Alcuni caccia statunitensi ed altri russi si sono confrontati in volo nei cieli della Siria, almeno così denunciano da Washington affermando che i due jet si sarebbero fronteggiati ad una distanza di una decina di chilometri “in zona di combattimento”. I piloti degli F-16 e dei Sukhoi si sono, sembra, avvistati l’un l’altro non solo nei radar ma anche dal vivo. Una situazione pericolosa, dicono dal Pentagono: “già più volte i jet russi sono entrati nelle zone di volo delle nostre pattuglie e dei nostri droni” creando una situazione di attrito militare senza precedenti dalla fine della Guerra Fredda.
E così qualche ora dopo i comandi militari aerei di Washington e di Mosca si sono collegati, e parlati, in videoconferenza, con l’obiettivo di “scongiurare incidenti ed incomprensioni”. Nei fatti la discussione intavolata su aspetti tecnici funge in questa fase da surrogato per un accordo di massima tra le due superpotenze impegnate in Siria, in competizione frontale ma costrette a parlarsi. Una evoluzione che di fatto dà ragione a Putin che ancora prima dell’inizio dei bombardamenti russi – tra l’altro annunciati preventivamente a Obama – spinge affinché si avvii una collaborazione con Washington in nome della lotta contro il “comune nemico” e addirittura con l’Esercito Siriano Libero, che però rifiuta ogni apertura alla Russia beccandosi nel frattempo le bombe sganciate dai Sukhoi.
Infatti la chiacchierata è servita agli statunitensi per lamentare per l’ennesima volta i continui attacchi aerei dei caccia di Mosca, oltre che sulle postazioni dello Stato Islamico, su quelle dei jihadisti e dei ribelli che operano sotto l’ombrello della cosiddetta ‘coalizione internazionale’ capeggiata proprio da Obama e che oltre a combattere contro Daesh danno filo da torcere anche all’esercito siriano nel tentativo di cacciare Assad dal potere e instaurare un nuovo regime più in linea con gli interessi dei paesi occidentali e delle petromonarchie. In realtà nei giorni scorsi, in maniera repentina, Obama ha deciso di mollare in parte gli inefficaci ribelli jihadisti per puntare sulle cosiddette “Forze democratiche siriane”, la nuova coalizione formata dalle Ypg curde e da gruppi armati laici arabi sunniti e cristiani riuniti a loro volta nella “Coalizione Arabo Siriana”. Di fatto Washington vuole mettere il cappello sulla riconquista della “capitale” del Califfato Raqqa, a cui lavorano i ribelli collegati alla ‘Coalizione internazionale’. Sostenendo le Ypg con lanci di armi ed equipaggiamenti e rinnovati raid aerei gli Stati Uniti entrano di nuovo in rotta di collisione con il regime turco che ieri attraverso una dichiarazione del premier pro-tempore Davutoglu ha fatto sapere che “Armare qualsiasi gruppo curdo sarebbe un grave errore” perché porterebbe ad un conflitto con “gli interessi nazionali della Turchia”.
Sul terreno le truppe siriane – coadiuvate da migliaia di combattenti di Hezbollah, iraniani e sciiti iracheni – fanno progressi, grazie ai massicci rifornimenti iraniani e russi e alla copertura aerea dei caccia di Mosca. Ieri alcuni funzionari militari iraniani hanno annunciato il dispiegamento nelle province di Hama, Aleppo e Latakia di ben 1500 uomini a sostegno dell’esercito di Damasco. Di fatto i lealisti preparano la controffensiva contro Aleppo, seconda città del paese occupata in parte dalle milizie dello Stato Islamico e in parte dal fronte islamista che comprende anche Al Qaeda e i salafiti. E’ notizia intanto di oggi che diverse centinaia di civili siriani sono in fuga dai villaggi nella Siria centrale investiti dall’offensiva aerea russa e da quella di terra delle truppe governative. Secondo fonti locali della regione di Homs gli abitanti di Termela sono fuggiti dopo i bombardamenti nei quali sarebbero morti otto civili e un forno del pane sarebbe stato distrutto. Nei raid è stato anche colpito il centro locale di comando dei miliziani antigovernativi, un certo numero dei quali sarebbe stato ucciso.
Sempre più in difficoltà, martellati dai caccia russi e dal fronte lealista ma anche dai ‘cugini’ dello Stato Islamico, quelli del Fronte Al Nusra hanno diffuso un audio messaggio in cui chiedono agli estremisti attivi nel Caucaso di colpire i cittadini e i militari russi. Secondo Abu Mohamad al-Joulani, leader della costola siriana di Al Qaeda, I russi «sanno chiaramente che l’Is non minaccia il regime visto che le aree che controlla non confinano con quelle del regime. Non è quindi una sorpresa che abbia cominciato a bombardare le brigate che si confrontano direttamente con le forze del regime». «Il governo russo – si è chiesto al-Joulani – crede veramente che l’esercito del regime di Bashar al-Assad possa essere salvato con un po’ di aerei e artiglieria in più? Finora i raid russi non hanno aggiunto niente a quelli del regime, nel loro colpire gli obiettivi in modo indiscriminato. (La Russia e il regime, ndr) saranno sconfitti alle porte di Damasco». Nel videomessaggio il capo di Al Nusra promette anche il pagamento di «Tre milioni di euro a chi uccide Bashar al-Assad e due milioni a chi uccide Hasan Nasrallah», il leader del movimento di resistenza libanese Hezbollah.
Intanto dall’Iraq è arrivata, dai comandi della stessa organizzazione jihadista, la conferma dell’uccisione del numero due di Daesh in un raid aereo statunitense, quello in cui sembrava fosse stato colpito (ma non era già morto?) il numero uno del Califfato, al Baghdadi. Secondo Hakim al-Zamili, capo del comitato parlamentare della Difesa di Baghdad, il bombardamento del convoglio dell’Isis che ha inflitto dure perdite al califfato è stato reso possibile grazie alle informazioni dell’intelligence russa. Nei giorni scorsi il premier al-Abadi aveva già annunciato l’avvio di una vasta operazione militare nella provincia di Salah-a-din, parzialmente controllati dai miliziani di al Baghdadi. A sostenere le truppe di terra l’aviazione guidata dal centro direzionale di Baghdad inaugurato alcuni giorni fa da russi, iraniani e siriani. Dopo essere intervenuta direttamente in Siria sparigliando le carte e acuendo le contraddizioni tra Stati Uniti e Turchia, ora Mosca rafforza la sua presenza e la sua egemonia anche in Iraq, mettendo in sempre maggiore difficoltà Washington e l’Unione Europea.
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