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“Caro amico mio Vladimir Putin”…

Così ha esordito Recep Erdoğan nella conferenza stampa al termine dell’incontro con Vladimir Putin ieri a Pietroburgo.

Dopo l’incontro di ieri l’altro a Baku, infatti, tra i presidenti di Russia, Azerbajdzhan e Iran, Vladimir Putin, Ilkam Aliev e Hassan Rouhani, il primo in assoluto a tale livello e già definito “storico”, ieri è stata la volta di un altro “primo” incontro, quello a Pietroburgo tra Vladimir Putin e Recep Erdoğan. Primo, in realtà, dopo che i rapporti tra Russia e Turchia erano precipitati praticamente a zero in seguito all’abbattimento del cacciabombardiere russo Su-24 da parte di caccia F-16 turchi, nel novembre scorso. E oggi sarà la volta del presidente armeno Serzh Sargsjan a incontrarsi a Mosca con Vladimir Putin.

In tutti e tre i casi, lo spettro delle questioni affrontate spazia, come scriveva lunedì Kira Latukhina su Rossiskaja gazeta a proposito del summit di Baku, “praticamente su tutte le direzioni della collaborazione”; ma non si può non rilevare, al di sopra dei temi specifici, il carattere di scacchiere strategico che va assumendo l’asse “regionale” in cui gli attori stanno costruendo qualcosa di più di semplici rapporti economici o politici bilaterali: uno scacchiere che, partendo dall’antico Ponto, attraverso il mar Caspio, andrà a interessare Cina e India.

Dunque, ieri a Mosca, Putin e Erdoğan hanno espresso entrambi il desiderio di riportare la collaborazione bilaterale ai precedenti livelli, sia per il ristabilimento di normali “rapporti economico-commerciali, sia per il coordinamento nella lotta al terrorismo”, ha esordito Putin. “Nella regione c’è attesa per molte nostre decisioni politiche”, ha detto Erdoğan. Putin ha ribadito le posizioni russe anche riguardo al recente fallito colpo di stato in Turchia. Nella conferenza stampa finale, Vladimir Vladimirovič ha evidenziato che il progetto del “Turkish Stream” per quanto riguarda le forniture di gas alla Turchia è fuori di ogni dubbio e Erdoğan ha risposto che la Turchia è pronta ad assicurare le forniture di gas all’Europa attraverso il “Turkish Stream”. Per quanto riguarda la Siria, il presidente russo ha detto che “cambiamenti possono essere raggiunti solo con mezzi democratici”.

E’ chiaro che Mosca guarda al ”partner” turco, consapevole del fatto che, come affermava nei giorni scorsi Anna Glazova, le assicurazioni sull’amicizia con Mosca sono dirette alla Russia, perché l’Europa intenda. Ma, intanto, si sono riallacciati legami regionali che, a partire da un bacino in cui ultimamente la contrapposizione con USA e Nato si è fatta più acuta, quale quello del mar Nero, possono spaziare anche più a est, in cui agisce uno storico protégé di Ankara, come l’Azerbajdzhan.

E lunedì scorso, a Baku, Hassan Rouhani, Vladimir Putin e Ilkam Aliev, oltre alle dichiarazioni sulle “comuni sfide regionali, come quella rappresentata dal terrorismo”, hanno discusso soprattutto della collaborazione nei settori energetico e dei trasporti, a partire dal progetto della ferrovia da Rasht (il maggior centro commerciale iraniano nelle immediate vicinanze del mar Caspio) ad Astara (180 km più a nord, in Azerbajdzhan) che dovrà diventare un “anello fondamentale del corridoio internazionale di trasporti Nord-Sud”. I problemi comuni ai tre paesi, aveva detto ieri l’altro Putin, posti di fonte alla crisi economica globale, sono aggravati dalle tensioni esistenti alle frontiere, riferendosi in particolare all’attività terroristica in Afghanistan e Vicino Oriente.

