Menu

Red America: viaggio nella sinistra radicale a stelle e strisce

«Waist deep in the Big Muddy
And the big fool says to push on»

(Pete Seeger – Waist deep in the Big Muddy)

E’ opinione comune che la sinistra negli Stati Uniti non esista più. Al massimo, facendo un attimo mente locale vengono in mente le immagini delle grandi manifestazioni contro la guerra del Vietnam, gli hippie, qualche canzone di protesta, più recentemente i ragazzi di Occupy, forse Bruce Springsteen. I più eruditi potrebbero citare alcuni intellettuali, da Noam Chomsky in poi.
Tutto bene, tutto molto bello: però nell’immaginario collettivo la sinistra negli Stati Uniti continua a non esistere. E’ un fenomeno dai tratti oscuri, indefinibili, sfumati: nella migliore delle ipotesi vediamo terre popolate da militanti magari generosi ma un po’ ingenui se non naif. Insomma, i movimenti da quelle parti sono (stati) molto meno rigorosi che da noi: qui il compagno Lenin veniva citato molto seriamente come esempio di pensiero e azione, lì al massimo è un simbolo lontano che periodicamente viene agitato per mettere paura ai benpensanti.

D’altra parte gli Stati Uniti sono la patria del capitalismo, la superpotenza imperialista per definizione, quanto di più lontano possa esistere da un immaginario progressista qualsiasi, anche il più annacquato. Essere socialisti o, peggio, comunisti negli Usa è stato per anni (cioè, fino a non troppo tempo fa) una macchia quasi impossibile da lavare via, un motivo di esclusione sociale talvolta, se non addirittura una valida argomentazione accusatoria nei tribunali, praticamente un reato, materiale per i servizi segreti che poi magari ti mettevano sotto controllo il telefono perché, non si sa mai, avresti potuto avere un qualche rapporto poco chiaro con gli stramaledettissimi sovietici.

Immaginario da fumetto di serie B? Forse, però parliamoci chiaro, a parte pochi appassionati, chi si è mai posto seriamente il problema dei compagni d’Oltreoceano? Persino i media più progressisti, in Italia, non offrono grandi spunti in proposito: qualche intervista ogni tanto, articoli più o meno incuriositi, accenni a movimenti di protesta che presto cadono nel dimenticatoio della cronaca.

Insomma, della sinistra statunitense sappiamo poco o niente, e quel poco che sappiamo è sì romantico, ma fondamentalmente per noi non ha grande peso politico.

Adesso, è noto a tutti che la sinistra è in conclamata crisi da decenni e nella migliore delle ipotesi, qui nella vecchia Europa, ci abbracciamo con tutte le forze a baby boomer dal futuro incerto (Syriza in Grecia, Podemos in Spagna) oppure a simpatici leader laburisti della vecchia scuola (Corbyn in Gran Bretagna), mentre nella peggiore delle ipotesi, ogni maledetta elezione, cerchiamo di metterci insieme anche se non ci sopportiamo per fare una guerra nucleare sperando di superare la soglia di sbarramento per tornare a scannarci un minuto dopo essendo completamente ininfluenti rispetto allevolvere degli eventi.

Sul contributo teorico, lasciamo perdere: al massimo ci esibiamo in solenni discorsoni a favore della Costituzione «nata dalla Resistenza» senza renderci conto che nel frattempo è nato un nuovo polo sovranazionale – lUe – che di quella Costituzione come delle altre se ne infischia; o riteniamo la magistratura un argine allo strapotere di una politica irrimediabilmente reazionaria e corrotta; o ci barcameniamo in una difesa disperata di diritti acquisiti che poi, in sostanza, non siamo davvero in grado di difendere. In altri casi al massimo tifiamo per qualche regime aggredito dallimperialismo allinterno di un risiko infinito che ci fa sentire tutti esperti di geopolitica. Oggi, dalle nostre parti, dire qualcosa tipo «materialismo storico» in pubblico rischia di suscitare imbarazzo.

Negli ultimi anni ne abbiamo prese così tante che adesso abbiamo una paura pazzesca di esporci, perché rischieremmo di prenderne ancora, e ancora più forti di prima. Questo è un discorso lungo, comunque, e non è qui che ci proponiamo di affrontarlo. Limitiamoci a dire che siamo nel mezzo di una lunga cavalcata nel deserto, e che ancora non si vede la fine di questo travaglio. E che nella scelta della cavalcatura adatta dovremmo concentrarci di più e ottenere almeno in questo caso dei progressi.

Negli Stati Uniti le cose vanno diversamente. No, la sinistra non è un fenomeno di massa, anzi, ma qualche segnale di vita, contrariamente a quanto si crede, c’è.

Jacobin Magazine è un esempio di rivista marxista capace di esprimersi in termini comprensibili fornendo argomentazioni interessanti e – incredibile – riuscendo ad attrarre dei lettori in prevalenza giovani. Ma non solo, sul fronte editoriale bisogna segnalare pure la presenza di un gioiello come il New Inquiry, di un monumento al radicalismo come Dissent e della preziosissima casa editrice Verso, che ristampa classici del marxismo. Pubblicazioni dal successo editoriale tutto sommato discreto e, cosa più importante, in crescita costante da qualche anno ormai.

Sul fronte più prettamente politico, dopo una crisi finanziaria che ha eroso la middle class, ha reso i poveri ancora più poveri e i ricchi ancora più ricchi, gli strascichi del movimento Occupy, nel bene e nel male, fanno registrare esperimenti interessanti o ritorni di fiamma per gruppi o partiti storici. C’è il Communist Party che rimane più che altro un simbolo, e va bene, ma ci sono anche esperienze come il Socialist Party che proporrà un suo candidato alla presidenza, oppure c’è Socialist Alternative che si è dimostrato in grado di eleggere un consigliere comunale a Seattle e nel giro di tre anni è riuscito a triplicare i propri iscritti. Ancora: il Party for Socialism and Liberation di chiara ispirazione marxista leninista, negli ultimi anni, ha raccolto nelle elezioni locali percentuali più che dignitose. Sul fronte dei movimenti negli ultimi tempi si sta facendo notare la sigla Black Lives Matter, che lotta per i diritti della minoranza nera, ché avere Obama alla Casa Bianca non ha reso affatto più facile la vita a chi non ha la pelle bianca (e un consistente conto in banca), e per un uomo di colore riuscire a trovare un taxi a New York continua ad essere un problema.

L’elenco potrebbe continuare, e così, nell’anno che ci porta all’elezione del nuovo presidente degli Stati Uniti, mentre i media mainstream sono impegnati a ragguagliarci sulle ultime sparate di Donald Trump e sull’ultima dichiarazione di Hillary Clinton, Contropiano comincia quindi oggi un suo personale viaggio all’interno della sinistra radicale statunitense. Un tentativo di tracciare la mappa di un territorio abbastanza misterioso, dove il socialismo davvero si aggira come uno spettro. Ecco, questo sarà l’avamposto da cui osserveremo la campagna elettorale per le presidenziali del prossimo novembre attraverso varie interviste ad esponenti dell’arcipelago socialista e comunista a stelle e strisce.

P.S. Il nome di questa rubrica, Red America, è una ripresa del titolo dato a una raccolta di articoli di John Reed uscito qualche anno in Italia fa per Nova Delphi, a cura di Mauro Maffi. Reed, giornalista comunista americano attivo agli inizi del XX secolo, scrisse tra le altre cose uno dei più appassionati reportage sulla Rivoluzione d’Ottobre, «I dieci giorni che sconvolsero il mondo».

- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO

Ultima modifica: stampa

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *