Una questione poco presente nei media europei, quella dei prigionieri politici baschi. Da quando, il 20 ottobre del 2011, l’organizzazione basca Eta dichiarò la cessazione definitiva della sua attività armata, il numero dei detenuti politici baschi è notevolmente diminuito. Ma, se nel 2011 erano 755, oggi sono ancora in 402 le persone detenute con l’accusa di aver partecipato o collaborato con le azioni di Eta. Di queste, solamente 5 stanno compiendo la condanna in centri penitenziari ubicati in Euskal Herria, nel Paese Basco; 87 si trovano in carcere in Francia; una in Portogallo; mentre le altre 300 circa scontano la pena dentro i confini dello Stato spagnolo, ma in località molto distanti da casa. In totale, i prigionieri politici baschi sono distribuiti in 72 centri penitenziari, il 90% di loro si trova a più di 400 chilometri di distanza da casa. In sostanza, come segnala uno studio dell’organizzazione Exterat e del giornale basco Gara, “sebbene il numero dei detenuti sia diminuito di circa il 40% dal 2011, quello delle carceri è diminuito appena e la distanza media del luogo di detenzione da quello di residenza dei prigionieri è aumentata, sia nello Stato spagnolo che in quello francese”.
La questione della dispersione (la politica penitenziaria che spedisce i prigionieri lontano da casa) è centrale per le organizzazioni basche che sostengono i diritti dei detenuti politici. Subito dopo la scelta di Eta di dichiarare la tregua definitiva, a gennaio del 2012 scesero in piazza centodiecimila persone per chiedere un cambiamento radicale delle misure carcerarie. Da quella storica manifestazione, ogni gennaio, la sinistra indipendentista, con l’appoggio di altre forze politiche basche, organizza per le strade di Bilbao manifestazioni di solidarietà con i detenuti politici e le loro famiglie. Lo scorso sabato, per la prima volta, la manifestazione si è svolta contemporaneamente a Bilbao e a Baiona: con la partecipazione complessiva di più di settantamila persone. Presente alla manifestazione, uno dei leader della sinistra catalana e del partito della Cup, David Fernández, ha dichiarato che la “dispersione è uno degli aspetti più silenziati e negati del conflitto basco”.
Uno studio appena pubblicato dall’Università del Paese Basco (Upv) afferma esplicitamente che il vigente regime penitenziario produce una negazione permanente dei diritti dei prigionieri baschi. “Questa negazione di diritti si utilizza con finalità politiche, non esiste nessuna base giuridica che permetta ai poteri pubblici di agire in questo modo”. Significativo che i richiami e le segnalazioni del Tribunale europeo dei diritti umani siano stati completamente ignorati e disattesi dallo Stato spagnolo. Ad oggi, infatti, oltre a non essere stata applicata la legge che consente ai detenuti di scontare la condanna nelle vicinanze delle abituali residenze, Madrid ha completamente ignorato la normativa dell’Unione europea sulla validità degli anni di carcere scontati in altri Stati. Negli ultimi mesi, il sistema giudiziario iberico si è rifiutato di riconoscere ai prigionieri politici baschi la parte di pena scontata nelle carceri di altri stati dell’Unione europea.
Questo doppio strappo alle norme giuridiche prodotte dal Tribunale Europeo – segnala ancora lo studio — “viola i diritti fondamentali dei prigionieri e delle prigioniere politiche basche, nello specifico il loro diritto alla vita privata e familiare”, garantito dall’articolo 8 della Corte europea dei diritti umani, ma anche nell’articolo 18 della Costituzione spagnola.
