Gli accordi di Minsk sono finiti in un vicolo cieco, scriveva qualche giorno fa Novorosinform, con riferimento alle parole del capo dell’amministrazione presidenziale russa, Sergej Ivanov, il quale d’altra parte esclude responsabilità di Mosca nella mancata attuazione delle clausole di quegli accordi e indica in Kiev il principale responsabile del nulla di fatto, dal momento che il Cremlino si sarebbe addirittura dichiarato d’accordo con la proposta ucraina sull’armamento degli osservatori Osce nel Donbass.
Per la verità, le interpretazioni che della questione danno Mosca e Kiev non appaiono del tutto coincidenti, anzi. Sin dall’inizio le posizioni erano apparse alquanto distanti; nel colloquio telefonico di un mese fa del cosiddetto “Quartetto normanno” – Merkel, Hollande, Putin e Poroshenko – né il Cremlino, né l’Eliseo pare avessero acconsentito alla richiesta di Kiev dell’introduzione di una missione di polizia armata Osce nel Donbass. E, per la verità, quella ucraina aveva e ha tutto l’aspetto di qualcosa più di una richiesta: Kiev ne fa addirittura dipendere due dei punti essenziali del “pacchetto di Minsk”, quali le elezioni locali nel Donbass e, conseguentemente, lo status politico speciale della regione. Sabato scorso Ivanov ha detto che “Il Presidente Putin ha già dichiarato più di una volta che noi siamo d’accordo con la proposta di Poroshenko di accrescere la sicurezza dell’Osce, che viene spesso a trovarsi sulla linea del fuoco. Siamo d’accordo, ma occorre il consenso di tutti i membri dell’Osce”. Per l’esattezza, Ivanov ha specificato che i membri dell’Osce lungo la linea di demarcazione (e non gli osservatori Osce in occasione delle elezioni) potrebbero esser muniti di pistole “Makarov o Walter, o qualunque altro tipo, affinché possano difendersi: armi leggere per elementare difesa personale”; mentre la richiesta ucraina sembra sottintendere veri e propri reparti armati, rafforzati con mezzi da guerra, tanto che le leadership delle Repubbliche popolari hanno da subito dichiarato di considerare tale eventualità alla stregua di un attacco e di esser pronti a reagire di conseguenza.
Mosca è tornata sulla questione anche nei giorni scorsi, ribadendo che il consenso all’armamento personale degli ispettori Osce, dovrà seguire l’adempimento di alcune questioni politiche chiave previste dagli accordi di Minsk: la riforma costituzionale in Ucraina, che avrebbe dovuto essere adottata entro il 2015, lo status speciale per il Donbass, l’amnistia per le milizie. Ma tutto è fermo, tanto che il Cremlino non ha accolto con particolare entusiasmo la proposta franco-tedesca di un nuovo vertice “normanno” entro fine giugno (in ogni caso, prima del vertice Nato a Varsavia del 8-9 luglio) che, agli occhi di Mosca, pare voler fissare lo status quo attuale o una presa d’atto, come scrive Russkaja Vesna, che forse sarebbe meglio per DNR, LNR, Mosca e Kiev rinunciare all’intermediazione di Parigi e Berlino.
L’unica cosa certa, nella questione, insomma, pare essere per ora quella accennata dal rappresentante ucraino alla commissione sulla sicurezza del Gruppo di contatto trilaterale, Evgenij Marčuk, secondo cui il costo dell’eventuale “missione di polizia” Osce si aggirerebbe attorno al miliardo di $. Marčuk ha però anche specificato che, secondo il coordinatore della missione Osce di monitoraggio per l’Ucraina, il turco Ertuğrul Apakan, il mandato affidato dai 57 paesi prevede solo compiti di osservazione e, comunque, da qui alla fine dell’anno, la questione dell’armamento difficilmente potrà essere posta concretamente sul tappeto.
