Secondo le ultime notizie che giungono dal Donbass, le forze armate ucraine continuano a martellare i centri abitati delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk. L’agenzia nnr.su dava ieri notizia del ferimento di una donna nel villaggio di Zajtsevo, a nord di Gorlovka, aggiungendo che i tiri dei grossi calibri terra-aria, lanciagranate automatici e fucileria proverrebbero dalle posizioni ucraine attorno a Žovanka.
Secondo il vice comandante delle milizie della DNR, Eduard Basurin, contingenti delle forze armate ucraine, insieme a reparti dei battaglioni neonazisti Ajdar, Azov e Dnepr, starebbero approntando azioni diversive contro la popolazione civile, sia della parte controllata dalle Repubbliche popolari, che di quella occupata da Kiev. A detta di Basurin, in questo tipo di azioni si sarebbe distinto in passato il Gruppo sabotatori della 36ma Brigata di fanteria di marina che, con uniformi delle milizie, si sarebbe abbandonato a saccheggi nella zona cuscinetto della linea di demarcazione e avrebbe bloccato il lavoro degli osservatori Osce. Basurin ha affermato che, secondo gli esploratori militari della DNR, lo stesso Gruppo starebbe preparando nuovi ostacoli alla missione Osce, mentre si sarebbero registrati scambi di fucilate tra reparti dell’esercito ucraino e di Pravy sektor nella zona di Mariupol.
Un aspetto del carattere terroristico della cosiddetta Operazione antiterrorismo (ATO) lanciata un anno e mezzo fa da Kiev contro il Donbass, è anche l’atteggiamento dei militari e dei mercenari dei battaglioni neonazisti nei confronti della popolazione civile delle stesse aree controllate da Kiev. Nella zona di Marjupol, alla maniera delle squadracce italiche degli anni ’20, si saccheggiano e si distruggono le abitazioni degli abitanti sospettati di simpatie per le milizie popolari. Per le strade di Artëmovsk si terrorizzano gli abitanti con ogni mezzo e in ogni modo, mentre si esibiscono simboli e tatuaggi nazisti e non si fa mistero della presenza di mercenari di lingua araba. Le sbornie dei neonazisti ucraini e dei mercenari stranieri al soldo di Kiev e le conseguenti violenze contro i civili sono ormai la regola quotidiana, mentre i distretti militari, a corto di uomini, prevedono per il 2016 l’avvio delle visite di leva dei nati nel 1999, per cercare di rimpinguare i contingenti da avviare al fronte.
In questa situazione, di tensione continua, la junta golpista ha lanciato l’idea dell’invio di una cosiddetta “missione di pace ONU” nel Donbass; idea subito qualificata dal rappresentante russo alle Nazione Unite, Vitalij Čurkin, come tentativo di Kiev – dal 2016 e per due anni membro non permanente del Consiglio di sicurezza – di sviare l’attenzione dagli accordi di Minsk. “Consideriamo tutti i discorsi sulla dislocazione nell’Ucraina orientale di una missione di pace delle Nazioni Unite come un tentativo di distogliere l’attenzione dalla non applicazione da parte di Kiev di varie disposizioni chiave degli accordi Minsk del febbraio 2015”, ha dichiarato Čurkin. Egli ha anche aggiunto che “è l’Osce a occuparsi sul campo, a livello internazionale, del monitoraggio degli accordi e per far ciò dispone di tutti gli strumenti necessari”.
Ed ecco che la “vecchia volpe”, il primo presidente dell’Ucraina “indipendente”, Leonid Kravčuk, colui che nel 1991, insieme al russo Boris Eltsin e al bielorusso Stanislav Šuškevič, disciolse a tavolino l’Unione Sovietica e che, sempre nel 1991, aveva dichiarato “tra 10 anni l’Ucraina sarà la nazione più ricca d’Europa”, ha improvvisamente cambiato pelo. Secondo Olga Talova, su Ukraina.ru, l’ex presidente, che fino a non molto tempo fa aveva assicurato che i suoi nipoti sarebbero andati a difendere armi in pugno l’indipendenza ucraina nel Donbass, ora, mostrando di nuovo la sua capacità di “muoversi tra goccia e goccia”, dichiara che non ci sarebbe stato bisogno della guerra contro la popolazione della regione. Come dire, commenta Talova, che si sono uccise vanamente 50.000 persone, si sono private per nulla milioni di persone delle abitazioni, del lavoro, della sicurezza. Solo oggi Kravčuk si rende conto che si sarebbe potuto evitare il conflitto, che non ce ne sarebbe stata una fatale necessità: tutto il contrario di quanto da lui affermato nel luglio 2014, allorché chiamava alla “difesa contro le truppe terroristiche russe” e declamava che che non era “il caso di parlare di una soluzione pacifica”.
