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Arabia Saudita – Iran. La guerra è già cominciata? Accuse reciproche

Si acuisce, come prevedibile, lo scontro tra Iran e Arabia Saudita e si allunga lelenco di paesi sunniti che si schierano dalla parte del regime dei Saud contro Teheran. Ora anche il Qatar e Gibuti hanno annunciato la rottura delle relazioni diplomatiche con lIran. Anche la Giordania ha deciso di convocare lambasciatore iraniano per chiedergli conto dellassalto di alcuni giorni fa alla rappresentanza diplomatica saudita a Teheran, per la verità contrastato dalle forze di sicurezza del paese e scattata solo dopo la messa a morte dellimam al Nimr e di altri cinque leader della comunità sciita saudita (i cui rapporti con gli ayatollah iraniani, tra laltro, non erano particolarmente stretti).
Intanto Teheran ha bloccato per
motivi di sicurezza il pellegrinaggio alla Mecca mentre ieri il ministro degli esteri iraniano Zarif, nel corso di una conferenza stampa tenuta assieme al suo omologo iracheno al Jaafari, ha intimato a Riad di smettere di creare tensioni e di buttare benzina sul fuoco.

Nel frattempo, dopo (le poco credibili) Russia e Turchia, il governo iracheno si è proposto di esercitare il ruolo di negoziatore tra i due contendenti per evitare una deflagrazione di tipo bellico che manderebbe letteralmente allaria il già disastrato paese impegnato nel duro conflitto contro lo Stato Islamico che occupa una percentuale consistente del suo territorio e in cui le milizie sunnite e sciite, dopo una relativa tregua imposta dallaffermazione di Daesh, potrebbero tornare a combattersi sullonda dello scontro tra Riad e Teheran.
Il premier iracheno al-Abadi (sciita e filo-iraniano ma in cerca di una relativa indipendenza dallingombrante vicino) ha inviato il suo ministro degli Esteri a Teheran per proporlo come mediatore con lArabia Saudita mentre rifiuta di far chiudere lambasciata saudita come chiedono invece gli ambienti sciiti più radicali. «Relazioni cordiali tra Iran e Arabia saudita sono a beneficio di tutta la regione», ha detto al Jaafari aggiungendo comunque che l’Iraq non può rimanere «in silenzio ed equidistante» di fronte alla rottura tra i due paesi.
LIran non sembra particolarmente incline ad innalzare il livello dello scontro con il fronte sunnita: limpegno delle sue milizie in Siria e Iraq è gravoso e per ora rende inopportuno un ulteriore mobilitazione militare, ed inoltre Teheran vuole tenere bassi i toni sperando che le continue provocazioni saudite non riescano a far saltare la trattativa tra le varie potenze sul futuro della Siria, faticosamente imposta grazie soprattutto allintervento militare russo nella regione a partire da fine settembre.
Ma sembra che lArabia Saudita voglia accelerare i tempi dello scontro, mandando avanti il regime del Bahrein, quello che nel 2011 è stato sostenuto contro le proteste della maggioranza sciita della popolazione da un intervento militare di Riad e delle altre petromonarchie. Ieri la polizia del Bahrein avrebbe sgominato una presunta cellula terroristica che stava – sempre secondo i servizi di sicurezza del regime filosaudita – preparando attacchi con laiuto delle Guardie Rivoluzionarie iraniane e dellorganizzazione terroristica Hezbollah. Già due mesi fa sempre in Bahrein erano stati arrestati 47 attivisti accusati di essere agenti al soldo di Teheran. Ma le accuse appaiono abbastanza pretestuose: uno dei dirigenti sciiti arrestati sarebbe voltato recentemente in Libano per ricevere direttamente da Hassan Nasrallah – il massimo dirigente di Hezbollah – nientemeno che 20 mila dollari! Una cifra con cui sembra davvero difficile preparare qualcosa di serio.
Ma laccusa rivolta al fronte sciita capeggiato da Teheran di preparare attacchi e di fomentare rivolte nelle zone del Bahrein e dellArabia Saudita per indebolire questultima non è nuova. Secondo le accuse provenienti da Riad lIran punterebbe a sfruttare il malcontento della popolazione sciita del Bahrein per aizzare la minoranza sciita dellArabia Saudita – concentrata nei territori di confine dove tra laltro più alta è la presenza di giacimenti petroliferi – contro il regime dei Saud. La provincia dell’Est, Al Sharqiyya, è la più estesa del regno saudita e i suoi quattro milioni di abitanti sono in maggioranza sciiti; è da questa regione che arriva l’80% del petrolio saudita. Ma neanche limam al Nimr, nato nel capoluogo Al Qatif, predicava la secessione della Provincia dellEst dallArabia Saudita.
Eppure da tempo vari servizi di intelligence e analisti – ovviamente inclini a sostenere i sauditi – parlano di un incessante flusso di denaro e armi proveniente dallIran e intercettato più volte in Bahrein, dove in varie occasioni le autorità avrebbero sequestrato ingenti carichi di armamenti, esplosivi ed equipaggiamenti. Diretti dove? Agli sciiti del Bahrein e dellArabia Saudita affermano le fonti, allo scopo di riunire tutte le popolazioni sciite della regione in una specie di Grande Bahrein sotto il controllo di Teheran.
Più probabilmente ai ribelli Houthi dello Yemen (impegnati prima a combattere le forze agli ordini del regime fantoccio di Sanaa e ora le truppe inviate ad invadere il paese dai sauditi e dalle petromonarchie) sembra al contrario suggerire il fatto che finora tutte le proteste della minoranza sciita nei due paesi siano state di carattere assolutamente pacifico e popolare. Il che non ha impedito al regime wahabita di imprigionare per tre anni, per poi condannarli a morte, al Nimr e gli altri leader della rivolta. Che poi le armi e gli esplosivi arrivati da Iraq e Iran possano armare le popolazioni sciite in Arabia Saudita e Bahrein, se lo scontro tra Riad e Teheran dovesse tramutarsi in una guerra frontale tra le due potenze regionali, non è affatto da escludere.
Intanto però appare chiara la volontà da parte del regime saudita – sempre più in difficoltà in Siria e nello Yemen – di destabilizzare lintera regione allo scopo di rafforzare la propria posizione e di proiettare ancora più lontano la propria egemonia, comportandosi in fondo come hanno fatto per decenni i loro ex padrini statunitensi. Ovviamente le autorità di Riad erano perfettamente a conoscenza del fatto che la condanna a morte di al Nimr e di altri 5 leader della protesta sciita in Arabia Saudita avrebbe fatto impennare la tensione con lIran e con gli sciiti di tutto il Medio Oriente che già accusano – non a torto – i Saud di sostenere i vari network jihadisti (comprese al Qaeda e Daesh) impegnati a destabilizzare la regione.
Secondo un documento redatto poche ore prima delle esecuzioni dai servizi segreti sauditi e reso pubblico dall’organizzazione britannica per i diritti umani Reprieve e dal quotidiano The Independent, il regime di Riad aveva già previsto in anticipo lannullamento di tutti gli eventi pubblici previsti per linizio del nuovo anno.
Scontata la solidarietà ai wahabiti da parte di una Lega Araba che è ormai il fantasma di ciò che era solo qualche anno fa, prima che laffermazione del Consiglio di Cooperazione del Golfo a guida saudita la soppiantasse. Secondo il vicesegretario generale dellorganizzazione, Ahmed Bin Haly, il meeting straordinario convocato per domenica su iniziativa di Riad condannerà le interferenze iraniane negli affari interni dei paesi arabi.
Ma a gridare vendetta è la presa di posizione unilaterale e completamente sbilanciata da parte dellOnu, che già qualche mese fa aveva avallato linizio dei bombardamenti sauditi sullo Yemen dando carta bianca alla successiva invasione e occupazione militare del paese da parte di un vasto fronte sunnita guidato naturalmente dai Saud. Lunedì il Consiglio di Sicurezza ha incredibilmente condannato gli attacchi allambasciata saudita in Iran addebitandone di fatto la responsabilità al governo di Teheran e non ha speso neanche una parola per esecuzione dellimam al Nimr e degli altri 5 esponenti sciiti, considerandola evidentemente una questione interna dellArabia Saudita di cui non occuparsi affatto.
Un po come il regime turco che, protagonista dellescalation con la Russia tramite il preordinato abbattimento del Sukhoi di Mosca sui cieli siriani, a proposito della messa a morte di al Nimr afferma, per bocca del sultano Erdogan, che “Le esecuzioni in Arabia Saudita sono una questione legale interna. Se si approvi o meno la decisione, è una questione a parte”.

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