortemente esacerbato oltre che dalle consuete polemiche, anche dalla mossa della magistratura spagnola – dietro la quale c’è la cupola del PP, ovviamente – che ha dichiarato l’ex presidente della Comunità Autonoma e capofila dello schieramento indipendentista, il liberalnazionalista Artur Mas, imputato per “disobbedienza” e altri reati. La sua colpa agli occhi di una giustizia spagnola a orologeria, è quella di aver convocato (in realtà formalmente lo ha soltato patrocinato) lo scorso novembre un referendum consultivo sull’indipendenza della Catalogna alla quale parteciparono il 35% degli aventi diritto, niente male per una consultazione autogestita priva di alcun valore legale organizzata dopo che Madrid aveva proibito la celebrazione di un referendum da tenersi con tutti i crismi. I reati contestati dalla Procura Generale a Mas e ad altri due membri del suo governo sono quelli di disobbedienza, prevaricazione, malversazione e usurpazione. L’imputazione è “un giudizio politico” e rappresenta “un’anomalia democratica”, ha reagito il governo di Mas per bocca della sua vice, Neus Monté, che riferendosi ai tre imputati ha affermato: “Sono stati denunciati per aver fatto sì che i cittadini potessero esprimersi liberamente nelle urne”. Anche se teoricamente Mas rischia alcuni anni di reclusione – la malversazione prevede fino a sei anni di condanna – sembra più probabile che i nazionalisti spagnoli puntino a far fuori il leader di Convergenza Democratica dall’agone politico tramite una condanna all’inabilitazione e dall’interdizione dai pubblici uffici per un periodo più o meno lungo.
Come se non bastasse, ed anche in questo caso su input del Partido Popular, le Cortes di Madrid stanno varando in tutta fretta una (contro)riforma dello statuto della Corte Costituzionale che consenta al massimo organo giudiziario di rimuovere il presidente catalano o chiunque metta in discussione l’unità della Spagna e ‘attenti alla Costituzione’. Di fatto il provvedimento consente al presidente della Consulta di sospendere dal suo incarico qualsiasi dirigente pubblico che non obbedisca a una sentenza dell’organismo, e visto che la Costituzione spagnola non consente in alcun modo la separazione di una regione ribelle è evidente che chiunque guiderà il governo di Barcellona a partire da posizioni indipendentiste potrà essere sanzionato.
Per ora sembra che il Psoe – anche per non fare regali ai competitori proprio a poche settimane dal voto legislativo – non si presti al gioco e che anzi sia intenzionato a fare ricorso alla Corte affinché bocci la misura voluta da Rajoy. “Potete costruire muove prigioni, non ci fate paura” ha tuonato l’esponente della sinistra repubblicana e indipendentista Joan Tardà, avvertendo che la secessione andrà comunque avanti “alla catalana, pacificamente e civicamente”. Da segnalare il fatto che il pro­cu­ra­tore gene­rale cata­lano, assieme ai nove giu­dici della sua corte, si erano rifiu­tati di imputare i mem­bri dell’esecutivo di Bar­cel­lona, ed hanno dovuto obbedire solo dopo un ordine esplicito e perentorio da parte del Procuratore Generale dello Stato Eduardo Torres-Dulce.
Convocato a dichiarare in tribunale il prossimo 15 ottobre in apertura del procedimento che lo vede imputato (data simbolica, lo stesso giorno del 1940 il  pre­si­dente cata­lano Lluís Com­pa­nys, espo­nente di Esquerra Repu­bli­cana, venne fucilato dai franchisti dopo essere stato torturato) il leader di Junts pel Si ha comunque cominciato a lavorare alla formazione del governo regionale.
Tutti gli sforzi di Mas, dei suoi alleati repubblicani di sinistra di Erc e di parte dell’associazionismo trasversale che negli ultimi anni ha guidato la montante mobilitazione popolare indipendentista sono diretti a convincere la sinistra anticapitalista della Cup a sostenere un esecutivo guidato dall’ex presidente.
Sulle Candidature d’Unità Popolare, protagoniste di un vero e proprio exploit alle elezioni del 27 settembre – la Cup è passata dal 3,48% all’8,21% e da 126.435 voti del 2012 a 335.520 di domenica scorsa –  è in atto una pressione enorme da vari settori che chiedono alla coalizione formata da realtà della sinistra antagonista e di rottura di sostenere, seppur dall’esterno, un governo nazionalista.
Una prospettiva che potrebbe essere accettata dagli unici vincitori delle elezioni catalane – insieme a Ciutadans, ma nello schieramento opposto – a certe condizioni. La numero due della lista della Cup, Anna Gabriel, ha ad esempio suggerito che il nuovo Govern abbia una ‘presidenza collegiale’ formata da tre o quattro leader rappresentativi delle diverse forze politiche che compongono lo schieramento indipendentista ma anche di realtà culturali e movimenti sociali. Tra questi leader, sembra dire la Gabriel, potrebbe anche esserci lo stesso Artur Mas, la cui esclusione sembrava invece una condizione insuperabile in precedenti dichiarazioni di esponenti di spicco della Cup. Giorni fa il capolista della formazione, Antonio Baños, aveva infatti ribadito che la Cup mai avrebbe potuto votare a favore di Mas come President del Parlamento di Barcellona.
Posizione rettificata dopo poche ore da Anna Gabriel in un’intervista: “Nessuno ha parlato di sotterrare nessuno, non chiediamo la morte politica di Mas”. Certamente la presenza di Mas è un elemento ingombrante per una forza politica – collegata a una coalizione di realtà di lotta territoriali e di movimenti sociali – che ha condotto contro l’ex presidente una battaglia frontale denunciando i tagli ai servizi sociali, le privatizzazioni, la repressione delle mobilitazioni di protesta contro le politiche di austerità imposte dal governo regionale di Convergenza e Unione con la collaborazione o comunque la tolleranza dei socialdemocratici di ERC. Ma la Cup non può neanche prendersi la responsabilità di impedire la costituzione di un governo che rintuzzi le mire dello schieramento spagnolista. La sinistra anticapitalista catalana insiste sul fatto che il nuovo governo e la nuova amministrazione guidino un ampio processo di disobbedienza nei confronti della legislazione statale ritenuta contraria agli interessi sociali delle classi popolari e della nazione catalana. Non c’è che l’imbarazzo della scelta: dalla Ley Wert che riporta l’istruzione ai tempi del franchismo, alla controriforma dell’aborto che limita i diritti delle minorenni; alla Legge Bavaglio che impedisce manifestazioni e proteste e criminalizza comportamenti sociali fino ad ora legittimi; ai provvedimenti propedeutici e di accompagnamento al TTIP che spianano la strada alle imprese a scapito dei diritti dei lavoratori e della protezione dell’ambiente.  La sovranità, spiega la Cup, occorre costruirla da subito attraverso una “disconnessione” da Madrid sul piano legislativo e legale. E’ inoltre necessario, afferma Baños, che le trattative per la formazione del nuovo governo regionale coinvolgano anche forze sociali, sindacali, culturali, e non solo i partiti indipendentisti, allo scopo di varare nel più breve tempo possibile un piano d’emergenza per contrastare la povertà generata negli ultimi anni dalle politiche liberiste e rigoriste di Rajoy e Mas.
Per quanto riguarda la competizione elettorale del 20 dicembre, invece, Anna Gabriel ha annunciato che la formazione indipendentista e anticapitalista non presenterà le proprie liste per le Cortes, ritenendo inutile la propria presenza al parlamento di Madrid.

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