A detta di Kiev, il “quartetto normanno” – Merkel, Hollande, Putin e Porošenko – durante il colloquio telefonico della scorsa notte, avrebbe acconsentito alla proposta ucraina di iniziare a discutere la questione dell’armamento degli osservatori Osce nel Donbass. Secondo la Tass, né il Cremlino, né l’Eliseo confermano la cosa. A Mosca si mette invece l’accento sul peggioramento della situazione nel Donbass: Putin ha chiesto l’immediata cessazione dei bombardamenti sui centri abitati della regione da parte delle artiglierie ucraine.
Il servizio stampa di Porošenko comunica che i quattro leader si sarebbero detti d’accordo sul fatto che “per la prosecuzione del dialogo politico sia necessaria una decisa de-esclation e un completo cessate il fuoco”; consenso anche sulla piena applicazione degli accordi di Minsk, compresa la garanzia di condizioni di sicurezza per le elezioni locali nel Donbass, che per Kiev significa obbligo per le Repubbliche popolari di ammettere i partiti ucraini alle consultazioni locali. A questo riguardo, già ieri il leader della DNR, Aleksandr Zakharčenko aveva dichiarato che “in ragione del fatto che tutti i partiti, attivamente o meno, hanno dato man forte alle operazioni di guerra ucraine nel Donbass, tutti sono in egual misura responsabili dei crimini contro l’umanità e saranno giudicati alla pari di quei politici ucraini che hanno emesso gli ordini criminali e li hanno eseguiti”; in nessun caso i partiti ucraini potranno partecipare alle “primarie” dei partiti della DNR.
Vladimir Putin, oltre a sottolineare la condizione fondamentale del dialogo diretto tra Kiev e le Repubbliche di Donetsk e di Lugansk, avrebbe trasmesso a Hollande, Merkel e Porošenko il pacchetto di proposte di DNR e LNR relativo alle elezioni locali, allo status speciale della regione, alla decentralizzazione e all’amnistia per le milizie, secondo quanto concordato a Minsk nel febbraio 2015. I quattro leader avrebbero convenuto sul rafforzamento del Centro congiunto russo-ucraino di controllo nel Donbass e su una maggiore efficienza della missione di monitoraggio speciale dell’Osce, conferendole ulteriori poteri: parrebbe questo il punto che Kiev interpreta come accoglimento della propria proposta sull’armamento degli osservatori Osce. A questo proposito, meno di un mese fa, al primo apparire della nuova pensata di Petro Porošenko, Aleksandr Zakharčenko aveva dichiarato che la Repubblica di Donetsk avrebbe considerato l’introduzione di personale armato, pur appartenente all’Osce, come una aggressione e risposto di conseguenza. L’11 maggio, al termine dell’incontro tra i Ministri degli esteri del “quartetto normanno” a Berlino, Sergej Lavrov aveva fatto capire che Mosca non vede alcun bisogno di allargare il mandato della missione Osce con funzioni di polizia armata, dato che, a differenza di Kiev, non ritiene necessario garantire con personale armato la “libera propaganda preelettorale”, in vista delle elezioni nel Donbass previste dagli accordi di Minsk. A meno che la trovata ucraina non rappresenti un pretesto per un nuovo rinvio delle elezioni, il politologo Ildus Jarulin, ripreso da radio “Zvezda”, giudica la proposta dell’introduzione di polizia armata nel Donbass come il tentativo di diretta ingerenza della UE nelle questioni di DNR e LNR.
Stamani le leadership di DNR e LNR hanno respinto categoricamente ogni ipotesi di introduzione, sotto qualsiasi motivazione, di reparti stranieri armati sul proprio territorio. “Le dichiarazioni di Kiev su un formale accordo del “quartetto normanno” sul dislocamento di reparti di polizia armata nel Donbass, rappresentano un nuovo tentativo di presentare per effettivo quanto è solo desiderato”, riporta Interfax. “Una tale missione non è prevista dagli accordi di Minsk e può solo danneggiare il processo di pace; gli abitanti la considereranno come un intervento e la loro reazione potrebbe essere conseguente”, hanno dichiarato alla LNR.
Polizia a parte, anche nel colloquio notturno Porošenko avrebbe chiesto alla Russia di “ritirare le truppe dalla parte occupata dell’Ucraina e cessare l’inviò di armi e mercenari”. Di nuovo, dunque, Porošenko non ha resistito alla tentazione di capovolgere spavaldamente le carte di fronte alla platea, attribuendo a Mosca il ruolo sin qui giocato dalle armi polacche, turche, statunitensi fornite a Kiev e dai cecchini e terroristi ceceni, baltici, mediorientali che sparano sui civili nel Donbass. Petro era ancora eccitato per il fatto di esser stato invitato, domenica e lunedì scorsi, a dire la sua sul “ruolo delle leadership politiche nella prevenzione e cessazione dei conflitti”, al Summit umanitario mondiale a Istanbul, durante il quale aveva ammonito il mondo sul pericolo di guerra a causa della Russia: “Siamo di nuovo sull’orlo di un conflitto”, aveva ammonito l’Occidente fratello Petro, come se quello che da due anni il suo esercito sta conducendo contro i civili del Donbass sia un’opera pia; “e non si tratta di una guerra tra Occidente e resto del mondo. E’ una guerra tra chi vuole l’armonia e chi vuole dominare. Oggi vediamo che la Russia, questa potenza nucleare, giudica la democrazia una minaccia e la libertà un veleno”, aveva sentenziato l’evangelizzatore Petro, tra i cui infiniti e misericordiosi provvedimenti “democratici” spicca anche l’istituzionalizzazione dei festeggiamenti per i terroristi UPA delle SS “Galizia” che massacrarono qualche centinaio di migliaia di soldati sovietici e civili polacchi, rom, ebrei e ucraini. Sia pace in terra a chi come Petro raccomanda l’antidoto liberista e l’attrattiva democratica.
Fabrizio Poggi
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