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Portogallo: tra furto di cervelli e disoccupazione di massa

Un rapporto dell’agenzia europea Eurofound rivela che in Portogallo l’emigrazione è ai suoi livelli più alti dal 1973. Le ragioni vengono individuate nell’alta disoccupazione, nell’insicurezza lavorativa e nelle condizioni del mercato del lavoro in generale peggioramento. Il rapporto sottolinea inoltre come una quota crescente di questa emigrazione riguardi lavoratori altamente qualificati.

I paesi di arrivo degli emigranti portoghesi sono prevalentemente europei (e in misura crescente rispetto al passato): il primo paese di destinazione risulta essere la Gran Bretagna, seguono poi Francia e Germania. Da notare anche il numero crescente di donne, che nel 2011 costituivano il 52 per cento del totale degli emigrati.

Un fenomeno alimentato da una situazione tragica del mercato del lavoro portoghese, frutto dell’applicazione pedissequa delle misure di austerità e di varie ristrutturazioni che la Troika ha imposto in cambio del pacchetto di aiuti internazionali richiesti nel 2011 a fronte della crisi debitoria in cui si era ritrovato il paese. Fra il 2011 e il 2013 la disoccupazione è passata dal 12.7 al 16.2 per cento.

Nel 2015 questi numeri sono migliorati (il tasso di disoccupazione del quarto trimestre era del 12 per cento), tant’è che l’allora primo ministro Pedro Passos Coelho aveva cantato vittoria sostenendo l’efficacia delle misure di austerità e vantando quindi la responsabilità del miglioramento dei conti e dei dati macroeconomici. Ma come sottolinea lo stesso rapporto di Eurofound limitarsi solo al tasso di disoccupazione rischia di essere riduttivo e di dare un’immagine assai parziale della situazione. Infatti, secondo i dati presentati dal sindacato CGTP-IN, fra il 2008 e il 2014 sono stati distrutti più di 617.000 posti di lavoro, una cifra enorme (quasi il 12% dell’occupazione portoghese). Inoltre i dati sulla disoccupazione sono sottostimati perché non considerano il caso dei lavoratori “scoraggiati” (quelli cioè che cessano di cercare il lavoro e dunque statisticamente non conteggiati come disoccupati). Le cifre escludono inoltre coloro che hanno contratti di inserimento nel mercato del lavoro e semplici tirocini, benché questi non siano veri e propri contratti di lavoro. Secondo la CGTP, se tutte queste categorie fossero considerate nelle rilevazioni il tasso di disoccupazione reale salirebbe addirittura al 24.3%. Dati confermati da uno studio dell’Osservatorio Portoghese sulla Crisi e le Alternative.

Il rapporto si conclude sottolineando che molti ritirano la domanda di disoccupazione perché emigranti o in procinto di emigrare (un fenomeno che varrebbe la pena di analizzare anche nel caso dell’Italia). Il numero di emigranti (soprattutto quelli ad elevata qualifica) viene collegato direttamente all’incapacità del settore pubblico di assumere nuovi dipendenti, a seguito dei tagli previsti nell’accordo con la Troika. A questo si aggiunge una situazione di estrema precarietà: una ricerca sui ricercatori portoghesi dimostra che quasi l’80% di loro non ha mai avuto un vero e proprio contratto di lavoro.

Numeri e dinamiche sinistramente simili a quelli evidenziati per il caso italiano dalla relazione della Campagna Noi Restiamo al recente convegno sulla formazione organizzato a Bologna dalla Rete dei Comunisti, che mostrano in maniera lampante come siano determinate le relazioni centro-periferia all’interno dell’Unione Europea.


Panofsky

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