Nel settore energetico si dà priorità ai progetti per l’esplorazione e lo sviluppo dei giacimenti di petrolio e gas, principalmente nella regione del Caspio, il cui status attende il perfezionamento di una convenzione ad hoc e si auspica una maggiore integrazione nell’utilizzo di gasdotti e oleodotti. L’azero Ilkham Aliev aveva ricordato i legami regionali fra i tre paesi, il fatto che Baku si sia opposta alle sanzioni contro l’Iran e contro la Russia e aveva parlato di ”sforzi comuni per la realizzazione di un sicuro e comune corridoio energetico” attraverso il Caspio. Anche Hassan Rouhani aveva parlato di “Tre stati vicini che hanno sfide comuni e anche alcune minacce comuni nelle sfere politica, economica, culturale ed ecologica. Nelle odierne condizioni, un paese isolato non è in grado di rispondere alle sfide e di sfruttare tutte le potenzialità”.

Prima dell’incontro a tre, si erano tenuti colloqui a due. Con Aliev, Putin era tornato sulla questione del Nagorno-Karabakh, assicurando che Mosca tende a fare in modo che Baku e Erevan raggiungano un compromesso accettabile da entrambe le parti. Rouhani, nel tête-à-tête con Putin, ha detto che Teheran non dimenticherà “mai il ruolo positivo svolto dalla Russia nel raggiungimento dell’accordo sul nucleare”.

Ma, naturalmente, in primo piano rimane la questione dei gasdotti. A questo proposito, lunedì, il servizio russo della BBC, che attendersi “imparziale” equivarrebbe a inchinarsi al terzo segreto di Fatima, ricordava come Mosca abbia tentato di avviare tre gasdotti per il trasporto del gas russo verso l’Europa occidentale, tutti in aggiramento dell’Ucraina. Oltre al progetto del “Turkish Stream”, al centro dell’attenzione attuale, soprattutto dopo l’incontro di ieri a Piter, sembra tornare di attualità quello del “South Stream”, dopo il colloquio telefonico di venerdì scorso tra Putin e il primo ministro bulgaro Bojko Borisov.

Il “South Stream”, con un costo di 23 miliardi di euro, avrebbe dovuto collegare, sul fondo del mar Nero, il porto di Anapa a quello di Varna e da lì proseguire per Bulgaria, Serbia, Ungheria e l’Europa occidentale, portando 63 miliardi di m3 di gas all’anno: la stessa quantità transitata nel 2015 per l’Ucraina. Iniziata la realizzazione a fine 2012, nel 2014 arrivò l’alt del Paramento europeo e, nel dicembre di quell’anno, la Russia rinunciò al progetto per “la posizione non costruttiva della Commissione Europea”. Da allora, Sofia sta elaborando una variante locale di uno hub balcanico, rifornito però di gas russo. Forse, nota l’autore del servizio della BBC, Dmitrij Bulin, la telefonata di Borisov a Putin riguarda questa variante e perciò Mosca l’ha accolta senza particolare entusiasmo.

Il “Turkish Stream”, con uno hub sulla frontiera turco-greca e le cui vicende sono note, dovrebbe avere la medesima portata del “South”, con un costo di realizzazione ridotto della metà (11,4 miliardi di euro). A quanto pare, le prospettive di una sua realizzazione si sarebbero aperte di nuovo. Ma questo Bulin non poteva ancora saperlo, perciò scrive che il progetto più probabile sarebbe quello per il “North Stream-2” – preso in considerazione dopo l’affossamento del “South” e il congelamento del “Turkish” – attraverso il mar Baltico e la Germania. Un anno fa, Gazprom, E.ON, Royal Dutch Shell e OMV AG si erano accordate per la realizzazione di infrastrutture di gasdotto, con un costo di circa 8 miliardi di euro e una portata di 55 miliardi di m3.

In ogni caso, tutti e tre i progetti “allarmano” tanto Washington, che Bruxelles, in lacrime per la possibile perdita, da parte ucraina, di 2 miliardi di dollari che incassa oggi Kiev per il transito del gas russo. L’economia ucraina andrà in rovina, si strappano i capelli al Dipartimento di stato, pensando a tutti soldi che Kiev, in tal modo, non restituirà mai ai tutori occidentali.

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