E’ così che, per accelerare le cose, aggirando le inutili formalità richieste dai rapporti diplomatici internazionali, il neonazista ex capo di UNA-UNSO, Dmitro Korčinskij ha esortato le autorità di Kiev a costruire campi di concentramento in cui rinchiudere tutti gli abitanti del Donbass, sul tipo di quelli realizzati dagli USA per i giapponesi residenti negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale. In alternativa, vista forse la difficoltà della cosa, Korčinskij propone di rendere il Donbass, in qualsiasi modo, invivibile, così che se non è possibile per l’Ucraina appropriarsene, non possa esserlo per nessuno: una variante potrebbe essere costituita, secondo l’ex führer cosacco, da massicci bombardamenti di tutti i quartieri civili nel Donbass. Tale soluzione sarebbe anche molto più sbrigativa rispetto a quella, al contagocce, di cui si era personalmente incaricato il medico ucraino Aleksandr Černov che ora, al canale UKRLIFE.tv, ha orgogliosamente raccontato di come, durante la sua permanenza al fronte, con l’impiego di miscele di medicinali, abbia fatto morire decine di miliziani feriti in battaglia, catturati e ricoverati in rianimazione. Secondo Russkaja Vesna, Černov avrebbe candidamente dichiarato che “il giuramento di Ippocrate non libera dalla responsabilità penale per l’appoggio ai terroristi”, così che egli si era incaricato di eseguire le condanne a morte dei nemici dell’Ucraina golpista.
Nemici quali la Russia, ad esempio, a cui, secondo le notizie diffuse da Ukrinform, il Segretario di stato vaticano, Pietro Parolin, in visita in questi giorni in Ucraina, tra Kiev, L’vov e altre città dell’Ucraina occidentale, avrebbe detto di pentirsi per le sofferenze portate contro un “popolo-martire”, quale è quello ucraino. Parolin, che nella sua visita non si è spinto più a est di Zaporozhe, ha consegnato la somma raccolta tra le “comunità cattoliche d’Europa” e destinata, come riporta Radio vaticana, alla “Ucraina sofferente… che cerca in tutti i modi di trovare una soluzione pacifica e negoziata al conflitto”. Così pacifica che ancora ieri lo stesso rappresentante ucraino a Minsk, Evgenij Marčuk ha detto che se le forze di Kiev cominceranno massicci bombardamenti sul Donbass, potremo mettere la croce sugli accordi di Minsk, i politici occidentali ci toglieranno ogni appoggio e “nessuno vorrà più avere a che fare con noi”. Tranne forse, appunto, gli inviati vaticani che, senza spender parola per il Donbass, su cui anche la scorsa notte, solo su Donetsk, Dokučaevsk, Sakanka e Kominternovo, sono piovute oltre 140 bombe di obici e mortai da 120 mm, si addolorano per i “bombardamenti e distruzioni di centri abitati e infrastrutture”, intendendo con ciò che la parte di Ucraina a essere bombardata sia quella controllata dai Poroshenko e dai Turčinov e che, dunque, l’aggressione verrebbe da est. Tanto che Parolin si è sentito in obbligo di ammonire i “cari fratelli russi, che non c’è più tempo. Perciò dobbiamo chiedere perdono per tutte le offese inflitte e ricevute”: non certo per le centinaia di cittadini ucraini imprigionati e torturati nelle carceri golpiste, per tutti gli oppositori al regime bastonati e ammazzati dagli squadristi neonazisti, per le migliaia e migliaia di civili morti nel Donbass sotto le bombe di Kiev. Per quelle offese non arriva alcuna fratellanza da parte vaticana: “la solidarietà del Papa e dell’intera Chiesa cattolica” è solo per “una popolazione vittima di una guerra subdola e dimenticata”, che, nella mente di Parolin, è portata non sul Donbass, ma su L’vov, Kiev e Zaporozhe.
Fabrizio Poggi
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HoracioTeodoro Parenti
El secretario de Estado del Vaticano prefiere a los ucranianos , màs que a los rusos. Misterios de Vaticano….