La decisione dell’Ezln e del Congresso Nazionale Indigeno (Cni) di consultare le proprie comunità rispetto alla possibilità di candidare una donna indigena alle elezioni presidenziali del 2018 ha suscitato grandi polemiche, spiazzando quanti consideravano gli zapatisti fautori del non voto e facendo andare su tutte le furie la sinistra istituzionale, che li accusa di complicità con le destre.
Lanciata durante il V Congresso del Cni, tenutosi dal 10 al 14 ottobre a San Cristobal de las Casas in occasione del ventesimo compleanno dell’organizzazione e dell’anniversario numero 524 dell’inizio della Conquista, la proposta consiste nella creazione di un Consiglio Indigeno di Governo, composto da un uomo ed una donna per ogni realtà aderente al Cni, il quale avrà il compito di nominare una candidata che concorrerà alle prossime presidenziali a nome delle due organizzazioni.
Come spiegano Ezln e Cni in un comunicato congiunto, l’eventuale partecipazione al processo elettorale non mirerebbe alla vittoria, ma ad utilizzare la contingenza elettorale per portare al centro del dibattito nazionale la questione indigena in una fase in cui le comunità e i popoli originari resistono all’avanzata delle industrie mineraria, agroalimentare e turistica, le quali, con il loro correlato di mega-progetti infrastrutturali, violenza di stato, paramilitare e mafiosa, stanno mettendo a rischio la sopravvivenza di ecosistemi e popolazioni. Temi e conflitti, questi ultimi, che abitualmente non sono inclusi nell’agenda dei partiti e che quando vi compaiono, lo fanno sotto il titolo di “sviluppo e opportunità di lavoro”.
L’idea non è quindi quella di fondare un nuovo partito o di partecipare alle elezioni in modo tradizionale. Si tratta, al contrario, del tentativo di applicare al processo elettorale la logica del “comandare obbedendo” e dell’autogoverno comunitario che caratterizzano la pratica nei territori autonomi zapatisti e non solo. La candidata, in altri termini, alla stessa stregua di tutte le altre autorità zapatiste, dovrà seguire le decisioni prese da un organo collettivo rappresentativo delle comunità resistenti, pena la revoca del mandato.
Durante la plenaria finale del Cni, organizzazione di cui fanno parte, oltre all’Ezln, realtà, comunità e popoli indigeni di tutto il Messico, il Subcomandante Galeano ha chiarito a nome della Comandancia i contenuti della proposta proveniente delle comunità zapatiste. La candidatura rappresenta l’inizio di un’offensiva politica dei popoli indigeni su scala nazionale. La scelta è strategica in due sensi: da una parte, infatti, posizionarsi sul terreno elettorale significa voler colpire il sistema nel punto considerato più debole, e cioè quello della politica istituzionale e dei partiti, che soffrono una grave crisi di legittimità di cui i ribelli pensano di poter approfittare. Dall’altra, invece, si tratta di utilizzare le elezioni per far partire un processo politico più ampio che rafforzi le relazioni organizzative all’interno del Cni e della Sexta e che possa promuovere nuove forme di interazione con la società civile e i movimenti per porre le basi per la costruzione di una nuova fase di lotta a livello nazionale. Si tratterebbe, quindi, di uno sforzo organizzativo simile a quello proposto nel 2006 dall’Altra Campagna, tuttavia centrato principalmente sulle comunità indigene aderenti al Cni. In questo senso, la proposta zapatista è difficile da inquadrare seguendo i criteri tradizionali e non è nemmeno assimilabile ad esperienze latinoamericane apparentemente analoghe come quella boliviana del Mas (Movimiento al socialismo) o quella equadoriana della Conaie (Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador).
Sebbene sia stata ricevuta con stupore, pare che la proposta abbia convinto i 360 delegati, e gli oltre 400 aderenti alla Sexta presenti al congresso. Tuttavia, diventerà operativa solo se approvata dalla base delle organizzazioni indigene che conformano il Cni, le quali si sono dichiarate in assemblea permanente per i prossimi due mesi. Durante questo periodo, decideranno se accettare o meno, od eventualmente trasformare, la scommessa che proviene dai territorio zapatisti.
