Ammesso che la sua strategia non mandi in pezzi la Turchia dopo che la destabilizzazione della Siria ha di fatto dinamitato il paese vicino, sembra che dopo una serie di lunghi rovesci Erdogan stia mettendo a segno vari punti proprio nel momento in cui, dopo la sostanziale sconfitta delle elezioni di giugno, sembrava nel momento di maggiore debolezza.
Solo poche settimane fa il regime turco sembrava in preda ad una sostanziale impasse all’interno e alle prese con un crescente isolamento a livello internazionale. Ma la spregiudicatezza di Erdogan sembra aver tirato fuori Ankara dalle secche seppur a costo di scatenare una nuova guerra sia sul fronte interno che esterno. Un azzardo le cui conseguenze per ora non è possibile delineare con certezza.
Un punto importante Ankara lo ha segnato sicuramente rispetto al tradizionale alleato statunitense, con il quale negli ultimi anni i rapporti sono stati spesso freddi quando non tesi. Dopo un lungo tira e molla, Erdogan ha sfruttato la debolezza e la confusione di Washington sul Medio Oriente per imporre a Obama l’accettazione del ruolo turco nell’intervento straniero in Siria, a partire dal ‘si’ alla no-fly zone e alla zona cuscinetto che il ‘sultano’ chiedeva da sempre e che sono stati ora finalmente concessi in cambio della concessione della base aerea di Incirlik ai caccia della cosiddetta “coalizione internazionale contro l’Isis”. Che l’obiettivo del regime turco sia prendersi un pezzo di Siria, spazzare via i curdi del Rojava e se possibile anche il governo di Damasco è ormai chiaro, e le cancellerie occidentali ne parlano esplicitamente. Tanto che i vertici della Nato hanno deciso di rispondere affermativamente ad Erdogan convocando una riunione straordinaria per domani con all’ordine del giorno le richieste turche ed eventuali decisioni dell’Alleanza Atlantica in merito all’interno in Iraq e Siria. Ankara vuole l’imprimatur di Bruxelles alla sua guerra contro i curdi e la Siria che il fronte occidentale dovrebbe – e potrebbe giustificare – in nome del fatto che “finalmente” le forze armate turche cominciano a contrastare militarmente i jihadisti. “Il Consiglio del Nord Atlantico (…) si riunirà martedì 28 luglio su richiesta della Turchia, per tenere consultazioni sulla base dell’articolo 4 del Trattato di Washington”, secondo il quale ciascuno degli alleati può chiedere consultazioni straordinarie quando senta minacciate le proprie integrità territoriale, indipendenza politica o sicurezza.
ha annunciato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. “La Turchia ha richiesto l’incontro a fronte della gravità della situazione, dopo gli efferati attacchi terroristici degli ultimi giorni, e anche per informare gli Alleati delle misure che sta intraprendendo” recita la nota ufficiale che poi aggiunge: “gli alleati della Nato seguono gli sviluppi molto da vicino e si schierano solidali a fianco della Turchia”, afferma Stoltenberg. Mentre Washington afferma che la Turchia ha diritto di difendersi (la stessa formulazione utilizzata per giustificare le aggressioni militari israeliane contro i palestinesi e gli altri popoli del Medio Oriente), Berlino ha sollecitato Erdoğan a rispettare quella che da definito “la proporzionalità delle forze” nella sua campagna con il Pkk, che comunque è nelle liste delle organizzazioni terroristiche tanto degli Stati Uniti quanto dell’Unione Europea.
Il Partito dei lavoratori del Kurdistan, ha detto il portavoce della Casa Bianca Alistair Baskey, deve rinunciare al terrorismo e sedersi nuovamente al tavolo delle trattative con il governo turco.
Smarcandosi solo parzialmente dall’amministrazione statunitense – che può contare sulla fedele subalternità del governo del Kurdistan iracheno – la cancelliera tedesca Angela Merkel ha esortato ieri il suo omologo turco Ahmet Davutoglu a perseguire il processo di pace con i curdi.
Ma di fatto il processo negoziale avviato due anni fa dalla guerriglia curda di Turchia, già di fatto in stallo per mancanza di decisioni congrue da parte di Ankara, è stato spazzato via dall’intervento militare dell’esercito turco contro il Pkk sia entro i confini statali sia in Iraq e nelle ultime ore anche in Rojava, il territorio a maggioranza curda nel nord della Siria.
Da quattro giorni ormai l’aviazione militare turca sta bombardando le postazioni del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) nel Nord dell’Iraq, colpendo i miliziani ma anche i civili. Tra le vittime dei raid aerei su Qandil, località di confine nella quale sono acquartierati i comandi della guerriglia curda, c’è anche il comandante Servan Önder, membro del consiglio di comando.
Ieri inoltre i caccia di Ankara hanno bombardato le postazioni del Partito dei lavoratori del Kurdistan, nell’area di Hakurk, nel nord dell’Iraq.
Forte del sostegno – o almeno della tolleranza – di praticamente tutto il fronte occidentale (e per ora in assenza di contromosse da parte dell’articolato fronte che impedì nel 2013 l’intervento militare euro-statunitense contro la Siria, a partire da Cina, Russia e Iran) durante la notte scorsa i carri armati di Ankara hanno anche bombardato un villaggio controllato dalle forze curde e da una brigata dei cosiddetti ‘ribelli moderati siriani’, nel nord della Siria, ferendo almeno 4 miliziani dell’Esercito Siriano Libero e vari civili. Sotto i colpi dei cannoni di Ankara è finito il villaggio di Zor Maghar, nella provincia di Aleppo, a pochi chilometri dalla frontiera con la Turchia, che un anno fa era stato conquistato dai jihadisti dello Stato islamico dopo tre giorni di combattimenti con le milizie curde e che le Unità di Protezione del Popolo erano poi riuscite a riconquistare. “Invece di colpire i terroristi dell’Is le forze turche hanno attaccato le nostre posizioni difensive – denunciano in un comunicato i combattenti curdo siriani – Chiediamo con urgenza alla leadership turca di mettere fine a questa aggressione e di seguire le linee guida internazionali. Stiamo dicendo all’esercito turco di smetterla di sparare contro i nostri combattenti”.
Ma tra ieri sera e questa mattina le forze armate turche hanno cominciato a cannoneggiare le postazioni delle Ypg nei dintorni di Kobane, nel villaggio di Til Findire.
Inoltre due bombe turche sarebbero cadute addirittura sul villaggio di Yumurtalık, all’interno del territorio della città turca di Suruç (dove pochi giorni fa una esplosione ha ucciso 32 giovani attivisti e attiviste diretti nella vicina Kobane per partecipare alla ricostruzione). I proiettili “esplosi per errore” dall’esercito turco hanno distrutto un immobile a poche centinaia di metri dalla frontiera con la Siria.
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