Solo qualche anno fa sarebbe stato difficile prevedere che la rottura dello Stato Spagnolo sarebbe venuta non dai baschi, ma dai tradizionalmente più concilianti catalani. Eppure, forse suscitando la sorpresa di alcuni esponenti dell’establishment spagnolo oltre che catalano, che ancora gridavano al bluff, oggi il Parlamento regionale della Catalogna ha adottato con un voto storico una risoluzione che proclama l’inizio dell’iter che dovrebbe condurre entro alcuni mesi alla rottura con Madrid e alla formazione di una repubblica indipendente entro il 2017.
La risoluzione, presentata pochi giorni dopo la vittoria del variegato fronte indipendentista alle ultime elezioni regionali del 27 settembre – trasformatesi in un referendum pro e contro il distacco vinto dai primi – è stata votata da 72 deputati su un totale di 135; a favore di sono espressi gli eletti della coalizione “Junts pel Si” – formata dai liberal-nazionalisti di Convergenza Democratica e dai socialdemocratici di Esquerra Republicana – e da quelli della Cup, formazione anticapitalista oltre che indipendentista, riuscendo a bypassare i tentativi di boicottaggio da parte del fronte unionista, in particolare del Partito Popolare.
“Ho l’onore e la responsabilità di difendere la proposta di risoluzione attraverso la quale lanciamo la costruzione di un nuovo stato, uno stato catalano, una repubblica catalana”, aveva proclamato prima del voto Raul Romeva, capolista della coalizione Junts pel Si (Insieme per il sì). “Dopo anni nei quali abbiamo rivendicato il diritto di decidere, abbiamo deciso di esercitarlo” ha sottolineato il parlamentare (proveniente non dal fronte propriamente nazionalista ma dalle formazioni rossoverdi catalane) nel corso della sessione speciale del Parlament trasmessa in diretta televisiva da numerose emittenti locali e statali.
La portavoce del gruppo parlamentare della Cup, Anna Gabriel, ha difeso l’importanza della dichiarazione – definita “atto di dignità e di rottura” con la “legalità in formato bunker imposta dallo Stato Spagnolo – sottolineando soprattutto il suo contenuto sociale, che tra le altre cose mette al centro il varo di politiche sociali ed economiche antiausterity a partire dal ripristino degli scontri sulla bolletta energetica per le famiglie meno abbienti approvati durante la scorsa legislatura del parlamento di Barcellona e sospesi dal Tribunale Costituzionale di Madrid. “Non ci possiamo sottomettere alle leggi di uno Stato che non ci rappresenta. Il futuro di questo popolo appartiene al popolo stesso e a nessun altro” ha detto la dirigente della sinistra indipendentista.
Gli esponenti di “Catalunya Sí Que es Pot” (Catalogna Si Que si Può), lista formata da Podem e da tre partiti di sinistra e centrosinistra catalani, hanno votato ‘no’ insieme alle formazioni unioniste, nonostante la coalizione si proclami federalista. Scelta che ha destato non poche polemiche dentro la sezione catalana di Podemos, oltre che dentro Icv e EUiA. Un deputato di Podem, Joan Giner, ha pubblicamente affermato che la scelta più coerente avrebbe dovuto essere l’astensione, almeno in segno di apertura nei confronti del pacchetto di misure sociali contenute nella risoluzione. Un altro ha raccontato di aver subito minacce affinché desistesse dal votare in difformità con il suo gruppo.
I rappresentanti delle formazioni nazionaliste spagnole – socialisti, i popolari e i liberali di Ciutadans – hanno reagito con durezza all’esito del voto sulla storica risoluzione da parte di quello che si avvia a diventare un parlamento nazionale, e i parlamentari della destra spagnolista hanno esposto i vessilli della Spagna e della Catalogna.
La mozione approvata in forma solenne prevede tra i nove punti che la compongono che entro 30 giorni inizi la “costruzione di un arsenale giuridico per la costituzione di uno stato indipendente” a partire dalla disobbedienza delle istituzioni autonome catalane nei confronti dei diktat di quelle dello stato centrale, un atteggiamento di rottura sulla quale preme soprattutto la sinistra radicale della Cup per controbilanciare le possibili spinte da parte dei settori più moderati – che fanno riferimento all’ex presidente regionale Artur Mas – a ridurre il procedimento ad un puro livello simbolico. Tra le misure previste anche la creazione di un’agenzia delle entrate e di un ente previdenziale, materie finora di esclusiva competenza statale.
Naturalmente il premier spagnolo Mariano Rajoy, che ha definito anti-costituzionale l’ipotesi di una indipendenza della Catalogna, ha convocato domani una riunione straordinaria del consiglio dei ministri; il capo del governo centrale ha già annunciato che presenterà un immediato ricorso davanti alla Corte Costituzionale di Madrid.
I giudici costituzionali spagnoli, di tendenza nazionalista e conservatrice, hanno da subito preso posizione contro l’esercizio del diritto all’autodeterminazione da parte del popolo catalano, e secondo quanto reso noto, mercoledì potrebbero decidere di sospendere, “in forma cautelare”, la validità della mozione approvata dalla maggioranza dei membri del parlamento di Barcellona, aprendo così un braccio di ferro senza precedenti con le istituzioni autonome della Catalogna.
Se gli indipendentisti minacciano di ‘disobbedire’ alle ingiunzioni della consulta di Madrid – alla quale Rajoy sta in tutta fretta tentando di attribuire poteri eccezionali tali da permettere alla Corte di inabilitare e rimuovere i leader e i funzionari catalani disobbedienti – gli apparati dello Stato centrale rispondono minacciando la sospensione dello statuto di autonomia della Catalogna. Madrid potrebbe anche avocare a sè, d’autorità, il controllo dei Mossos d’Esquadra, la polizia autonoma sotto il controllo della Generalitat, e ridurre i trasferimenti a Barcellona utilizzando così anche l’arma del ricatto economico.
«Utilizzeremo lo stato di diritto per impedire che questa sfida alla democrazia si compia – ha tuonato Rajoy da Salamanca -, metteremo in marcia tutti i meccanismi che la legge ci concede. E’ un tentativo che disprezza la pluralità spagnola. Ma i cittadini stiano tranquilli: la Catalogna resterà in Spagna e in Europa. Siamo una democrazia avanzata».
Il capo della destra spagnola incontrerà domani il leader del Psoe (socialisti) Pedro Sánchez alla Moncloa per cercare di formare un fronte comune davanti alla sfida indipendentista di cui farà probabilmente parte anche l’astro nascente del panorama politico iberico, Ciudadanos, fondato nove anni fa proprio a Barcellona da Albert Rivera per contrastare l’aumento dell’auge catalanista e diventato negli ultimi mesi la ruota di scorta del regime PP-Psoe alle prese con una storica caduta dei consensi a causa della crisi economica e della corruzione.
Diverso – e per ora abbastanza ambiguo – l’atteggiamento di Podemos, che si è schierato contro l’indipendenza della Catalogna pur difendendo in teoria il diritto all’autodeterminazione dei catalani e difendendo la celebrazione sulla questione di quel referendum che lo scorso anno le autorità di Madrid proibirono convincendo il fronte indipendentista a intraprendere la via parlamentare (e disobbediente) alla separazione.
E difficile dire come andrà a finire, ma certo la Catalogna – 7,5 milioni di abitanti, il 20% del Pil totale dello Stato – e la Spagna non sono mai state così lontane.
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