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Libano: Michel Aoun alla presidenza della repubblica con il sostegno del rivale Geagea

Verso la fine dello stallo politico in Libano? L’inatteso sostegno alla candidatura del cristiano maronita Michel Aoun per la presidenza della repubblica libanese da parte del suo storico rivale, Samir Geagea, sembra rimescolare le carte tra i diversi schieramenti della scena politica del paese dei cedri. Geagea e Aoun, ambedue cristiani maroniti, negli ultimi decenni sono sempre stati avversari e le formazioni politiche da loro guidate sono schierate su fronti contrapposti, sia sul piano interno che su quello internazionale.
Samir Geagea, leader del partito Forze Libanesi (FL) fa parte della coalizione “14 Marzo”. Quel Samir Geagea che è tristemente noto come uno dei criminali per le stragi dei campi profughi palestinesi di Sabra e Chatila per le quali è stato condannato nel 2004 e scagionato l’anno successivo con un’amnistia.
Il fronte del “14 Marzo”, guidato da Saad Hariri e dal suo partito sunnita “Futuro”, è ostile, dall’inizio della guerra civile, al regime siriano di Bashar al Assad ed è politicamente  sostenuto dall’Arabia Saudita. Dall’altra il movimento “8 Marzo”, a maggioranza sciita e cristiano maronita con in testa il partito Hizbollah e il Movimento Patriottico Libero del generale Aoun sostiene il regime ed è intervenuto militarmente in Siria a fianco di Al Assad. Una decisione presa sia per difendere le comunità sciite e cristiane a ridosso del confine libanese sia per preservare il paese dalla “deriva jihadista” nella quale era caduto con una serie di attentati dinamitardi.
La situazione politica libanese, infatti, rimane confusa e dagli sviluppi imprevedibili a causa sia delle proprie difficoltà legate ad una divisione dei poteri a livello settario e confessionale sia dell’attuale situazione di conflitto nella vicina Siria. In base al” Patto Nazionale” del 1943 i poteri vengono divisi su base confessionale: la presidenza della repubblica ad un cristiano maronita, la presidenza del governo ad un musulmano sunnita e quella del parlamento ad un musulmano sciita, oltre alla suddivisione etnica dei seggi del parlamento. Una tale divisione, ricevuta in eredità dai colonizzatori francesi e creata in base alla popolazione di allora, non rispecchia più il reale andamento demografico di questi ultimi anni e le concrete aspirazioni della sua popolazione che vorrebbe, invece, il superamento dei vincoli confessionali. Lo scontro tra queste due visioni è evidente anche all’interno di questi due schieramenti che partecipano al governo di coalizione guidato dal sunnita Tammam Salam dal febbraio 2014.
Le ultime elezioni sono, infatti, avvenute nel 2009 ed erano previste nel 2013, ma il crescente clima di disaccordo tra le due fazioni e la crisi siriana hanno spinto entrambe gli schieramenti a lunghi patteggiamenti.  Il risultato è stata la formazione di un governo di unità nazionale con un’equa divisione dei ministeri tra i due schieramenti, pur di non far cadere il paese in un’aperta guerra civile, emanazione di quella alle porte di Damasco. Con una netta maggioranza, inoltre, i deputati libanesi si sono espressi per un rinvio alle urne previsto per il 2017 al fine di trovare un equo accordo legato allo svolgimento delle elezioni e relativo in particolare all’elezione del presidente della repubblica, ruolo chiave nella debole democrazia libanese.
La situazione di stallo politico ha progressivamente aggravato le difficoltà che vive il Paese dei Cedri a causa anche di una corruzione dilagante e di un sistema fondato sul clientelismo confessionale. Tutte cause che hanno portato ad un progressivo peggioramento della vita dei libanesi: acqua, elettricità, rifiuti (movimento You Stink-ndr). Oltre a questo un vertiginoso aumento della disoccupazione, circa 2 milioni di profughi siriani in territorio libanese e la progressiva insicurezza dovuta al terrorismo di matrice jihadista legata a Daesh, con la strage  di  Beirut del 12 novembre 2015 (oltre 40 morti e centinaia di feriti nel quartiere di Bourj el Barajneh all’uscita da una moschea) e decine di cellule fermate in questi anni dalle forze di sicurezza.
L’inaspettata scelta di Geagea sembra quindi legata a smuovere questa impasse con “la speranza di maggiore stabilità per il paese” come ha dichiarato nella conferenza stampa congiunta insieme al generale Aoun che ha aggiunto “di voler voltare pagina per non ripetere gli errori del passato, senza dimenticarlo”. Per quanto riguarda le reazioni politiche il partito sciita Hizbollah si è mostrato soddisfatto per il sostegno dato al suo candidato e alleato, dichiarando di essere favorevole ai contatti e  all’accordo tra i due esponenti cristiani. L’ufficio stampa del partito sciita ha dichiarato, infatti, che “l’elezione di Aoun a presidente della repubblica è molto vicina”. Al contrario Nabih Berri,  presidente del parlamento e leader dell’altro partito sciita Amal, sembra ancora orientato a sostenere l’altro candidato della corrente opposta: il cristiano maronita  Suleyman Franjeh.
Per la coalizione “14 Marzo” Saad Hariri, anche lui sostenitore di Franjeh, non ha ancora fatto alcuna dichiarazione in merito al sostegno del suo alleato. Durante questi mesi aveva dichiarato che avrebbe sostenuto Aoun solo in caso di un pieno sostegno nei suoi confronti da parte della comunità cristiana. Molti analisti sono però ancora dubbiosi se manterrà la parola. Infine il leader druso Walid Jumblatt  ha  convocato il proprio gruppo parlamentare ed ha dichiarato polemicamente al giornale al Akhbar che “l’accordo tra i maroniti è più pericoloso del loro precedente disaccordo”.
L’iniziativa di Geagea stravolge completamente gli assetti e le alleanze delle due coalizioni e favorisce l’elezione del suo “vecchio” e acerrimo rivale Aoun.

Stefano Mauro

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