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Come le statistiche sottostimano il numero di morti sul lavoro

Di fronte all’ennesima tragedia sul lavoro, assistiamo – come da copione – alle lacrime di coccodrillo della politica che non compie praticamente nessuna azione concreta per contrastare il fenomeno; a questi insulti alle vittime fa da contraltare mediatico quella stampa che tende a sminuire il fenomeno propinando dati fuorvianti, ovviamente mendaci al ribasso.

Il dato dei morti sul lavoro comunemente utilizzato è parziale e obsoleto, pertanto estremamente sottostimato.

Ciò è dovuto al fatto che di norma si fa riferimento al dato INAIL, che però non può essere preso come valore reale del numero di morti sul lvoro, in quanto appunto, parziale e obsoleto.

Il dato dei morti sul lavoro dichiarati dall’INAIL è parziale per via del fatto che non tutti i lavoratori hanno la copertura INAIL e pertanto una buona parte degli incidenti non finisce in quelle statistiche.

In primo luogo parliamo di molti lavoratori autonomi, ma anche di alcuni pubblici ad alto rischio come ad esempio i Vigili del Fuoco. Similmente, non hanno copertura INAIL nemmeno quelli che lavorano al nero e spesso si tratta di lavori particolarmente pericolosi come edilizia e agricoltura.

Al contempo ogni dato dei morti sul lavoro è per sua natura costantemente obsoleto in quanto non aggiornato a quelli che sono gli effettivi decessi.

Di lavoro non si muore solo in incidenti traumatici e repentini, ma anche dopo lunghe agonie e soprattutto con malattie. Per ottenere il riconoscimento del nesso causa/effetto possono passare molti anni di azioni legali, ma una volta che i tribunali lo fanno, quella persona morta non viene inserita nelle statistiche dell’anno corrente, ma in quelle degli anni precedenti (cioè in quella in cui effettivamente è avvenuto il decesso).

Per questo motivo i politicanti possono presentarsi ogni anno di fronte all’opinione pubblica dicendo che il numero di decessi è inferiore a quello degli anni precedenti, solo perché propongono un dato che non tiene conto di tutte le morti che non sono ancora riconosciute come morti sul lavoro.

Pertanto, se si vuole provare a fare una migliore approssimazione sul numero di morti sul lavoro, si deve guardare alle serie storiche in cui sono già integrati i dati di quelle vittime che hanno già ottenuto il riconoscimento dopo una causa.

Così se prendiamo le serie storiche (per esempio, proprio quelle INAIL) vediamo che nel 2017-2021 i morti sul lavoro sono stati:

2017: 1181

2018: 1288

2019: 1229

2020: 1695

2021: 1400

Cioè, in un quinquennio in media ci sono stati 1359 decessi l’anno. Ovviamente il dato ancora non è definitivo, in quanto alcune cause durano decenni, ma andando troppo indietro diventa complicato inchiodare la classe dirigente alle proprie responsabilità.

Partendo da un dato medio di 1359 morti all’anno, se si aggiungono quelle altre categorie non tenute in considerazione (quelle di cui sopra, alcuni lavoratori autonomi o pubblici, nonché i lavoratori al nero), pur senza azzardare stime, si intuisce subito che i numeri reali sono molto più alti. Si capisce la portata del dramma.

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2 Commenti


  • . Binazzi Sergio

    sono cifre da far paura e grande sdegno. in un paese civile e democratico non dovrebbero esistere situazioni simili. io entrai in fabbrica nel lontano 1967 ma francamente non ricordo se anche allora ci fosse una simile carneficina, però bisogna dire che le norme antinfortunistiche a quei tempi erano minori.


  • . Binazzi Sergio

    ah dimenticavo: tra fine anni 80 e 90 ricordo che per legge le aziende riempivano le fabbriche di cartelli che mettevano in guardia i lavoratori a fare questo o quello per non incorrere in incidenti, per cui a sorteggio ovviamente, c’era qualche controllo dalle autorità competenti, ma nessuno imponeva alle ditte di sistemare a dovere gli impianti e i macchinari, cosa che vanifica l’effetto cartello, anzi per dire una battuta era meglio guardare dove si mettevano le mani anziché distrarsi a leggere cartelli.

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