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Donbass: un cessate il fuoco a senso unico

Nessuna road map franco-tedesca, nessuna parvenza di “passo in avanti” nei colloqui di Minsk sta avendo sinora effetti decisivi per una soluzione pacifica della crisi nel Donbass. Come era purtroppo sin troppo facile prevedere, l'influenza yankee su Kiev surclassa ancora di molto i tentativi UE di stabilire un proprio autonomo “protettorato” su un paese in cui, come ha ribadito il segretario del PC ucraino, Pëtr Simonenko, “una mafia ne ha sostituita un'altra”; un paese che occupa il primo posto mondiale per mortalità e il penultimo per natalità e in cui l'economia è meno del 40% del livello del 1991.

Mentre le milizie delle repubbliche popolari continuano a rispettare il cessate il fuoco da esse unilateralmente proclamato un mese fa, le forze ucraine continuano a martellare il Donbass con ogni tipo di arma, da quelle pesanti, che gli accordi di Minsk prevedono debbano essere ritirate (ciò sarebbe dovuto avvenire già oltre un anno e mezzo fa) dalla linea del fronte, a quelle leggere che, per ora, non rientrano negli accordi. Notte dopo notte, per terrorizzare più efficacemente la popolazione civile, vengono colpite le città e le periferie di DNR e LNR. I colpi di artiglieria si sono ripetuti anche la notte scorsa sui quartieri Kievskij e Petrovskij di Donetsk e sul posto di blocco di Jasinovataja. La situazione determinatasi negli ultimi giorni nel sud della DNR è stata definita dal vice comandante Eduard Basurin come “la tragedia di Sakhanka”: civili uccisi e feriti e abitazioni bombardate.

E, nelle zone in cui, per le apparenti preoccupazioni di qualche comandante ucraino, si osserva il “cessate il fuoco”, si ricorre ai gruppi diversivi e alle puntate terroristiche. In una di queste azioni, due miliziani della DNR sono rimasti uccisi e i loro corpi sono stati poi minati per cercare la strage dei compagni che si sarebbero preoccupati di seppellirli. Sempre più apertamente forze “regolari” e reparti neonazisti ricorrono a questo tipo di azioni e appena due giorni fa una “combattente” di Pravij Sektor si è espressa in rete per esecuzioni terroristiche, alla maniera dell'Isis, dei miliziani fatti prigionieri, in modo da seminare sgomento tra le milizie. “Ad esempio”, ha scritto la nazista in questione, “facciamo un prigioniero e agiamo con lui di conseguenza; in pubblico; girando un video. Il flusso di coloro che avranno voglia di combattere si ridurrà sensibilmente”.

D'altronde, le forze ucraine si sentono abbastanza forti da sostenere una situazione di relativo “cessate il fuoco”, in vista di nuove puntate offensive. L'ex capo della zona di occupazione nella regione di Lugansk e attuale vice Ministro per le zone “temporaneamente occupate”, Georgij Tuka, ha definito “stronzi e idioti coloro che non sanno verso dove ci ritiriamo e perché ci ritiriamo”, riferendosi a chi si oppone all'arretramento delle truppe da Stanitsa Luganskaja, previsto dalla road map, temendo la perdita di controllo sulla città e l'area circostante. Da parte sua il maggior-generale ucraino Vasilij Vovk ha detto chiaro e tondo che, dal momento che gli accordi di Minsk rimangono sulla carta, Kiev deve tagliare i ponti col Donbass. Mosca “non ci darà quei territori” ha detto Vovk, “finché noi non adotteremo la legge sulle elezioni locali e sullo status speciale per il Donbass. Zakharčenko e Plotnitskij verranno eletti governatori, metteranno ai loro uomini l'uniforme delle guardie di frontiera ucraine e ci diranno: ecco, è tutto vostro”. Washington, secondo Vovk, starebbe premendo per tale variante, ma ciò porterebbe anche “a molto probabili ondate di agitazione” e, perciò, l'unico rimedio sarebbe “tagliare il legame coi territori occupati e andare avanti”. Tanto più che, secondo il Ministro degli interni e grande padrino di Pravij Sektor, Arsen Avakov, le milizie del Donbass non sono che “cani rabbiosi del regime di Putin”. Avakov ha recitato i suoi “versi d'amore” in risposta alle dichiarazioni di Francois Hollande secondo cui Kiev non sta attuando nella maniera dovuta gli accordi di Minsk e ha detto provocatoriamente che i punti di Minsk sono inaccettabili per l'Ucraina.

Tali perle di “democrazia” fanno il paio con le espressioni “legalistiche” della junta golpista: a Kiev è iniziato il processo in contumacia nei confronti del presidente della LNR Igor Plotnitskij, accusato del sequestro di Nadežda Savčenko, arrestata per tentativo di ingresso illegale in Russia e condannata (successivamente graziata da Putin e rientrata in Ucraina) lo scorso 22 marzo dal tribunale della città russa di Donetsk (regione di Rostov sul Don) per concorso in omicidio, nel giugno 2014, dei due giornalisti russi Igor Korneljuk e Anton Vološin.

E per coronare il tutto con una patente “spirituale”, il patriarca ucraino Filaret è andato a benedire le truppe direttamente sulla linea del fronte, nella parte della regione di Dontesk controllata dalle forze di occupazione ucraine. Filaret – considerato scissionista dal patriarcato ortodosso russo – lo scorso aprile  aveva decretato che la guerra è la punizione divina scagliata contro i senzadio del Donbass e, dunque, dio permette di attaccare “l’aggressore dell’est”, con l’obiettivo di illuminare gli atei. “Oggi le persone soffrono di più nell’est dell’Ucraina e non all’ovest” aveva profetizzato Filaret, sorvolando sui milioni di ucraini che non riescono a nutrirsi e a scaldarsi, grazie ai “doni” dei re magi di FMI, Banca Mondiale e UE; “Perché? Perché là i senzadio sono la maggioranza. Se non si pentiranno e non si rivolgeranno a dio, anche le loro sofferenze continueranno”.

Così come stanno continuando quelle di un paese in cui – è ancora Pëtr Simonenko che parla – “quella presidenziale e le altre cariche pubbliche non sono che poltrone per il proprio arricchimento e non per la soluzione dei problemi vitali del popolo ucraino. Usano la guerra per impedire alle persone di sollevarsi e lottare per i propri interessi e soprattutto per i propri diritti socio-economici. Oggi è necessario incitare le persone a rendersi conto che i regali dai grandi oligarchi durante le campagne elettorali servono solo a rafforzare il loro regime. Bisogna liberare il popolo da tali illusioni. Non a caso il presidente e la sua cerchia dichiarano continuamente la loro intenzione di distruggere il Partito Comunista”.

La democrazia alla Stepan Bandera dei discepoli dei massacratori della Volinja e dei “Komplizen” filonazisti a Babij Jar.

 

Fabrizio Poggi

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