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Kazakhstan: cosa c’è dietro l’attacco islamista ad Aktobé?

Lutto nazionale oggi in Kazakhstan, in occasione dei funerali delle vittime dell’assalto, lo scorso 5 giugno, a una caserma della Guardia nazionale ad Aktobé, nel Kazakhstan nord-occidentale, che ha causato la morte di 20 persone (tra cui 13 assalitori, che hanno portato l’attacco al grido di “Allah Akbar”) e il ferimento di altre 38.

Già un mese fa, in occasione delle proteste di piazza a Atyrau, Aktobé, Semej, Žanaozen e Kyzylorda, legate alle modifiche al Codice fondiario, il perpetuo presidente kazakho Nursultan Nazarbaev aveva dichiarato che ogni tentativo di ripetere nel paese “gli avvenimenti ucraini”, sarebbe stato stroncato “nella maniera più dura”, accusando “nemici esterni” e “forze occidentali” di giocare la carta del nazionalismo. Ora, dopo l’attacco di Aktobé, Nazarbaev ha ripetuto che “gli atti terroristici sono stati organizzati da seguaci di correnti radicali pseudo-religiose che hanno ricevuto istruzioni dall’estero”. Al Comitato per la sicurezza nazionale hanno dichiarato che nel paese è stato sventato “un tentativo di colpo di stato”, organizzato dal miliardario Tokhtar Tuleshov, arrestato a gennaio e accusato anche di aver sponsorizzato le proteste per la riforma fondiaria, già pronte a fine 2015 e poi rinviate. Tuleshov sarebbe accusato in base all’art. 128 del Codice penale: “sospetto di reato criminale”.

Come che sia, è passato appena un mese dalle manifestazioni per le modifiche alla moratoria sulla vendite dei terreni, che l’apparentemente “tranquillo” Kazakhstan – la più estesa, dopo la Russia, tra le repubbliche ex sovietiche – è di nuovo sconvolto. Ancora ieri, nella stessa Aktobé, si era parlato di possibili attacchi a strutture scolastiche infantili, con quartieri messi praticamente in stato d’assedio in vista di presunte incursioni, dato che almeno sei degli attentatori del 5 giugno erano riusciti a sganciarsi. In tutta la provincia di Aktobè è in vigore il livello più critico, “rosso”, di pericolosità terroristica; mentre, sull’intero Kazakhstan, per i prossimi 40 giorni sarà in vigore il “codice giallo”, cioè il livello più basso – il livello intermedio è quello “arancione” – allorché si attende ancora la conferma sulla reale possibilità di atti terroristici.

Su politonline.ru, Denis Tukmakov scrive che gli avvenimenti di Aktobé potrebbero acuire in qualcuno sentimenti antirussi, della stessa matrice di un “complesso da vittima del colonialismo russo” così diffusa in Ucraina: della serie, “dall’epoca dell’Orda d’Oro fino a oggi, quanto di buono c’è stato lo abbiamo fatto noi; tutto il negativo ce lo ha portato Mosca”. E del pari degli ultimi due anni di storia ucraina: “Siamo pronti. Sia a cacciare Nazarbaev, sia alla rivoluzione nazionalista e voi russi col vostro sciovinismo fascista ci aiuterete”. E sullo sfondo di tali ragionamenti, scrive Tukmakov, scompare ogni pericolo della minaccia islamista.

Quindi, da un lato si parla di possibile attacco portato da simpatizzanti dell’Isis; da un altro di tentativo di colpo di stato, nella scia delle famigerate “rivoluzioni colorate” che hanno toccato buona parte delle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, del Caucaso, oltre all’Ucraina. Ma c’è anche chi nota come l’arresto di Tuleshov a gennaio e ora l’accusa di tentativo di golpe, mossa a una persona, quantomeno ufficialmente, legata agli ambienti moscoviti, possa raffreddare i rapporti col Cremlino, nonostante Vladimir Putin, in occasione del lutto nazionale, abbia espresso a Nazarbaev le proprie condoglianze.

Fatto sta che tutta una serie di altissimi funzionari civili e militari sono stati arrestati, sia ad Aktobé, che ad Almaty e nella capitale Astana, sospettati, come scrive Ca-News.kz, del tentativo di presa violenta del potere: tutti legati al “re della birra” Tokhtar Tuleshov,  accusato, come detto, dell’organizzazione di “atti di destabilizzazione, con la creazione di focolai di tensione, organizzazione di azioni di protesta e disordini di massa, nel quadro dei quali egli contava di dar vita a un governo alternativo e cambiare la struttura statale”. Una faccenda tutta interna, dunque?

Ma chi è Tokhtar Tuleshov, proprietario della grossa fabbrica di birra “Shymkentpivo” e della casa di produzione “Shymkent Pictures” (Shymkent è una delle più grandi città del Kazakstan, vicinissima alla capitale uzbeka Tashkent)? Tra le altre attività economiche più in vista, la “Shymkentpivo” detiene il 50% delle azioni dell’uzbeka “Marvel Juice” e dal 2007 Tuleshov possiede il “Darkhan Group”, impresa di costruzioni e distributore in Uzbekistan della “Shymkentpivo”. Quando fu arrestato nel gennaio scorso l’accusa fu limitata a traffico di stupefacenti e finanziamento di un gruppo criminale. Dalla sua cerchia si parlò però, come ragione vera, dei suoi rapporti con la Russia; Tuleshov era infatti non solo membro del partito presidenziale “Nur Otan” (Sole della Patria), ma faceva anche parte del Centro russo di analisi delle minacce terroristiche ed era consigliere del presidente dell’Unione kazakha per i rapporti unitari con la Russia. Di più: Tuleshov era anche consulente della Duma russa per le questioni della collaborazione economica e delle organizzazioni regionali non governative.

A parte gli incarichi “politici”, Tuleshov è stato in stretti rapporti col vicepresidente dell’AIBA (Associazione internazionale boxe dilettantistica), l’uzbeko Gofur Rakhimov, considerato dal Ministero delle finanze USA uno dei capi del cartello criminale “Circolo della fratellanza” e leader del narcotraffico uzbeko. Nel 2009, la polizia kazakha aveva filmato l’arrivo di Rakhimov alla festa di compleanno di Tuleshov su una Rolls Royce con targa di Shymkent. Da fine anni 2000, comunque, Tuleshov aveva preso a intrecciare rapporti sempre più stretti con la Russia; nel 2012, su un blog di Pietroburgo, era comparsa un’intervista a Tuleshov, in cui questi lamentava una presunta “rimozione” artificiosa della lingua russa dalla vita quotidiana del Kazakhstan, pur continuando a vivere nel paese una grossa minoranza di popolazione di lingua russa. Nel 2013 Tuleshov ha pubblicato il volume “Integrazione euroasiatica. Costruzione del futuro”, in cui difende gli ideali della “integrazione euroasiatica”, anche a detrimento dell’autonomia di alcuni stati. Una serie di idee, insomma, non del tutto sgradite in alcuni ambienti moscoviti.

Che dunque quel “Allah Akbar” degli assalitori di Aktobé fosse in realtà una strana copertura per altre mire, esterne sì al Kazakhstan, ma non islamiste?

 

Fabrizio Poggi

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