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Regeni, sessanta giorni di balle

Stavolta le prove ci sono. Nelle fandonie che ricostruiscono l’omicidio Regeni l’Intelligence egiziana – che due mesi fa ha prelevato, trattenuto, torturato, interrogato, assassinato il giovane studioso ed è in possesso dei suoi documenti – le infila in una sacca (rossa) che viene ritrovata in un appartamento. Poi mitraglia un’auto ‘sospetta’ su cui viaggiavano micro criminali locali, gente del Delta del Nilo (Sharqiyya) che indica come i killer del giovane studioso. Li uccide, così da non avere testimonianze scomode. Poi gira la notizia alla testata filogovernativa El Watan, che prima la conferma quindi la smentisce.

Fra le informazioni, quelle legate alle prove: uno degli uccisi viveva nell’appartamento dov’è stata ritrovata la sacca coi documenti. E’ la trama con cui il regime rilancia la teoria del rapimento attuato da criminali comuni, terminato con un omicidio. Nel via vai dell’informazione disinformante Al-Ahram (anch’esso irregimentato dalla linea Sisi) insinua qualche dubbio sulla pista criminale. Così nel gioco dell’oca delle bugie di Stato, assistiamo al ritorno su una delle caselle che inizialmente aprì il ventaglio delle ipotesi sul delitto. Ipotesi che si rifà strada e contemporaneamente traballa.

Segnale che ribadisce la lotta intestina al Mukhabarat, sostengono alcuni, o più verosimilmente rimostra la goffaggine con cui Al Sisi conduce il doppio passo della sua repressione: attuare, nonostante la faccia del buon padre di famiglia,  cose terribili, ordinando la scomparsa di oppositori e disturbatori. E mascherarlo con cento e più trame. Tutte inverosimili ormai anche agli occhi degli inquirenti italiani che nei giorni trascorsi al Cairo hanno toccato con mano quanta polvere del deserto il regime stia spargendo sulla ricerca della verità, oltre che sul cadavere martoriato del nostro connazionale. Sisi s’arrabbatta in ogni modo, anche ricercando la benevolenza italiana, gli ha prestato il fianco il neo direttore de La Repubblica Mario Calabresi con un’intervista che non ha fatto onore né a lui né alla professione giornalistica (cfr. http://enricocampofreda.blogspot.it/2016/03/omicidio-regeni-al-sisi-sussurri-e-grida.html).

Ora assistiamo alla riproposizione d’un movente (il sequestro criminale) al quale s’aggiungono tracce inconfutabili (i documenti di Regeni che chi ha sequestrato lo studioso ovviamente possedeva) e, guarda caso, l’eliminazione degli ipotetici assassini. In tal modo il cerchio si chiude e diventa quadrato. Nella testa degli assassini (quelli veri) e dei mandanti tutto sembra tornare. E’ bene che chi ama la giustizia e l’informazione rigetti gli inganni. Dovrebbero ribadirlo con decisione i nostri magistrati e i nostri politici.

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