Come prevedibile, le reazioni al comunicato non si sono fatte attendere. Gli zapatisti sono stati accusati di dividere la sinistra e di “fare il gioco delle destre”, come ha sostenuto Andrés Manuel López Obrador (Amlo), il candidato del centrosinistra che in due occasioni ha denunciato di essere stato vittima di brogli e che i sondaggi danno come favorito per la prossima tornata elettorale. Quest’ultimo ha inoltre accusato gli zapatisti di aver oggettivamente favorito la vittoria del Partido de Acción Nacional (Pan) nel 2006, rifiutando di appoggiare la sua candidatura; nonché di aver attivamente sostenuto nei loro territori forze politiche legate al Pri, il Partido Revolucionario Institucional attualmente al governo, nel 2012 (sic).
La polemica della sinistra moderata e istituzionale contro l’organizzazione armata, è continuata durante il resto della settimana con l’intervento di diversi intellettuali vicini al Movimiento de Regeneración Nacional (Morena), il partito fondato da Amlo dopo la rottura con il Prd (Partido de la Revolución Democrática). Questi, tra i quali spiccano diversi editorialisti e vignettisti de La Jornada in precedenza simpatizzanti dell’Ezln, sostengono che la candidatura sarebbe solo il prodotto del rancore e dell’egolatria del subcomandante Galeano, il quale avrebbe come obiettivo quello di favorire il ritorno al governo del destrorso Pan. Un altro argomento usato dai critici del Sup, il principale obiettivo polemico dell’intellighenzia progressista, consiste nell’accusarlo di voler usare quest’iniziativa per instaurare una trattativa con l’attuale governo e bloccare il cambiamento.
Ciò che colpisce in queste accuse, oltre alla loro infondatezza e alla logica complottistica che le sottende (e che è la stessa cui fecero appello le destre nel ’94, dopo l’irruzione armata degli zapatisti sulla scena), è il razzismo latente che emana da queste considerazioni, le quali presentano le basi d’appoggio e le popolazioni indigene che construiscono quotidianamente l’autonomia e l’autogoverno nei territorio zapatisti come una mera massa di manovra ad uso e consumo del Sup.
Reazioni positive, invece, sono venute dai partiti che si trovano fuori dall’arco costituzionale come il Prt, Partido Revolucionario de los Trabajadores, e il Pos, Partido Obrero Socialista; da diversi intellettuali, tra cui l’ex rettore dell’Unam (Universidad Nacional Autonoma de México) Pablo Gonzalez Casanova e lo scrittore Juan Villoro; nonché da buona parte dei movimenti sociali messicani, che salutano l’iniziativa come un modo alternativo di attraversare la congiuntura elettorale e si dicono disposti a partecipare all’ambizioso progetto.
Per chiarire meglio la situazione, vanno fatte alcune puntualizzazioni. Innanzituto, va detto che, malgrado nessuno si aspettasse una proposta di questo genere da parte della guerriglia indigena, essa non rappresenta un’adesione alle concezioni liberali della democrazia, né una rottura rispetto al percorso di autogestione tracciato negli ultimi anni dalle comunità autonome. Gli zapatisti infatti non sono mai stati astensionisti ma hanno sempre invitato ad autorganizzarsi, al di là della decisione del singolo individuo di partecipare o meno al voto. In questo senso, i maya ribelli hanno sempre usato gli strumenti offerti dal contesto politico in maniera molto pragmatica e non dogmatica, tanto è vero che in due occasioni hanno appoggiato esplicitamente i candidati proposti dalle forze progressiste (Cuauhtemoc Cardenas, leader del Prd, per la presidenza della rapubblica, e Amado Avendraño, giornalista candidato della società civile alla governatura del Chiapas) e che per anni hanno mantenuto aperto il dialogo con la sinistra parlamentare.
Secondariamente, occorre mettere in evidenza che la rottura con i partiti progressisti non nasce nel 2006, e cioè a partire dalla decisione zapatista di non sostenere Amlo alle presidenziali, ma nel 2001, e si fonda su un tema cruciale per le comunità indigene. Stiamo parlando dell’autonomia e dell’autogoverno comunitari, tematiche che sono state al centro del lungo dialogo che ha portato agli accordi di San Andrés. Questi, firmati da governo e guerriglia nel 1996, avrebbero dovuto propiziare l’inserimento nella Costituzione del diritto dei popoli indigeni all’autodeterminazione. Una volta in parlamento, tuttavia, la proposta di legge è stata trasformata dai partiti fino a snaturarne il contenuto, il tutto con la complicità delle organizzazioni “progressiste” che si sono messe così dall’altra parte della barricata rispetto alla lotta per i diritti collettivi dei popoli originari. Da quel momento, l’Ezln smise di riporre la propria fiducia nei partiti ed aumentò la sua distanza dalla sinistra parlamentare con cui i rapporti sono ulteriormente peggiorati, come dimostrano le polemiche in questi giorni.
