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Il terrorismo islamista tra Georgia, Turchia e Ucraina

Non si tratta di uno di quei casi simili al memorabile pasoliniano “Io so, ma non ho le prove”. No, le prove ci sono e continuano a venire sempre più massicciamente alla luce. Che lo Stato Islamico non sia sorto per “generazione spontanea”; che, come i suoi predecessori in Afghanistan, Pakistan, Caucaso, abbia ricevuto e continui tutt’oggi a ricevere armi e finanziamenti da paesi e organizzazioni ben noti, non fa quasi più “notizia”: si dà pressoché per scontato.

Ma non per questo è privo di interesse sentire i racconti che escono dalla viva voce di alcuni attori del dramma. Dopo l’ultimo attentato ad Istanbul, in cui erano coinvolti elementi che in Occidente ci si è precipitati a dire che “vengono dalla Russia” – quando le stragi di civili le compivano in Urss o le ripetono oggi in aree ex sovietiche, allora sono “combattenti” o “indipendentisti”; se invece gli attentati vengono in Occidente, allora si tratta senz’altro di “terroristi”, meglio se provenienti dall’ex Urss – l’agenzia Russkaja Vesna ha pubblicato il commento dell’esperto georgiano in estremismo religioso, Šota Apkhaidze. Perché un esperto georgiano? Perché il presunto organizzatore dell’attentato in Turchia è Akhmed Čataev, agente operativo dei Servizi segreti georgiani, all’epoca in cui a Tbilisi regnava incontrastato quel Mikhail Saakašvili che, nel 2008, aveva scatenato l’attacco all’Ossetia meridionale e che poi, accusato in patria di tentato omicidio e appropriazione di alcuni milioni di $, dopo il golpe in Ucraina è traghettato serenamente alla corte di Poroshenko, con la carica di Governatore della regione di Odessa.

Secondo Apkhaidze, gli stessi funzionari georgiani, gli stessi agenti, trasferitisi in Ucraina al seguito di Saakašvili, continuano dalla nuova patria, con il beneplacito di Kiev, a sostenere materialmente le organizzazioni terroristiche, così come facevano in Georgia: continuano a sostenere quelle formazioni che hanno colpito la Turchia, così prodiga in precedenza nell’offrire asilo a Čataev e altri “combattenti” dell’Emirato del Caucaso.

Saakašvili, nell’interesse del suo regime, aveva “politicizzato” l’Islam, afferma Apkhaidze e, con l’aiuto occidentale, organizzava in Georgia la preparazione militare di gruppi islamisti nord-caucasici, per usarli in atti di diversione: il più tragico di questi, l’assalto alla scuola di Beslan, nel 2004, in cui l’attacco di islamisti ceceni si concluse con la morte di 334 persone, di cui 186 bambini.

Alcuni di questi fatti sono raccontati in “Eliminare i testimoni”, un volume scritto dal giornalista ceceno Islam Sajdaev al suo rientro in Russia dalla Georgia, dove si era rifugiato dopo aver a lungo sostenuto i separatisti ceceni. L’ultimo episodio tra quelli descritti da Sajdaev risalirebbe al 2012, allorché i Servizi georgiani inviarono in Dagestan gruppi di sabotatori, salvo poi liquidarli sulla via del ritorno, sostenendo che si trattasse di terroristi russi giunti a destabilizzare il clima elettorale: i sostenitori di Saakašvili persero in ogni caso le elezioni.

La diffusione di raggruppamenti islamisti e comunità salafite e il loro addestramento da parte dell’intelligence georgiana sarebbero stati sponsorizzati Arabia Saudita, Emirati e Qatar. Sajdaev cita ripetuti contatti di cosiddetti Centri antiterrorismo georgiani con estremisti wahabiti e il passaggio di questi ultimi in Turchia e, da qui, in  Siria. Si citano testimonianze circa gli intrecci tra singoli elementi di tali gruppi e il defunto magnate Boris Berezovskij, nei suoi (proclamati e presunti) tentativi di “presa violenta del potere” in Russia e si parla della liberazione, da parte delle autorità turche, di altri islamisti in precedenza arrestati, in cambio della loro collaborazione. Anche nel caso degli attentati di Boston nel 2013, messi a segno dai fratelli Džokhar e Tamerlan Tsarnaev, vari episodi consento di affermare, scrive Sajdaev, che i due erano stati addestrati in Georgia dal “Fondo Caucaso”, a sua volta è in contatto con la statunitense “The Jamestown Foundation”. Le due organizzazioni, che ufficialmente si occupano delle questioni storico-culturali del Caucaso, organizzarono nel 2012 una serie di “seminari” e iniziative, cui presero parte i fratelli Tsarnaev.

