A una settimana dall'inizio, l'attacco delle forze ucraine sembra spostarsi sul settore meridionale del fronte della DNR e, a nord, prendere più di mira le posizioni della LNR. Mentre è sotto i riflettori la “fuga” dell'Osce da Avdeevka e le agenzie parlano di una notte relativamente “tranquilla” a Donetsk, mortai da 120mm e artiglierie da 152mm ucraini, posizionati nell'area di Luganskoe, hanno bersagliato i villaggi di Kalinovo e Lozovoe, una settantina di km a ovest di di Lugansk e, dalle posizioni di Novozvanovka e Troitskoe, il villaggio di Veselogorovka; su Kalinovo-Borščevatoe si è sparato dalla direzione di Popasna. La battaglia è in corso nell'area di Kalinovo-Stakhanov e Brjanka. Nella parte meridionale della DNR, bersagliata Kominternovo, una ventina di km a nordest di Mariupol, occupata dalle forze neonaziste. Nei combattimenti attorno a Donetsk è rimasto leggermente ferito uno dei comandanti di campo più famosi, insieme al compianto “Motorola”, delle milizie della DNR, il comandante “Givi”.
Ma l'episodio più grave di oggi è l'attentato costato la vita al capo della direzione delle milizie della LNR, colonnello Oleg Anaščenko.
Questa mattina, poco prima delle 8 ora locale, l'auto su cui viaggiava insieme all'autista è saltata in aria nel centro di Lugansk. Entrambi i passeggeri sono rimasti dilaniati. Il portavoce delle milizie Andrej Maročko ha accusato dell'attentato i servizi segreti ucraini, ricordando come, da alcune settimane e ripetutamente, la ricognizione della LNR avesse messo in guardia dalla presenza di vari gruppi di sabotatori. Il leader della LNR, Igor Plotnitskij, lui stesso uscito indenne da un attentato simile l'agosto scorso, ha definito Anaščenko “moderno eroe dell'epoca del rinascimento del mondo russo, spalla a spalla col quale abbiamo combattuto e a cui sono legate le nostre prime vittorie sul campo”. Per il 5 febbraio è stato proclamata una giornata di lutto in tutta la LNR.
Prosegue intanto e sembra assumere toni più aspri, la polemica Mosca-Minsk che, a quanto sembra, solo apparentemente riguarda determinate questioni di rapporti doganali o frontalieri. Alla decisione del FSB russo, annunciata giovedì scorso, di ristabilire una zona di controllo confinario per le regioni di Brjansk, Smolensk e Pskov, ha immediatamente risposto la Bielorussia, accusando Mosca di esser stata messa di fronte al fatto compiuto e ipotizzando un allungamento della possibilità (sinora limitata a 5 giorni) di ingresso senza visto attraverso l'aeroporto di Minsk per i cittadini di 80 paesi. Controrisposta di Mosca che, da lunedì prossimo, proibirà l'importazione di carne di manzo di imprese della regione di Minsk, carne che sarebbe in realtà originaria di allevamenti ucraini o di paesi UE, ricadenti nel controembargo russo decretato in risposta alle sanzioni USA e UE.
Il brusco raffreddamento dei rapporti tra Russia e Bielorussia coincide in modo sinistro, per ora solo temporalmente, con il drammatico riacutizzarsi della crisi nel Donbass, “responsabile della quale” tuttavia, ha detto il presidente bielorusso Aleksandr Lukašenko, “è in primo luogo il Presidente del paese sul cui territorio è la guerra. Non voglio rimproverare Petro Porošenko, con cui siamo in buoni rapporti” ha detto, “ma gli dico sempre: in qualunque modo si evolva la situazione, sarai tu a essere incolpato, perché tu sei il presidente".
I timori russi per atteggiamenti bielorussi, via via manifestatisi, di “comprensione” verso la leadership golpista ucraina, sono dunque sfociati in una serie di battibecchi tra Mosca e Minsk, per ora limitati ufficialmente a questioni amministrative. Venerdì della scorsa settimana, Aleksandr Lukašenko aveva pronunciato le famose parole sulla “fraterna Ucraina che sta lottando per l'indipendenza”; il giorno successivo partirono i primi violenti attacchi ucraini contro le posizioni della DNR, che si stanno ora estendendo anche alla LNR. Ieri Lukašenko, nel corso di una sterminata conferenza stampa, ha accusato “un qualche ministro, seppur potente, del FSB o altro, di aver posto una croce, con un tratto di penna”, sugli accordi interstatali sulle frontiere e ha ordinato di aprire un procedimento penale contro il direttore del Rosselkhoznadzor (Controllo agro-alimentare russo) che porrebbe ostacoli all'importazione di merci bielorusse, a prezzi troppo concorrenziali “per gli oligarchi russi”, che controllano “un paese corrotto”, in cui “tutto si può ottenere con le bustarelle”.
Il conflitto riguarderebbe anche i costi di transito attraverso la Bielorussia di prodotti energetici russi: anche su questo, (nonostante Mosca, da parte sua, lamenti 22 miliardi di $ di mancati introiti doganali per la fornitura a Minsk di petrolio a prezzo netto) Lukašenko accusa Mosca di “prendere per la gola”. La cosa più importante, ha detto, sono la libertà e l'indipendenza: "Non c'è paragone, tra l'indipendenza da un lato e il petrolio russo, iraniano, azero o americano, dall'altro. Una soluzione noi la troviamo comunque. Questo in Russia, purtroppo, non lo capiscono". Parole aspre, quantunque, il presidente bielorusso cerchi di smorzare i toni, affermando che ci sono varie forze, anche tra i vertici della Russia, che tentano di nuocere ai rapporti tra i due paesi, nonostante le loro posizioni contrastino con “le decisioni dello stesso presidente” con il quale, afferma Lukašenko, abbiamo rapporti “davvero amichevoli”.
E sebbene a Mosca qualcuno tema una svolta “occidentale” di Minsk, ha detto ancora, finché “sarò presidente, non una pietra verrà scagliata contro la gente russa. La Russia è sacra. Noi non siamo l'Ucraina, non siamo antirussi, non vogliamo entrare nella Nato”, ma "l'indipendenza, l'integrità, la nostra storia valgono più di qualsiasi petrolio". E comunque, ha detto a proposito delle prossime manovre congiunte russo-bielorusse “Occidente-2017”, nessuno ha intenzione di occupare il nostro paese o introdurvi truppe e, pur chiedendo a Mosca la fornitura di una ventina di caccia, ha messo in dubbio la necessità di una base aerea russa in Bielorussia, ipotizzata lo scorso anno, prima a Bobrujsk e poi a Branoviči, rispettivamente a sudest e sudovest di Minsk.
Se il presidente bielorusso afferma di condurre una politica “plurivettoriale, che non sempre riesce” e di volersi presentare all'occidente come uno “stato sovrano e indipendente”, Andrej Knjazev, su news-front.info, nota un pericoloso avvicinamento di Lukašenko alle frange più nazionaliste del suo paese e gli “augura” quindi di non ripercorrere, con il petrolio, la stessa strada di Janukovič con il gas russo: alla fine, dice Knjazev, oggi l'Ucraina acquista il gas, pagandolo più caro, perché aumentato dei costi di reverse dei paesi occidentali che forniscono a Kiev lo stesso gas russo.
In effetti, tre anni fa, questioni simili erano state tirate in ballo anche in Ucraina. Anche se Lukašenko non è Janukovič, qualcuno, oltre i confini occidentali, potrebbe pensare di imbastirci una brutta storia.
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