Nessun mistero – Duecentoventicinque pagine per descrivere le torture patite per giorni da Giulio Regeni, su quel corpo che – come afferma sua madre – “era riconoscibile solo dalla punta del naso e stronca ogni tentativo di depistaggio”. Nella meticolosa relazione seguita all’autopsia il professor Fineschi descrive le condizioni del cadavere da cui si desumono indicibili violenze e sadiche torture. Fratture ed ecchimosi, e bruciature e tagli inferti per ore, per giorni. Pare che gli aguzzini abbiano inciso lettere dell’alfabeto sulle sue carni, eppure quei segni non nascondono alcun mistero. Tutto è chiaro da mesi e riporta alle stesse gravissime responsabilità governative nelle persone del presidente Sisi, del ministro dell’Interno Ghaffar, dei capi dei Servizi Segreti che sapevano e ordinavano quello scempio come cento altri crimini perpetrati nel precedente triennio.
Depistaggio di Stato – Il procuratore italiano Pignatone, incaricato dell’inchiesta, e già nell’aprile scorso profondamente critico verso gli omologhi egiziani che perseverano sulla via di celare la verità per salvare esecutori e mandanti, incontrerà ancora una volta il quintetto d’investigazione del Cairo. Potrebbe ricevere ulteriori vaghezze, seppure ora non è più ipotizzabile l’incidente stradale o l’atto sessuale finito in tragedia, due delle iniziali versioni poliziesche. Alle quali s’è aggiunta quella del rapimento a scopo d’estorsione da parte d’una sgangherata gang, peraltro chissà perché eliminata a colpi di mitra da una pattuglia. Quella messa in scena aveva ricevuto la scottante versione della sorella di uno dei banditi eliminati: era un incastro e per questo è stata incastrata lei stessa e seppellita in una prigione di Stato. Sono i luoghi dove il regime pratica le stesse torture riservate anche a Regeni, le pratiche che hanno ucciso centinaia di Regeni d’Egitto.
Realtà conosciute – Realtà conosciute perché i Khaled Said furono gli inconsapevoli martiri che scossero una parte della popolazione riversata a Tahrir nella rivolta del gennaio 2011, quando per giorni il sangue fu versato a opera di militari e uomini dell’Intelligence guidata da Seuliman che serviva il clan Mubarak non l’Egitto. Realtà ultimamente raccontate da esperti della tortura come l’ex colonnello dell’esercito Afifi, da tempo riparato a Washington, e come altri suoi colleghi istruito dalla Cia per le pratiche che seguivano le operazioni di extraordinary rendition di cui il governo del Cairo si faceva esecutore. Questo mukhabarat, molto introdotto nel Dipartimento investigativo del ministero dell’Interno egiziano, ha dichiarato a una giornalista della trasmissione televisiva “Presadiretta” volata sino a Washington per la rivelazione, la sua ipotesi di tortura inflitta a Regeni.
Uomini del terrore – I trascorsi di mister Afifi in quegli apparati possono renderlo credibile quando dichiara che le fasi delle sevizie che hanno consumato Giulio sino alla morte sarebbero stati tre: al Commissariato di Giza i poliziotti somministravano botte; al Dipartimento Investigativo, dove può essere stato condotto per il suo silenzio, sono giunte dolorose sospensioni del corpo e scosse elettriche sugli organi più sensibili; quindi per diretto intervento del Consigliere per la Sicurezza e del Capo di gabinetto di Sisi sarà arrivato nelle mani dell’Intelligence militare. Mani insanguinate negli anni, che hanno aumentato e non diminuito certi trattamenti che prevedono torture con la baionetta (da cui i segni incisi sulla pelle), morsi di cani, sevizie sessuali. Tutto questo perché lo si credeva una spia, e nella minore delle ipotesi un ficcanaso, interessato com’era agli scioperi dei lavoratori, ai locali movimenti socio-politici, studiati per il dottorato a Cambridge.
Delatori e persecutori – Suoi tutor e referenti accademici si sono rifiutati di rispondere agli inquirenti e la famiglia Regeni, chiedendosi il perché, spera che costoro mutino comportamento. Lo studioso friulano, appassionato ma non ingenuo, veniva tallonato dai mukhabarat anche per le indicazioni offerte alla polizia dal responsabile del sindacato degli ambulanti, una categoria che era negli interessi di Giulio. Questo responsabile s’è rivelato un soggetto meschino, forse anche perché ricattato dalla polizia che chiude gli occhi sulle cento illegalità di quei commerci sempre in cambio di qualcosa, dal denaro alla delazione. Il ricercatore è stato vittima prima d’un informatore, quindi di poliziotti e, in crescendo, di apparati della repressione e dei suoi capi E’ stato considerato un nemico del regime, come i militanti islamisti, quelli laici, i giornalisti, tanti intellettuali. Egiziani o stranieri.
Assassini e mandanti – E’ stato l’ennesima vittima degli uomini che muovono simili persecuzioni, coloro che dall’agosto 2013 hanno assassinato e fatto sparire migliaia di persone, ne hanno incarcerato decine di migliaia. L’omicidio Regeni, alla stregua dei precedenti, è un omicidio di Stato, e su questo tema la politica italiana deve chiedere conto ai potentati del Cairo. Un percorso che il governo Renzi, col responsabile della Farnesina Gentiloni, aveva promesso solennemente ma sembra aver già dimenticato come mostra la nomina d’un nuovo ambasciatore d’Egitto, dopo il rientro di Massari. Tutto appare azzerato, sottomesso agli interessi mercantili che legano le due nazioni, piegato ai diktat della Nato che intende servirsi del sanguinario regime di Sisi, salvandone i fedeli esecutori dell’ennesimo crimine. Di quest’insulto devono rispondere il nostro premier e il suo Esecutivo.
Enrico Campofreda
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