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Ucraina al voto amministrativo: ricambi locali tra clan oligarchici

Darth Vader, il Signore Oscuro di Guerre stellari, e alcune giovanissime supermodelle si contendono il favore degli elettori ucraini che il 25 ottobre andranno alle urne per il rinnovo delle amministrazioni locali. Il voto non riguarda le Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, in cui è previsto per la primavera prossima: disponibilità di Kiev al rispetto degli accordi di Minsk permettendo.
Il lato “carnevalesco” della competizione di domenica non deve però trarre in inganno sull’importanza che la vittoria locale di questo o quel raggruppamento potrebbe avere a livello nazionale; anche se pare difficile prevedere grossi scossoni, a parte forse l’ormai da lungo tempo pronosticata uscita di scena del premier Arsenij Jatsenjuk.
Per quanto riguarda inverosimili bruschi spostamenti negli orientamenti internazionali ucraini, nette affermazioni locali di questo o quel raggruppamento (comunque tutti interni o alleati della coalizione al potere) non potrebbero che riverberarsi in una accentuazione delle linee attuali ucraine, non certo in un loro capovolgimento. Dunque, anche disquisire sulla tenuta del Blocco che fa capo al presidente Petro-je-suis-Charlie-Porošenko, o sulla rimonta della formazione “Patria” di Julija-sterminiamo-i-russi-del-Donbass-Timošenko (i cui consensi paiono in ascesa), ancorché prematuro, potrebbe al più servire a prevedere quale delle possibili nuove alleanze tenterà di riprendersi la rivincita, e in che modo, per il cessate il fuoco cui Kiev è stata costretta nel Donbass.

A livello amministrativo, poi, appare quantomeno fantasioso prevedere qualcosa che non sia la sperimentata competizione tra magnati, ras locali, gruppi di potere, per la spartizione dei posti che danno accesso diretto ai canali di arricchimento, personale o di clan oligarchico.

E dunque, secondo Vesti.ru, almeno un terzo degli ucraini ritiene che nessuno delle svariate migliaia di candidati distribuiti tra diverse decine di partiti meriti di ottenere il voto: né sotto il travestimento da guerre stellari, né in pose ammiccanti e bikini. Ecco ad esempio una giovane ventunenne che si candida autonomamente a sindaco di Odessa. Comunque vada, i suoi dati fisici e anagrafici corrispondono perfettamente, scrive Vesti.ru, a quelli richiesti per entrare nella squadra del governatore della regione di Odessa, Mikhail-ricercato-in-Georgia-Saakašvili. Come quelli sfoggiati dalla neo nominata capo della dogana di Odessa, (finora vice di Saakašvili al governatorato), la ventiseienne Julia Maruševskaja, ex annunciatrice tv delle “imprese” di Euromajdan e moglie di Markjan Prostiv, braccio destro e partner d’affari di Andrej Sadovy, sindaco di Lvov e leader del partito “Autoaiuto”: i numeri adatti per la lotta “alla illegalità dilagante nel territorio di Odessa” annunciata da Saakašvili.
Ma i volti femminili nelle liste elettorali, per legge, non devono essere meno del 30%, quindi, una parata di giovani bellezze locali supplisce a ogni esperienza politica (ne sappiamo qualcosa?): pare che gli elenchi delle agenzie di modelle siano andati a ruba. Non si sottrae al trend nemmeno il “ferreo” partito ultranazionalista di Oleg Ljaško, che per il governatorato di Kharkov presenta una bellezza in topless e non va diversamente nella stessa Kiev dove, a sfidare Vitalij Kličko, non poteva essere che una smagliante “pugile” in pantaloncini e guantoni.
D’altronde, quali aspetti abbia avuto la campagna elettorale, si può giudicare da pochi singoli fatti, ultimi dei quali la caricatura da Darth Vader, a Odessa, di uno dei pochissimi monumenti a Lenin rimasti in piedi. La giustificazione è che, in ogni caso, il monumento sarebbe ben presto dovuto sparire, in base alla legge sulla “decomunistizzazione” firmata da Porošenko nel maggio scorso.
Risponde alla stessa “logica” il divieto, su cui da tempo insistevano quegli eurodemocratici di Svoboda, sancito ora dalla Corte distrettuale di Odessa, di esporre la bandiera rossa della vittoria in occasione del 9 maggio (vittoria definitiva sulla Germania nazista) e del 10 aprile (liberazione di Odessa). Secondo i neonazisti svobodiani, la cui “tesi” è ora avvalorata dal tribunale, quella bandiera simboleggia il “regime comunista totalitario” dell’Unione Sovietica e, dunque, secondo le norme sulla decomunistizzazione, il suo uso è vietato.
In ogni caso, se qualche spostamento di voti alla periferia potrà avere ricadute su eventuali alternanze squadristiche tra i “quadrumviri” del centro – dopotutto, qualche media nostrano, al modo del Chiurco italico, continua a definire “rivoluzione” il golpe fascista del 2014 – questo potrebbe significare solo un’accelerazione dello scivolone del premier Arsenij-mitragliatore-ceceno-Jatsenjuk, i cui consensi sono al 1%. I pronostici in questo senso si sprecano ormai da mesi e, se non immediatamente dopo il voto, vari esperti prevedono la resa dei conti entro dicembre, allorché scade la cosiddetta “immunità” dei ministri, l’impossibilità cioè di sfiduciarli nel primo anno di attività. Il governo da lui formato nel dicembre 2014 e da Jatsenjuk stesso definito “kamikaze”, ha avuto il ruolo di parafulmine per tutti i mali che si sono riversati sugli ucraini grazie a quella “rivoluzione anti-corruzione” di un anno e mezzo fa e la disgregazione del gabinetto potrebbe condurre a elezioni anticipate già nel 2016.
I comunisti ucraini, nella loro campagna elettorale, denunciano soprattutto la guerra condotta da Kiev nel Donbass, gli aumenti irreali di inflazione, tasse e tariffe dettati dai creditori internazionali – FMI, Banca Mondiale, UE – la disoccupazione al 10% (25% tra i giovani), la tragica situazione dei settori sanitario e scolastico. Mentre fanno appello agli indecisi (i contrari ai golpisti costituiscono la maggioranza di chi non intende andare alle urne) e scongiurano di non vendere il proprio voto (per un ingresso gratuito in discoteca!) denunciano il terrorismo condotto, dietro il pretesto della “campagna antiseparatista”, contro chiunque si opponga al regime: arresti, bastonature, assassinii e infine il divieto per i comunisti di partecipare alle elezioni, tanto che i candidati facenti capo al PC entrano nelle liste di “Nuova potenza”, del raggruppamento della “Opposizione di sinistra”.

