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I tormenti di Sanders: cosa fare in caso di sconfitta alle primarie?

«Il momento di pianificare l’evasione». Bernie Sanders e i suoi stanno cominciando a pensare al da farsi in caso di sconfitta alle primarie del Partito Democratico. Una questione non da poco: intorno al 74enne leader socialista, infatti, si è radunata negli ultimi mesi una vera e propria massa critica composta da movimenti (anche) radicali che non sarebbero poi così inclini ad appoggiare Hillary Clinton a novembre, quando si tratterà di correre per la Casa Bianca contro un repubblicano.

In un’intervista rilasciata qualche giorno fa da Sanders al network «The Young Turks», il candidato delinea un percorso, una strada per continuare verso la «political revolution» di cui lui sarebbe portatore. A pensarci bene, in effetti, è soltanto con lui e da molto poco che il dirsi socialisti ha smesso di essere una colpa imperdonabile  negli Stati Uniti. Un piccolo passo, certo, ma non un passo trascurabile.

«Se non dovessimo vincere – ha detto Sanders – dovremmo chiederci cosa l’establishment del Partito Democratico farà per noi. Sono pronti a dare il benvenuto tra i democratici alla classe lavoratrice e ai giovani oppure sarà il partito delle classi medio-alte e dei finanziatori più forti della sua campagna?». Lo spettro che si agita sullo sfondo è sempre lo stesso: i miliardari che innaffiano di dollari le candidature e, di fatto, poi controllano gli eletti, i lupi più o meno famelici di Wall Street, la versione risciacquata dello strapotere repubblicano tra i ricchissimi a scapito della gran massa di poveri lasciata in eredità dalla crisi economica e impossibilitata a muoversi dal turboliberismo che domina, ha dominato e continuerà a dominare sugli Stati Uniti.

Le dichiarazioni di Sanders, comunque, non sono soltanto una domanda (legittima) sul futuro, ma anche una mossa elettorale. Insomma, lui si candida tra i democratici, certo, ma anche contro i democratici per ciò che rappresentano ora: un progetto di potenziale rottura, e molti consensi infatti sono stati incamerati proprio per questo suo essere l’esatto contrario della Clinton e dell’establishment. Insomma, si vedrà.

Dalle parti di Socialist Alternative, però, arriva anche una via d’uscita: in caso di sconfitta Bernie dovrebbe candidarsi comunque da indipendente, oppure cercare una convergenza sul Green Party, storica enclave di una parte del radicalismo statunitense.

Provocazione? Sì, ma solo fino a un certo punto. Perché se è difficile ipotizzare che Sanders alla fine uscirà dal partito (in fondo le primarie con la Clinton non stanno facendo registrare colpi bassi tali da pensare a una rottura in futuro), dall’altra c’è una base di militanti che a questa annunciata «rivoluzione politica contro i miliardari» ci sta credendo davvero. Rimarranno delusi?

Mario Di Vito

 

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