Il tradimento degli accordi di San Andrés non è tuttavia l’unico motivo della rottura del mondo indigeno con la sinistra istituzionale. Le divergenze ed i conflitti sono infatti aumentati anche a causa del sostegno concesso da Amlo e dai partiti della coalizione progressista a governatori che successivamente hanno represso duramente i popoli originari e i movimenti sociali in generale, promuovendo una politica economica di spoliazione delle terre e dei territori indigeni e di distruzione della natura a tutto vantaggio dei grandi capitali locali e internazionali.
Esemplari, in questo senso, sono i casi di Juan Sabines, Graco Ramirez, Gabino Cué, Angel Aguirre (costretto alle dimissioni dopo il caso Ayotzinapa) e Miguel Angel Mancera, rispettivamente governatori degli stati del Chiapas, Morelos, Oaxaca, Guerrero e di Città del Messico, situazioni nelle quali sono aumentati significativamente i conflitti socioambientali ed anche il livello repressivo tanto che sono decine gli attivisti arrestati mentre partecipavano alle lotte in difesa del territorio. La situazione dunque è molto più articolata di quanto non venga descritta dai sostenitori di Amlo e delle forze progressiste, e la sfiducia da parte del movimento indigeno nei confronti dei partiti di sinistra, lungi dall’essere prodotto del loro presunto dogmatismo, si deve all’esperienza concreta degli ultimi quindici anni, durante i quali i popoli indigeni hanno capito di non essere rappresentati da questa classe politica.
La risposta dell’Ezln alle critiche ricevute è arrivata nel pomeriggio di venerdÍ 21 ottobre, giusto una settimana dopo la diffusione del comunicato che ha scatenato le polemiche. Il testo, firmato Sup Galeano, s’intitola “Domande senza risposte, risposte senza domande, Consigli e consigli”, ed è scritto con il consueto stile ironico zapatista. Senza polemizzare direttamente con la sinistra moderata e i suoi intellettuali, il comunicato mette in luce lo stato critico in cui versa il sistema politico messicano, assolutamente autoreferenziale e distante anni luce dalle lotte che attraversano il paese contro i femminicidi ormai diventati un’emergenza nazionale, e dalla quotidianità delle battaglie in difesa del territorio portate avanti dalle comunità indigene a livello sia rurale sia urbano. Un sistema politico in una condizione così grave da entrare in una vera e propria “crisi di panico” appena conosciuta la notizia, non ancora confermata, di una possibile candidatura indigena.
Il testo non nomina mai i partiti progressisti, mentre critica la probabile candidata del Pan, Margarita Zavala, moglie dell’ex presidente Calderón, responsabile di aver lanciato la cosiddetta guerra al narcotraffico che ha già causato migliaia di morti ed una quantità di sparizioni forzate degna delle peggiori dittature latinoamericane. Contro questa candidatura, che utilizza l’immagine di una donna per scimmiottare la possibilità di un cambiamento radicale, la proposta di una donna indigena potrebbe intercettare le simpatie popolari e delle fasce sociali più basse del paese, le quali potrebbero identificarsi nella candidata zapatista.
Se dopo i due mesi di assemblea permanente la proposta zapatista sarà fatta propria dalle comunità, il movimento indigeno dovrà mettere in campo un significativo sforzo organizzativo, considerando che per una candidatura indipendente si devono raccoglie oltre 800 mila firme in almeno 17 dei 32 stati della federazione messicana. Nel caso riuscissero nell’intento, non è difficile pronosticare che, comunque vada a finire dal punto di vista dei risultati, l’incursione zapatista alle presidenziali del 2018, mettendo al centro la questione indigena e le lotte territoriali, spariglierà le carte del processo elettorale, rendendolo assai più dinamico e interessante.
Andrea Spotti
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