Contrariamente a quanto afferma il vecchio adagio, almeno in Grecia sembra proprio che tutto il male venga per nuocere. La capitolazione del luglio scorso del governo Tsipras all’Unione Europea e al Fmi, lungi dall’aver concesso tempo ai greci per iniziare a risalire la china come promesso, ha aperto la strada a una serie di cedimenti che non sembra avere fine.
La sensazione è di essere tornati agli anni in cui i sindacati greci infilavano uno sciopero generale dopo l’altro e le piazze si infuocavano al grido di ‘fuori la Troika’. Solo che dall’inizio del 2015 al governo non ci sono gli odiati socialisti o conservatori, ma un partito di sinistra che si professava anti-austerity e un altro che voleva distinguersi come ‘nazionalista’. E anche le piazze non sono più le stesse. La Grecia ha appena vissuto altre 48 ore di sciopero generale, convocato da tutti i sindacati, contro il governo e le sue leggi dettate a Bruxelles e Francoforte; tante manifestazioni hanno percorso il paese; ci sono stati perfino dei fermi di manifestanti; ma il sentimento prevalente è la disillusione. “Tutto è stato detto e fatto, i vecchi partiti sono stati mandati a casa ma la situazione è uguale e peggiore di prima” sembrano pensare tanti lavoratori, tanti disoccupati, tanti anziani che si tengono alla larga dai cortei i cui protagonisti sono per lo più gruppi politici e sindacali organizzati, senza quella eccedenza sociale di massa che aveva caratterizzato le grandi e impetuose mobilitazioni precedenti alla vittoria elettorale di Syriza.
Certo, qualcuno spera ancora che la strana coppia Tsipras-Kammenos faccia il miracolo. Ma la maggior parte dei greci hanno cominciato davvero a disperare.
Mentre il ministro dell’Economia, il ‘marxista’ Euclides Tsakalotos, continua a implorare l’Unione Europea affinché tagli almeno un po’ il debito greco, il parlamento telecomandato di Atene sta approvando a tappe forzate l’ennesima controriforma pensionistica e fiscale che l’Eurogruppo impone in cambio di una nuova tranche di prestiti vitali per un paese che ha di nuovo le casse vuote. Se il parlamento non farà i compiti che gli sono stati assegnati dall’Eurogruppo la riunione di domani dei ministri delle Finanze dei 19 non sbloccherà i finanziamenti. E così entro la mezzanotte i 153 parlamentari di maggioranza dovranno chinare la testa per l’ennesima volta approvando un piano pensionistico nazionale che prevede, per tutti i cittadini dopo 20 anni di contributi, la concessione di un assegno pari a “ben” 384 euro. Questo mentre l’equiparazione delle pensioni del settore pubblico a quelle del settore privato porterà ad una diminuzione degli assegni dei dipendenti pubblici del 15-20% oltre che a una lievitazione dei contributi da versare. Come se non bastasse, la legge presentata in aula da Syriza e Anel prevede l’aumento dell’Iva dal 23 al 24%, quello delle imposte su sigarette, benzina, alcolici e bollo auto, e soprattutto un aumento della tassazione dei redditi da lavoro dipendente per coloro che percepiscono tra i 795 e i 2250 euro al mese – la stragrande maggioranza – per un esborso medio annuale di 176 euro a persona. Il governo si è anche ricordato di coloro che riescono ancora a pagare un affitto, regalando alla categoria in questione un aumento dell’importo della ‘cedolare secca’.
Insomma una valanga di provvedimenti antipopolari, carogneschi, disastrosi – per un valore di 5.4 miliardi di euro di tagli – che scavano una fossa sempre più profonda a milioni di greci e al paese in quanto tale. “Stanno cercando di dimostrare all’Eurogruppo che sono dei bravi studenti, ma stanno distruggendo il sistema di sicurezza sociale della Grecia” ha dichiarato il sindacato del settore privato Gsee, presentando le motivazioni del nuovo sciopero generale, e definendo le nuove misure imposte al Parlamento “l’ultimo chiodo sulla bara” per i lavoratori e i pensionati dopo sei anni di sacrifici inutili e a senso unico.
Ma ovviamente i ‘creditori’ non si accontentano. In particolare il Fondo Monetario secondo il quale la Grecia non è in grado di restituire il suo debito e di onorare gli impegni. E così l’istituzione guidata da Christine Lagarde ha chiesto l’introduzione di meccanismi automatici di austerity preventiva che assicurino l’obbedienza delle istituzioni elleniche bypassando anche la formalità della sovranità di Atene. L’Fmi ha fatto presente che per rispettare il diktat del 3.5% di avanzo primario, obiettivo fissato dall’Ue, Atene dovrebbe applicare più di 3 miliardi di ulteriori tagli.
Per due giorni scuole e uffici pubblici sono rimasti chiusi, i traghetti e il trasporto pubblico sono stati bloccati, i giornalisti hanno incrociato le braccia insieme a tante categorie del lavoro pubblico e privato. Oggi la protesta approderà in Piazza Syntagma, sede di quel parlamento che, ancora, è una istituzione ostaggio di un potere straniero e di una dittatura di classe di dimensioni sovranazionali.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa
Simone Garilli
Attenzione: il FMI non chiede ulteriori 3,6 miliardi di tagli, ma sostiene che per centrare il 3,5% di avanzo primario sul Pil servirebbero altri 3,6 miliardi. Lo specifica proprio per dire che questa austerità non è sostenibile e che la Grecia non riuscirà in questo modo a ripagare il debito. Già a luglio fu il FMI a proporre una ristrutturazione del debito greco e un alleggerimento dell’austerità (insieme ad Hollande). Perché lo fa? Perché il FMI esprime la posizione americana, che è quella di tenere unita l’Europa filoatlantica evitando l’emergere dei populismi o dei partiti radicali anti-euro e anti-Ue. Agli americani serve stabilità in Europa e la posizione tedesca genera invece profonda instabilità economica e geopolitica.