Il “Fondo Caucaso” è stato fondato nel novembre 2008, dopo il conflitto georgiano-ossetino, con l’obiettivo, sostiene Sajdaev, del reclutamento di giovani e intellettuali nordcaucasici da inviare ad alimentare gli umori estremisti nelle aree meridionali della Russia. La circostanza che la Georgia confini con il Caucaso settentrionale russo, afferma Sajdaev, aumenta il rischio che questi combattenti, mascherati dietro ideologie pseudoreligiose, vengano usati dall’Intelligence occidentale; inoltre, attraverso la Georgia e alcuni Stati vicini, è possibile sostenere il regime di Kiev, importante fattore di destabilizzazione, dai confini russi al Medio Oriente.

Un esempio: nel novembre 2015 furono fermati in Kuwait 6 terroristi, che ammisero di lavorare per il reclutamento, la raccolta di fondi e l’acquisto di armi in Ucraina per lo Stato Islamico, armi spedite attraverso il porto Iličëvsk di Odessa (in mano agli uomini di Saakašvili) e da qui, attraverso la Turchia, fino in Siria e Iraq. Non secondario il fatto che la statunitense “Vanguard”, che nella regione di Odessa si occupa del trasbordo delle merci attraverso i vari porti, goda del diritto di spedizione di qualsiasi carico, in qualsiasi parte del mondo, senza controllo doganale. In questo caso, scrive Sajdaev, stiamo parlando di armi di fabbricazione USA destinate ai gruppi nazionalisti locali e che lo Stato Islamico ha acquistato per i terroristi in Siria, oltre ai lanciagranate individuali di fabbricazione cinese, in dotazione alle truppe ucraine. Non per nulla, capo della sezione di Odessa del Ministero degli interni è l’ex funzionario del controspionaggio georgiano, Gija Lordkipanidze che, all’epoca di Eduard Shevarnadze, era responsabile dei contatti tra Ministero per la sicurezza e gruppi di radicali che, in Georgia, cercavano rifugio dalle operazioni antiterrorismo russe nel Caucaso. Sono quasi tutti ancora al loro posto, funzionari e agenti delle diverse sezioni dell’intelligence georgiana che, all’epoca di Saakašvili e sotto il controllo delle agenzie di intelligence occidentali, realizzavano “progetti congiunti” con i “militanti” del Caucaso settentrionale,  tra cui quello volto a trasformare la Georgia in un corridoio di transito per il terrorismo internazionale. Tra i tanti nomi, quello dell’attuale capo del controspionaggio, Temur Kupreišvili e del suo vice, Aleksandr Khodževanišvili, stretti amici di Saakašvili e che, col “Fondo Caucaso”, hanno addestrato vari combattenti, tra cui i fratelli Tsarnaev.

Ma, ad Istanbul come a Boston, si tratta di “spietati terroristi islamici”, per di più, provenienti dalla Russia. Quando invece vengono addestrati nel Caucaso, sono combattenti indipendentisti, come quelli che, ad esempio, nel dicembre 2014, in un attacco a Grozny, provocarono la morte di 19 persone. Ma, anche in quell’occasione, per i media nostrani si trattava di “indipendentisti” e si taceva sul ruolo occidentale che, come dichiarò in quell’occasione Vladimir Putin, non ha mai lesinato “appoggio informativo, politico e finanziario al separatismo in Russia, attraverso i servizi segreti” e “ha appoggiato apertamente il separatismo e il terrorismo, definendo gli assassini nientemeno che insorti e li ha ricevuti al più alto livello”.

 

Fabrizio Poggi

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