In qualche modo deve pur ricordare al mondo la propria esistenza; non che in patria fossero spazientiti dal suo silenzio ma, dato che lì le sue quotazioni stanno rasentando lo zero virgola, ecco che l’ancora (per quanto?) premier ucraino Arsenyj Jatsenjuk cerca di farsi sentire oltre frontiera, forse credendo così di potersi inserire, alla maniera dell’Onegin puškiniano, nella suprema cerchia degli “eletti dal destino”.
Ma le voci lanciate al mondo sono peggiori del suo silenzio nazionale, cosicché ancora una volta un tribunale è venuto a ricordare i passati “gloriosi” del giovane Arsenij. Lo aveva fatto già a inizio settembre il Comitato federale russo di indagine e lo ha ripetuto ora la Corte suprema della Cecenia, di fronte alla quale due imputati per atti di guerra, affiliati all’organizzazione nazionalista ucraina UNA-UNSO, hanno ricordato di come Arsenij, durante la seconda guerra cecena del 1994-’95, avesse preso parte ad azioni di mitragliamento contro soldati russi, per poi darsela a gambe, mentre “tutti gli altri prendevano posizione”, perché “temeva per la propria vita”.
Dunque, dati i precedenti giovanili, il più maturo Arsenij avrà pensato che più gli si addicono le sparate non col Kalašnikov, ma col microfono, senza riflettere al fatto che, se vent’anni fa, a sorridere, erano solo i suoi commilitoni, ora il pubblico è più vasto e non tutti sono pronti a coprirsi la bocca per non mostrare l’aria ilare.
Sia come sia, Jatsenjuk è tornato ancora una volta sulla questione della ristrutturazione del debito ucraino nei confronti della Russia. Lo aveva già fatto la settimana scorsa la sua (del Dipartimento di stato) Ministra della finanze, Natalija Jaresko, cui il suo (di lei) omologo russo Anton Siluanov aveva risposto picche. Arsenij “ Kalašnikov” avrà pensato che Mosca sarebbe stata forse più impressionata se, questa volta, ad alzare il dito fosse stato lui e, per mostrarsi ancor più agguerrito, ha minacciato il Cremlino di ricorrere ai tribunali, se là non accetteranno le condizioni di Kiev per la ristrutturazione e la cancellazione di una parte del debito di 3 miliardi di $; anzi, se non si decideranno a farlo entro il 29 ottobre.
Se Siluanov, da gentiluomo, aveva risposto cortesemente alla Jaresko che Mosca attende da Kiev né più né meno che il pagamento degli eurobond al 31 dicembre, ora qualcuno, meno cavallerescamente, ha risposto ad Arsenij che, dopo capodanno, viene il tribunale, perché il debito ucraino riveste carattere statale, non commerciale e l’insolvenza significa il default dell’Ucraina. Punto e a capo. Già in settembre il governo russo aveva avvertito il debitore che è più conveniente per lui pagare ora, perché il default, con gli obblighi relativi, gli verrebbe a costare molto più caro: non solo le spese processuali, ma anche gli interessi di mora.
Così, vista la mala parata, Jatsenjuk avrà pensato che, alzando la cifra e giocando d’attacco, dentro le mura del Cremlino si sarebbero impensieriti. Dunque, se il debito di Kiev nei confronti di Mosca è di “appena” 3 miliardi, lui ha rilanciato e ha chiesto a Mosca 1 trilione di $. Per cosa? Pensa e ripensa, Arsenij si è domandato: quali sono le questioni in sospeso tra Mosca e Kiev? Semplice: Crimea e Donbass. Fatto sta che, però, più che impensieriti, nella sala di San Giorgio si son detti appena appena meravigliati: “La Crimea è territorio russo. Il Donbass è territorio ucraino. Che c’entra qui 1 trilione? Non è chiaro”, si è chiesto il portavoce presidenziale Dmitrij Peskov; “la questione non ha fondamento giuridico. Non è all’ordine del giorno” e sono passati a parlare d’altro.
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