“L’ONU ha messo Kiev al suo posto”, scrive NewsFront. Cosa è successo? Giovedì scorso, all’apertura del Forum economico di Pietroburgo, il Segretario generale ONU, Ban Ki Moon aveva elogiato la Russia che, “quale membro permanente del Consiglio di Sicurezza ONU, svolge un ruolo importante nella soluzione delle questioni mondiali”, a partire dalle questioni ucraina e siriana.
La junta ucraina si era sentita offesa da tale riconoscimento e aveva incaricato il proprio rappresentante all’ONU, Vladimir Elčenko, di “correggere” Ban. Questi aveva eseguito l’ordine alla maniera tipica dei golpisti ucraini, sbraitando di fronte ai media di essere “totalmente furioso per tale dichiarazione. Non capisco come il capo delle Nazioni Unite possa dire cose del genere”. Elčenko aveva anche sentenziato che, dopo tali dichiarazioni, Ban non può più svolgere il ruolo di intermediazione sulla questione ucraina. Il portavoce del Segretario generale ha replicato che Ban Ki Moon non ha alcuna intenzione di rimangiarsi le proprie parole e ha consigliato a Kiev di rileggere più attentamente il discorso di Pietroburgo. “Sembra che la diplomazia ucraina abbia toccato proprio il fondo”, commenta NewsFront.
O forse no: viste le affermazioni, contemporanee a quelle di Elčenko all’ONU, rilasciate dalla vice premier per l’eurointegrazione, Ivanna Barabannaja-Tsintsadze, circa il rifiuto ucraino a riconoscere come genocidio le stragi di polacchi della Volinija compiute dall’UPA nel 1942-’43. Ivanna ha candidamente affermato che l’Ucraina è disposta a porgere le scuse a Varsavia, a patto che i polacchi dimostrino che il capo dell’UPA, Roman Šukevič ha effettivamente “fatto qualcosa di male”. Ora, commenta jpgazeta.ru, “rompere un vetro, mangiarsi tutta la marmellata, tirare la coda al gatto: questo significa “fare qualcosa di male”. A Kiev, oggi, il genocidio è messo sullo stesso piano di quegli atti innocenti”. Ed è così che i rapporti polacco-ucraini non sono mai stati così tesi come negli ultimi tempi, con Kiev che rifiuta categoricamente di riconoscere le stragi commesse dai filonazisti ucraini in quei territori che in Polonia sono conosciuti come i “Kresy orientali”, confinanti con Ucraina e Bielorussia: stragi che Varsavia non intende dimenticare. Anzi, pare che la Sejm polacca si appresti a istituire una giornata, l’11 luglio, a ricordo del giorno in cui, nel 1943, i nazionalsocialisti ucraini di OUN-UPA compirono un assalto coordinato a 150 villaggi polacchi. “Qualcosa di male! Sarebbe interessante sapere se la “ingenua” Ivanna definisce l’olocausto con “esagerarono un po’”, oppure il genocidio armeno con “una disputa tra vicini”, commenta jpgazeta. Cosa aspettarsi da golpisti che hanno innalzato a eroi i capi dell’OUN e dell’UPA e celebrano come festa nazionale le loro date di nascita?
Ma i fascisti non operarono solo in Ucraina. Sempre in questi giorni, a Pietroburgo, è stata ufficialmente scoperta una targa che commemora il periodo (dal 1887 al 1918) in cui il generale finlandese Karl Gustav Mannerheim servì nell’esercito zarista. A presenziare alla cerimonia c’era addirittura il capo dell’amministrazione presidenziale, Sergej Ivanov. Se le agenzie russe ufficiali hanno riportato il fatto, limitandosi a definire Mannerheim “una delle figure più complesse e contraddittorie della Russia”, ben diversa è stata la reazione di altri media: Novorosinform, ad esempio, lo ha qualificato, senza mezzi termini, come “russofobo, traditore, canaglia fascista”, senza dimenticare la sua dittatura militare in Finlandia, il suo ruolo aggressivo nella “guerra d’inverno” del 1939 e, dopo, le stragi di civili sovietici durante l’assedio di Leningrado, nella Seconda guerra mondiale. Se Ivanov ha implicitamente detto che l’inaugurazione della targa è da considerasi un gesto che mira a superare la divisione della società russa determinata dalla Rivoluzione d’Ottobre; se il Ministro della cultura, Vladimir Medinskij, ha definito Mannerheim un “cittadino illustre della Russia” e ha detto, respingendo le critiche piovute dalla sinistra, che “non si deve essere più comunisti di Stalin, che seppe rispettare Mannerheim quale presidente della Finlandia”; altri però hanno ricordato l’invasione di vaste aree della Carelia da parte dell’esercito finlandese, secondo gli ordini di Mannerheim e gli interessi bellici degli hitleriani; hanno ricordato i “lager di filtraggio” istituiti nelle zone sottomesse della Carelia, in cui trovarono la morte migliaia di sovietici; hanno ricordato come il blocco di Leningrado avrebbe potuto essere “alleggerito” se solo Mannerheim avesse lasciato un varco dalla parte della Finlandia. “Addirittura”, scrive Egor Kholmogorv su Novorosinform, né Bandera, né Šukevič si fecero mai fotografare mentre stringevano la mano a Hitler, come invece fece Mannerheim”, il quale scrisse anche che “i nostri fratelli d’arme tedeschi rimarranno sempre nei nostri cuori”.
E a proposito della “lealtà” alla Russia e alle armi zariste, di cui oggi parlano a Mosca, già nel 2005, ad esempio, Sovetskaja Rossija aveva scritto, a proposito di un documentario russo apologetico su Mannerheim, di come questi, dopo il 1905 e con grande vantaggio per la Germania, avesse consigliato lo Stato maggiore zarista di concentrare le truppe in oriente, in vista di un nuovo scontro col Giappone e come l’esercito si fosse trovato poi dunque impreparato alla guerra con gli imperi centrali nel 1914. Di come Mannerheim, nella repressione dei moti rivoluzionari del 1905, avesse represso le rivolte contadine in Siberia e come, nel 1906, avesse fucilato e impiccato i contadini russi e baltici; di come, al comando di truppe tedesche, avesse represso la rivoluzione in Finlandia nel 1918…
Il fatto che Josif Stalin, dopo la guerra, non si sia opposto all’elezione di Mannerheim alla carica di presidente finlandese, non significa che l’Unione Sovietica si apprestasse a dedicargli una targa commemorativa, come ha fatto oggi la Russia. Come dicono i russi, “sono due grosse differenze”.
Fabrizio Poggi
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