Il leader del PC Pëtr Simonenko fa appello ai pensionati, i cui 70 $ mensili se ne vanno per il 70% in prodotti alimentari, agli operai, il 60% del cui salario medio di 160 $ se ne va in bollette e tariffe municipali; ma si rivolge anche ai militari, agli intellettuali, a tutte quelle categorie le cui condizioni materiali sono state ridotte al lumicino dalle “riforme europee” dei golpisti.
In ogni caso, il voto di domenica si tiene sullo sfondo di alcune eventualità che stanno intimorendo non pochi ucraini. La prevista (ma non ancora certa) entrata in vigore del trattato sul libero scambio con la UE, il prossimo 1 gennaio, potrebbe far cadere anche l’Ucraina sotto “la scure” della legge sulle restituzioni, cioè i beni di cittadini stranieri divenuti proprietà ucraina alla fine della guerra: questo riguarda direttamente i territori occidentali, confinanti con la Polonia – quelli in cui più furiosamente imperversarono le SS ucraine di Stepan Bandera e da cui provengono la maggior parte dei neonazisti odierni – ma potrebbe interessare anche moltissimi immobili della capitale, appartenuti a nobili russi prima della Rivoluzione d’Ottobre.
E se questa non è al momento che un’ipotesi, timori ben più fondati sono espressi apertamente proprio da parte polacca: “La riserva di stabilità è vicina allo zero”, titolava ieri oko-planet.su, con riferimento alle parole del primo ministro polacco Janusz Piechocinski, il quale si attende per i prossimi mesi un’ondata di profughi dalle regioni occidentali ucraine simile a quella che la guerra nel Donbass ha portato, dalle zone orientali, a cercare rifugio in Russia. Il presidente polacco Andrzej Duda aveva parlato pochi giorni fa delle migliaia di ucraini che già avrebbero passato la frontiera; se non si arriverà al milione e mezzo di ucraini profughi in Russia, a Varsavia non si esclude un esodo di diverse centinaia di migliaia di persone. Secondo Piechocinski, “la situazione in Ucraina è di gran lunga più difficile e straordinariamente più drammatica di quanto non sembri. E’ necessario monitorare i processi e prepararsi a diversi scenari”.

E, senza riferirsi a ipotesi di un futuro prossimo, un altro timore che impensierisce l’élite golpista viene dal veto posto da Barack Obama al Bilancio previsionale USA 2016 per la difesa, che contempla 300 milioni di $ da destinare agli aiuti militari all’Ucraina. Per quanto la stessa ambasciata USA a Kiev si sia già smarcata dalla temporanea bocciatura agli ulteriori aiuti militari yankee e tutti a Kiev si dichiarino convinti che, primo o poi, il Congresso riuscirà a superare la bocciatura presidenziale, il fatto sembra indicativo delle reali intenzioni postelettorali, riguardo a una soluzione pacifica nel Donbass, di tutta la compagine golpista, indipendentemente dalle sigle partitiche che appoggiano il regime dall’interno o dall’esterno.

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