La politica penitenziaria d’eccezione utilizzata con il collettivo di detenuti politici baschi risponde a un chiaro disegno politico del Partido Popular, ancora al governo. Un disegno appoggiato e sostenuto anche dal potere giudiziario. Sono in molti, quindi, a sperare che lo scossone politico portato dalle ultime elezioni possa significare un cambiamento anche in questo scenario. “Già da qualche mese si sente il rumore di nuovi venti che spazzano via il marciume dalla politica spagnola, e anche dal paesaggio basco”, scrivono da Sare, la rete cittadina che promuove la manifestazione. Infatti, se il premier Mariano Rajoy ha più volte manifestato l’intenzione di mantenere l’attuale regime penitenziario, su cui è fermo l’appoggio del Psoe e del nuovo partito Ciudadanos, il programma elettorale di Izquierda Unida metteva tra i suoi punti la fine della dispersione dei prigionieri politici baschi. Per quanto riguarda Podemos, invece, il punto era assente dal programma elettorale, ma Iñigo Errejon e Pablo Iglesias hanno espresso pubblicamente la volontà politica di cambiare le misure penitenziarie d’eccezione che permettono la dispersione.
Dentro la coalizione Bildu, la questione dei prigionieri politici è sicuramente uno dei punti più spinosi e delicati che compongono la nuova fase aperta dalla fine del conflitto armato. Bildu ha più volte segnalato come il nuovo tempo ha segnato il passaggio da “una fase di resistenza e risposta a uno scenario di risoluzione e accumulazione di forza, dallo scontro alla risoluzione”. Tuttavia, con il “nuovo tempo” l’atteggiamento ostile e repressivo dello Stato spagnolo non è mutato di una virgola. Non esiste ad oggi nessuno strumento di risoluzione attivo e la repressione continua ad essere sistematica, non solamente rispetto al collettivo di prigionieri politici, ma anche verso il movimento giovanile, sindacale e sociale della sinistra indipendentista basca. Per questo, alcuni settori della izquierda abertzale, la sinistra patriottica, già da qualche mese stanno promuovendo un percorso alternativo a quello preso dalla colazione di Bildu e dal partito di riferimento, Sortu. Rivendicando il conflitto sociale come unica via per raggiungere l’amnistia per i detenuti politici, criticano apertamente alla strategia ufficiale di voler smuovere la politica penitenziaria solamente attraverso la logiche giuridiche dei Diritti umani, occultando invece le radici politiche del problema. Critiche che hanno portato tutto il movimento e i partiti a un vivace dibattito, amplio e partecipato, che durerà fino a primavera.
Al di là delle questioni interne alla sinistra indipendentista, l’agibilità politica della izquierda abertzale è fortemente limitata dalla continua repressione. Nell’Europa che si erige a paladina dello Stato di Diritto, i tribunali e i poteri pubblici di Madrid – che hanno appena licenziato la famosa Ley Mordaza– possono costantemente ignorare e trasgredire le normative provenienti dai Tribunali europei. Inoltre, i processi contro militanti di organizzazioni basche non sono finiti, anzi se ne potrebbero aprire di nuovi. E, proprio in questi giorni, sono chiamati a testimoniare di fronte all’Audiencia Nacional ventisette persone, di diverse organizzazioni e con diverse accuse: dal riciclaggio all’apologia di terrorismo. Tra questi c’è anche Maurizio Faedda, un giovane sardo residente da sei anni a San Sebastian, e militante dell’organizzazione internazionalista Askapena, che rischia di essere messa fuori legge. “Mi accusano di aver partecipato a un Ongi Etorri, una delle feste popolari organizzate per festeggiare la liberazione di un detenuto politico e accoglierlo in strada – dice al manifesto -. Quando ho chiesto perché, tra le tante persone che c’erano, stessero chiamando proprio me, alcuni compagni mi hanno risposto che probabilmente mi vogliono intimidire. Da quando sono qui, milito politicamente con il movimento indipendentista”.
In una recente intervista, Arnaldo Otegi, il leader della sinistra indipendentista ancora per pochi mesi in carcere, ha ricordato come il potente apparato militare e poliziesco dello Stato spagnolo limiti le possibilità che si apra effettivamente un nuovo scenario di risoluzione democratica del conflitto, nonostante la storica decisione di Eta: “È chiaro — ha detto Otegi — che lo Stato pretende di giocare a scacchi con i guantoni da boxe e questo è semplicemente impossibile”.
* Il Manifesto 12 gennaio 2016
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