Oggi che l’Ucraina non solo non è la nazione più ricca d’Europa, ma è precipitata al livello dei paesi più poveri al mondo; dopo le “brillanti” disfatte delle truppe ucraine contro milizie popolari in guerra per la difesa della propria terra; ora che si sta avvicinando un nuovo round delle trattative di Minsk, ecco che Kravčuk cambia registro. In verità, stando a Ukraina.ru, il mutamento è solo di tono: “Di regola”, afferma oggi l’ex presidente, “sbagliano ambedue le parti in conflitto. L’ucraina è la vittima, mentre la Russia è l’indubbio aggressore, che ha saputo sfruttare le aspirazioni separatiste nel Donbass”. Kravčuk ha detto di “aver avuto colloqui con quasi tutti i dirigenti dell’ex Urss e con tutti i leader russi. Non bisogna pensare a un Putin cattivo. Egli è una persona sui generis, formato nei ranghi del KGB, ma la pensano e la pensavano come Putin la maggior parte dei leader russi. Essi ritenevano che l’Ucraina non avrebbe dovuto discostarsi dalla Russia e andare verso l’Occidente. Sentimenti simili sono sempre stati presenti nella élite russa. Anche negli anni ’90 Eltsin dichiarava che Russia e Ucraina avrebbero dovuto rimanere sempre insieme”. In precedenza Kravčuk aveva più volte detto che i rappresentanti ucraini non dovevano puntare sulle trattative di Minsk, dato che con esse non è possibile risolvere il conflitto nel Donbass. Ora ritiene che si possa tranquillamente proporre lo status di autonomia al Donbass e riconoscere una certa autodeterminazione alla Crimea, che Kiev continua istericamente a rivendicare: dopo le proteste contro la réclame della Coca Cola, contro gli atlanti della Oxford University Press e della francese Larousse, contro le immagini di Rocher, Adidas, Auchan, “colpevoli” di aver pubblicato carte geografiche che rappresentano la Crimea come russa, ora è la volta di Limes a esser richiamata all’ordine dall’ambasciatore ucraino a Roma. “Se continueremo a insistere che in ogni caso vinceremo nel Donbass, non ci sarà fine alla guerra”, ha detto Kravčuk. Non è escluso, secondo Talova, che queste esternazioni di Kravčuk preparino il terreno a prese di posizioni ufficiali della junta golpista di Kiev; con ogni probabilità messa alle strette dai propri finanziatori.
E, però, appare tutt’altro che esaurita la questione di cosa abbia guidato le mosse dei burattinai di Kiev, a partire dalla “rivoluzione arancione” della Timošenko, fino al golpe del febbraio 2014, con le file ultranazionaliste rimpolpate dai battaglioni neonazisti, proseguendo poi con la guerra terroristica di Kiev contro i civili del Donbass. Gli obiettivi dei padrini d’oltreoceano, di trasformare l’Ucraina in un avamposto armato della cintura Nato contro la Russia, non sembrano affatto mutati, né esauriti; e se Bruxelles, sulla spinta della crisi economica che la costringe a smussare le punte più acute della contrapposizione con Mosca, cerca di dirottare in senso “ragionevole” le ambizioni di Kiev e legare a una sua “svolta pacifica” l’elargizione di nuovi crediti, allora è chiaro che la soluzione alla crisi nel Donbass dovrà cercarsi a partire da mutati rapporti di forza tra UE e Washington. Ma la strada in questa direzione sembra purtroppo ancora lunga e molto accidentata.
(Nella foto, alcuni membri del Battaglione Azov in posa…)
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